Strategie legali per evitare rischi e proteggere il brand.
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L’uso del nome di un concorrente nei Google Ads è sempre lecito? Il Tribunale di Ancona si è pronunciato su un caso di keyword advertising e concorrenza sleale, chiarendo i limiti legali dell’acquisto di parole chiave corrispondenti a marchi altrui. L’ordinanza affronta il rischio di confusione per il consumatore e lo sviamento della clientela, con un richiamo alla giurisprudenza europea. L’articolo analizza il caso concreto, il quadro normativo e le implicazioni per chi opera nel marketing digitale.
Tutti vogliono arrivare primi su Google. La visibilità nei motori di ricerca è un fattore chiave per il successo di un’attività e Google offre agli inserzionisti la possibilità di apparire in cima ai risultati di ricerca attraverso annunci sponsorizzati.
Chiunque può “comprare” una parola chiave, ossia partecipare a un sistema d’asta per determinati termini di ricerca che gli utenti digitano su Google. Quando un’azienda acquista una keyword, il suo annuncio verrà mostrato tra i primi risultati, aumentando le possibilità di intercettare nuovi clienti.
Tuttavia, sorge un problema quando un’impresa acquista come parola chiave il nome di un concorrente, sfruttandone la notorietà per attirare traffico verso il proprio sito. Questo può ingannare l’utente, che potrebbe cliccare su un annuncio credendo di visitare il sito originale, ma venendo invece reindirizzato a quello di un concorrente.
Proprio su questa pratica si è pronunciato il Tribunale di Ancona, che con l’Ordinanza del 02/11/2024 ha affrontato un caso molto attuale di concorrenza sleale digitale.
L’Ordinanza del Tribunale di Ancona del 2 novembre 2024 ha affrontato un caso interessante, chiarendo se l’uso del nome di un’azienda concorrente come parole chiave nei Google Ads debba essere considerato lecito oppure no.
Il giudizio è nato dalla controversia tra due strutture alberghiere concorrenti. Utilizzeremo per il commento due nomi di fantasia: Hotel Armonia e Hotel Serenità.
Cosa ha fatto l’Hotel Serenità? L’Hotel Serenità aveva impostato una campagna pubblicitaria su Google Ads acquistando come parola chiave il nome del concorrente “Hotel Armonia”. Questo significava che, quando un utente cercava su Google “Hotel Armonia”, tra i primi risultati appariva un annuncio sponsorizzato dell’Hotel Serenità, attirando così potenziali clienti che in realtà stavano cercando la struttura concorrente.
Ma l’Hotel Serenità non si era limitato a utilizzare il nome del concorrente come parola chiave per posizionarsi tra i risultati sponsorizzati, aveva anche inserito automaticamente “Hotel Armonia”, il nome del competitor, all’interno del testo dell’annuncio pubblicitario.
Questa pratica è resa possibile dall’uso della Dynamic Keyword Insertion (DKI), una funzionalità avanzata di Google Ads che modifica dinamicamente il testo dell’inserzione in base alla query di ricerca dell’utente.
In pratica, chi cercava “Hotel Armonia” su Google vedeva come primo risultato sponsorizzato un annuncio che conteneva il titolo “Hotel Armonia – Offerte fino al 45%”, ma cliccandoci sopra veniva reindirizzato al sito dell’Hotel Serenità.
A questo punto la domanda sorge spontanea: questa strategia pubblicitaria rientra nei limiti della concorrenza lecita o si configura come concorrenza sleale?
Il Tribunale di Ancona si è trovato di fronte a un caso interessante, proprio sul confine tra pubblicità lecita e pratiche sleali. Ma quali sono stati il suo ragionamento e la sua decisione?
Il caso affrontato dal Tribunale di Ancona con l’Ordinanza del 02/11/2024 affronta un tema estremamente interessante ovvero quali sono i confini tra concorrenza lecita e sleale nel keyword advertising. Ma per comprendere se la strategia pubblicitaria adottata sia stata legittima o meno, è essenziale analizzare il quadro normativo di riferimento e i principi consolidati nella giurisprudenza europea.
