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Nel complicato panorama del diritto dei marchi, la recente disputa riguardante il marchio “BOSS” (riconducibile alla HUGO BOSS AG, casa di moda tedesca che prende il nome dal suo fondatore, il noto stilista Hugo Boss) ha riacceso il dibattito sulla protezione dei marchi patronimici.
I marchi patronimici (come Ford, Ferrari, Dolce & Gabbana) sono quei marchi legati al nome o al cognome del titolare e, per questo motivo, dal punto di vista giuridico vengono generalmente considerati marchi “forti” per la loro natura distintiva.
Ma cosa succede quando un marchio patronimico diventa così famoso e riconosciuto da sovrastare l’uso comune del cognome da cui deriva? È qui che possono emergere delle complicazioni legali. Se, ad esempio, un altro imprenditore con il cognome “Ford” volesse avviare un’impresa automobilistica con lo stesso nome, è indubbio che incontrerebbe resistenza legale da parte della celebre casa automobilistica omonima. Questo perché il rischio di confusione nel mercato sarebbe troppo alto.
In questo articolo:
Nel 2021, la HUGO BOSS Trade Mark Management GmbH & Co. KG, titolare del marchio dell’Unione Europea “BOSS”, proponeva un’opposizione avverso la domanda di marchio italiana “Il boss dei panini”.
L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) accoglieva l’opposizione e, conseguentemente, veniva proposto ricorso dinanzi alla competente Commissione che annullava la precedente decisione dell’UIBM. Secondo la Commissione dei Ricorsi, infatti, il marchio anteriore “BOSS” deve considerarsi un marchio debole in quanto il termine inglese “boss” è oramai divenuto di uso comune nella lingua italiana.
A fronte di tale debolezza, anche lievi modifiche devono essere considerate sufficienti a far venire meno il rischio di confusione lamentato da Hugo Boss.
Hugo Boss proponeva, dunque, ricorso per Cassazione.
Nel suo ricorso per Cassazione, Hugo Boss sosteneva, anzitutto, che la Commissione dei Ricorsi avesse erroneamente interpretato il concetto di marchio “debole”. Infatti, a dire del ricorrente, il marchio deve essere considerato debole solo nei casi di aderenza concettuale tra il segno e i prodotti/servizi che contraddistingue.
Non rileva, invece, il fatto che il marchio contenga termini in lingua inglese – anche se utilizzati quotidianamente – che non descrivano i relativi prodotti/servizi.
Inoltre, Hugo Boss sosteneva che la Commissione dei Ricorsi non avesse preso in debita considerazione la notorietà acquisita dal marchio “BOSS”.
Ancora, la Commissione non aveva valutato il valore patronimico del marchio che, proprio in quanto dotato di tale valore, doveva essere considerato un marchio forte.
Il requisito della capacità distintiva è l’attitudine di un segno, parola e/o figura, a distinguere un determinato prodotto/servizio sul mercato.
Si noti che un marchio meramente descrittivo, ovvero un marchio che si limiti a descrivere il prodotto/servizio (ovvero le sue caratteristiche e/o qualità) sarebbe radicalmente nullo per Legge (cfr. art. 22 CPI).
Quando il marchio è dominato da elementi espressivi viene comunemente definito “marchio debole”. I titolari di marchi deboli, ovvero dominati da elementi descrittivo-espressivi, dovranno essere disposti a tollerare la compresenza nello stesso mercato di altri marchi deboli che rechino i medesimi elementi.
Un marchio è tecnicamente “forte”, per contro, quando non è dominato da elementi descrittivo-espressivi. In questo senso, il titolare di un marchio forte potrà opporsi efficacemente all’uso di marchi successivi, anche piuttosto dissimili, ma che facciano affidamento e/o veicolino il medesimo concetto distintivo (c.d. nucleo ideologico) o che generino comunque un indebito rischio di associazione/confusione con il proprio marchio forte.
La Cassazione, con ordinanza n. 26877/2023, ha stabilito che la Commissione dei Ricorsi non ha preso in debita considerazione la natura di marchio patronimico del segno “BOSS”.
Gli Ermellini infatti ricordano come la dottrina e la giurisprudenza siano concordi e costanti nell’affermare come il marchio patronimico debba essere considerato un marchio forte, ossia un marchio dotato di un elevato grado di distintività in quanto il nome e cognome – almeno generalmente – non sono descrittivi dei prodotti e servizi che il segno andrà a contraddistinguere.
Nonostante la connaturata valenza distintiva del segno della nota maison, la preesistenza del marchio patronimico “BOSS” potrebbe di per sé non impedire la registrazione da parte del richiedente “Il boss dei panini”.
Il rischio di confusione di cui all’art. 12, lett. a), CPI può essere infatti escluso in presenza di una pluralità di accezioni di significato riconducibili al marchio patronimico oggetto di riproduzione, e del conseguente scarto semantico che si potrebbe determinare avendo riguardo alla capacità distintiva dei due marchi in conflitto.
Pertanto, assumono rilievo le considerazioni svolte dal primo Giudice in merito al significato che il termine “boss” ha nel marchio “Il boss dei panini”. La Commissione dei Ricorsi non avrebbe dovuto fermarsi alla valutazione del significato che il termine “boss” ha assunto nella lingua italiana. Infatti, sarebbe stato necessario verificare se tale significato del termine valesse ad escludere, nella percezione del pubblico, l’esistenza di un nesso di significato tra il marchio patronimico “BOSS” e la parola “boss” contenuta nel segno “Il boss dei panini”.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato come la forte distintività del marchio dipendesse anche dalla sua notorietà, circostanza non presa nella dovuta considerazione dalla Commissione dei Ricorsi.
In ogni caso, la Commissione dei Ricorsi (a cui la decisione è stata rinviata) non dovrà limitarsi a valutare se l’assenza di novità del segno “Il boss dei panini” possa e debba essere affermata valutando il solo rischio di confusione; bisognerà anche soppesare in modo congruo la notorietà raggiunta dal marchio precedente “BOSS”, e valutare anche se possa sussistere un rischio di mero agganciamento, ovverosia il fatto che il marchio successivo possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore.
Margherita Manca