Evita il rifiuto della registrazione: verifica la distintività del tuo marchio prima di depositarlo.
Calcola il preventivo
Il 29 gennaio 2025, il Tribunale dell’Unione Europea ha messo la parola fine a una lunga controversia legale sul marchio BIOREPAIR. Con la sentenza T-1128/23, il Tribunale ha confermato il rifiuto dell’EUIPO, ribadendo un principio chiave: un marchio deve essere realmente distintivo per essere registrato, non basta un nome accattivante. Come si è arrivati a questa decisione? E quali lezioni possono imparare le aziende che vogliono proteggere il proprio brand?
Il 21 aprile 2022, la società titolare del marchio BIOREPAIR ha presentato all’EUIPO una domanda di registrazione per identificare prodotti destinati all’igiene orale. Tuttavia, l’ufficio ha subito sollevato delle obiezioni, ritenendo il marchio non idoneo alla registrazione.
A fondamento del rifiuto, l’EUIPO ha richiamato l’art. 7, par. 1, lett. b) e c) del Regolamento UE 1001/2017, che vieta la registrazione di:
Sulla base di questi principi, il 26 maggio 2022 l’EUIPO ha emesso un rifiuto provvisorio, individuando due criticità principali:
La società ha cercato di contrastare questa valutazione, sostenendo che BIOREPAIR avesse un proprio valore distintivo, ma il 15 aprile 2023 l’EUIPO ha confermato il rifiuto iniziale, ritenendo le argomentazioni insufficienti. Per questo motivo, BIOREPAIR ha appellato la decisione alla Commissione dei Ricorsi.
Determinata a ottenere la registrazione, la società BIOREPAIR ha deciso di impugnare la decisione dinanzi alla Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO.
Nel ricorso, ha ribadito con forza che BIOREPAIR possedeva una propria distintività e che il pubblico di riferimento non lo avrebbe percepito come un termine descrittivo. Ha inoltre evidenziato un elemento non trascurabile: il marchio era già stato registrato in altre giurisdizioni, come negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda.
Sembrava un argomento solido, ma la Commissione dei Ricorsi non è stata dello stesso avviso. Con una decisione del 26 settembre 2023, ha rigettato l’appello e confermato il rifiuto della registrazione, motivando così la propria scelta:
A questo punto, alla società restava una sola strada: portare il caso davanti al Tribunale dell’Unione Europea.
Alla base del diritto dei marchi c’è un principio fondamentale: un segno non può essere registrato se si limita a descrivere le caratteristiche di un prodotto o servizio. Un marchio, infatti, deve essere in grado di distinguere i prodotti di un’azienda da quelli dei concorrenti; altrimenti, non può assolvere la sua funzione principale di indicatore dell’origine commerciale (vedi anche: Simboli e protezione: tutto quello che c’è da sapere su marchi, copyright e design registrati – Canella Camaiora).
Nel tentativo di superare l’ostacolo, la società titolare di BIOREPAIR ha sostenuto che il marchio fosse un neologismo: l’unione di BIO e REPAIR avrebbe creato un termine nuovo, non immediatamente descrittivo per il pubblico. Secondo la società, i consumatori non avrebbero percepito il marchio come una semplice descrizione delle caratteristiche dei prodotti, ma come un segno distintivo legato all’identità commerciale dell’azienda.
Tuttavia, il Tribunale dell’Unione Europea ha confermato la valutazione dell’EUIPO: BIOREPAIR è un termine puramente descrittivo della funzione dei prodotti. Questa conclusione si basa su un’analisi linguistica e concettuale, valutata alla luce della percezione del consumatore medio europeo.
Il marchio è composto da due parole inglesi ampiamente comprese in tutta l’UE:
Secondo il Tribunale, il consumatore medio non ha bisogno di alcuno sforzo interpretativo per comprendere il significato di BIOREPAIR e il suo collegamento diretto alla funzione del prodotto. Proprio questa immediatezza rende il marchio privo della distintività necessaria per la registrazione.
Del resto, nel settore dell’igiene orale, termini come repair (riparazione), whitening (sbiancamento) o protection (protezione) sono spesso utilizzati per descrivere le caratteristiche dei prodotti.
La giurisprudenza comunitaria ha già chiarito che parole generiche o descrittive non possono essere monopolizzate da un singolo operatore economico, altrimenti si limiterebbe la possibilità per i concorrenti di descrivere i loro prodotti in modo chiaro e comprensibile (vedi anche Una questione di originalità: il caso del marchio “BI-BAG” – Canella Camaiora).
Esiste, però, una possibilità per registrare anche marchi descrittivi: dimostrare la distintività acquisita attraverso l’uso. Secondo l’art. 7, par. 3, del Regolamento UE 1001/2017, un marchio inizialmente privo di distintività può essere registrato se il richiedente prova che, grazie all’uso prolungato sul mercato, il pubblico lo riconosce come indicatore dell’origine dei prodotti.
Per dimostrarlo servono prove solide, come:
La società titolare di BIOREPAIR, pur avendo presentato dati di vendita e campagne, non ha fornito prove sufficienti a dimostrare che il pubblico europeo associasse in modo univoco il marchio ai suoi prodotti. Il Tribunale UE ha così concluso che, senza un livello elevato di notorietà e prove dettagliate, la registrazione non poteva essere concessa.
Ma cosa possono imparare le aziende da questa vicenda?
La sentenza del Tribunale UE sul caso BIOREPAIR riafferma un principio importante: non tutti i marchi sono uguali. Esistono marchi forti, capaci di distinguersi e di garantire una tutela legale solida, ma anche marchi deboli o addirittura nulli, incapaci di superare l’esame di registrazione.
Per le aziende, il caso BIOREPAIR evidenzia quanto sia determinante scegliere un buon marchio, che non si limiti a descrivere il prodotto ma che lo identifichi chiaramente sul mercato (approfondisci: Le 3 regole per scegliere un buon marchio di A. Canella).
Un marchio debole – come quelli espressivi o generici – espone le imprese a rischi importanti, come il rifiuto alla registrazione o la difficoltà di far valere i propri diritti in caso di controversie (vedi anche: Le implicazioni legali del naming: come scegliere “meglio” un marchio – Canella Camaiora.
Il caso BIOREPAIR dimostra che anche un marchio già registrato in altre giurisdizioni può essere considerato nullo nell’UE, se non soddisfa i criteri di distintività richiesti dal sistema comunitario.
Per evitare di creare marchi deboli o nulli, le imprese devono:
In un mercato globale, l’uso di termini inglesi, oltretutto, è una scelta frequente, ma può rendere un marchio debole o nullo se considerato descrittivo in un contesto linguistico come quello dell’UE.
Il caso BIOREPAIR rappresenta, dunque, una lezione chiave: investire in un marchio originale e distintivo non è solo una questione di branding, ma una necessità per assicurare una tutela giuridica solida e prevenire contenziosi che potrebbero rallentare o compromettere le strategie commerciali.
Margherita Manca