In Italia, il riferimento principale in materia è l’articolo 2598 del Codice Civile, che disciplina gli atti di concorrenza sleale. Secondo questa norma, commette un illecito chiunque:
“1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, […] o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente.”
Questa disposizione tutela il consumatore, che deve poter distinguere chiaramente un’azienda da un’altra, e garantisce che la concorrenza tra imprese non sia distorta da pratiche ingannevoli o fuorvianti.
Ma nella complessità della concorrenza online, l’applicazione di questa norma non è sempre immediata. Infatti, la questione centrale è stabilire se l’acquisto della parola chiave “Hotel Armonia” e il successivo uso del nome del concorrente nel testo dell’annuncio abbiano generato un effettivo rischio di confusione per il consumatore.
Il dibattito sull’uso dei marchi e dei nomi di aziende nei Google Ads (AdWords fino al 2018) non è una novità. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è già pronunciata più volte su casi simili, tracciando i principi fondamentali per valutare la legittimità del keyword advertising.
Uno dei casi più rilevanti è stato quello di Interflora vs. Marks & Spencer (C-323/09), in cui la CGUE ha stabilito che l’uso di un marchio altrui come keyword può essere lecito, a meno che non violi determinate funzioni essenziali del marchio (avevamo già trattato il caso Interflora in un precedente articolo: “Annunci Web: è lecito usare un marchio altrui come keyword?”).
In particolare, la Corte aveva individuato tre possibili violazioni:
Alla luce della normativa italiana e della giurisprudenza europea, il caso analizzato dal Tribunale di Ancona presenta alcuni elementi che risuonano con i principi enunciati. Ma come si è espresso il Tribunale di Ancona in questo caso? Quali sono stati gli elementi decisivi che hanno portato alla decisione finale?
Dopo aver analizzato il quadro normativo e la giurisprudenza europea, possiamo ora esaminare la decisione del Tribunale di Ancona nel caso dell’Hotel Serenità e dell’Hotel Armonia (nomi di fantasia), chiarendo quali criteri siano stati applicati per riconoscere un atto di concorrenza sleale.
L’Ordinanza del 2 novembre 2024 ha accolto il ricorso dell’Hotel Armonia, stabilendo che l’uso del nome del concorrente come parola chiave nei Google Ads e il suo inserimento automatico nel testo dell’annuncio sponsorizzato hanno configurato un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, comma 1, nn. 1 e 3 c.c.
Il Tribunale ha riconosciuto che la strategia adottata dall’Hotel Serenità non si è limitata all’acquisto della parola chiave “Hotel Armonia”, ma ha comportato un elevato rischio di confusione per il consumatore a causa dell’uso della Dynamic Keyword Insertion (DKI).
Secondo il Giudice, la pratica era illecita per due motivi principali:
Inoltre, il Tribunale ha ribadito che: “nel caso concreto, avuto riguardo ai contenuti degli annunci in contestazione ed allo specifico meccanismo di funzionamento degli stessi, sussista il fumus dedotto dalla ricorrente in relazione al il rischio di confusione e sovrapposizione tra i diversi operatori economici e i servizi dai medesimi offerti e, altresì, il pericolo di un ulteriore possibile sviamento della clientela.”
La decisione ha fatto esplicito riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare alle sentenze Interflora vs. Marks & Spencer (C-323/09) e Google France (C-236/08).
Secondo il Tribunale di Ancona, l’uso del marchio altrui come parola chiave pubblicitaria non è automaticamente illecito, ma lo diventa se compromette la capacità del consumatore di identificare chiaramente la provenienza del servizio.
L’ordinanza del Tribunale di Ancona conferma quindi che il keyword advertising rimane una pratica lecita, ma solo se utilizzato in modo da non generare confusione per i consumatori.
Il messaggio per le aziende che operano nel digital marketing è piuttosto chiaro:
Il caso affrontato dal Tribunale di Ancona dimostra come l’uso scorretto delle tecniche di SEM possa sfociare in un illecito, con conseguenze legali e danni reputazionali. Nel contesto attuale, chi si occupa di digital marketing e advertising online dovrà conoscere sempre meglio i limiti legali del keyword advertising, per evitare violazioni che possono portare a sanzioni e perdita di credibilità sul mercato.
Gabriele Rossi