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Nuove IGP non alimentari: chi rischia di essere tagliato fuori?

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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Nel settore della proprietà intellettuale, l’introduzione dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP) per i prodotti non alimentari, a partire dal 1° dicembre 2025, rappresenta un cambiamento significativo per l’artigianato e l’industria manifatturiera italiana.
Il nuovo sistema di certificazione mira a tutelare le eccellenze locali, ma pone anche sfide strutturali, in particolare per le micro e piccole imprese (MPMI), che potrebbero incontrare difficoltà nell’accesso alla certificazione a causa di costi elevati e della necessità di operare attraverso consorzi o associazioni di produttori. L’analisi evidenzia come il bollino IGP possa influenzare le scelte dei consumatori e il posizionamento di mercato, rischiando di favorire solo le realtà più strutturate. Attraverso il confronto con studi accademici e casi concreti, si valutano le implicazioni economiche e strategiche dell’IGP e si delineano le azioni necessarie affinché le imprese artigiane possano adeguarsi al nuovo scenario, evitando di essere escluse da un sistema che sta ridefinendo le regole del mercato.

La nuova IGP per i prodotti artigianali: cosa sta per succedere?

L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) per i prodotti non alimentari segna un cambiamento epocale per l’artigianato e l’industria manifatturiera italiana. Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2023/2411, a partire dal 1° dicembre 2025, sarà finalmente possibile ottenere una certificazione europea analoga a quella dei prodotti agroalimentari (ne avevamo già parlato qui: Il marchio IGP ora anche per i prodotti artigianali e industriali – Canella Camaiora).

Fino ad oggi, l’Italia non ha mai avuto un sistema di protezione “sui generis” per l’artigianato e l’industria manifatturiera. Le uniche forme di tutela disponibili erano:

  • I marchi collettivi e di certificazione, che garantivano l’origine e la qualità dei prodotti senza offrire una protezione specifica sulla denominazione geografica (approfondisci Cos’è il marchio collettivo? di V. Pugliese, io ho parlato di marchi collettivi e di certificazione in un articolo dedicato al cosiddetto “Destination Branding”).
  • Le normative sulla concorrenza sleale, che intervenivano solo in caso di pratiche scorrette, ma senza prevenire l’abuso delle denominazioni territoriali.

Questa frammentazione ha reso le eccellenze italiane vulnerabili alla contraffazione e ha impedito di valorizzarle adeguatamente sui mercati esteri. L’IGP dovrebbe finalmente colmare questa lacuna, ma il suo impatto dipenderà da quanto velocemente e in che modo le imprese italiane si adegueranno al nuovo sistema., erano i marchi collettivi e i marchi di certificazione

Il sistema Italiano ha creato quindi una protezione frammentaria e poco efficace, lasciando spazio a concorrenza sleale e mancanza di riconoscibilità sui mercati esteri. L’IGP finalmente dovrebbe colmare questa lacuna, ma il suo impatto dipenderà da quanto velocemente e in che modo le imprese italiane si adegueranno al nuovo sistema.

Uno studio dell’EUIPO (2024) ha individuato 92 prodotti italiani potenzialmente candidabili alla certificazione. L’elenco non è esaustivo, poiché qualsiasi prodotto manifatturiero potrebbe ottenere l’IGP se rispetta i requisiti previsti dal regolamento. Tra i settori più rappresentati troviamo:

  • Materiali lapidei e pietre naturali (Alabastro di Volterra, Marmo di Carrara, Basalto lavico dell’Etna).
  • Ceramiche artistiche e tradizionali (Faenza, Vietri, Caltagirone, Deruta, Capodimonte e altre 50 località storiche).
  • Tessuti e filati (Lana di Biella, Cardato Pratese, Tessitura di Sardegna).
  • Pelletteria e accessori (Pelletteria fiorentina, Pelle conciata al vegetale in Toscana, Le borse di Tolfa).
  • Gioielleria e metalli preziosi (Oreficeria di Vicenza, Corallo e Cammeo di Torre del Greco, Filigrana Sarda).
  • Strumenti musicali (Liuteria di Cremona, Ocarina di Budrio).
  • Coltelleria (Coltellerie di Maniago, Coltelli di Frosolone).
  • Merletti e ricami (Merletto di Burano, Pizzo di Cantù, Merletto di Orvieto).
  • Carta e stampe (Carta di Fabriano, Carta di Amalfi).

Per ottenere la certificazione, ogni prodotto dovrà dimostrare il proprio legame con il territorio e rispettare precisi criteri di produzione. Secondo il Regolamento (UE) 2023/2411, un prodotto può ottenere l’IGP se:

  • Ha un legame con il territorio, dimostrabile attraverso qualità, reputazione o caratteristiche distintive.
  • Almeno una fase essenziale della produzione avviene nella zona geografica di riferimento.
  • Esiste un disciplinare di produzione, che stabilisce materiali, metodi di lavorazione e standard qualitativi.
  • La domanda è presentata da un consorzio o un’associazione di produttori, non da singole imprese.

In teoria, qualsiasi produttore potrebbe ottenere l’IGP, ma nella pratica il sistema rischia di escludere chi non ha una struttura organizzativa solida. Senza un consorzio o un’associazione di categoria, le imprese artigiane non potranno nemmeno presentare la domanda.

Il bollino IGP: uno strumento di tutela o un “boomerang” per le MPMI italiane?

Per supportare la transizione, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy aveva stanziato 3 milioni di euro nel 2024 per finanziare la preparazione dei disciplinari di produzione. Tuttavia, sono stati assegnati poco più di 140 mila euro, segnale di una scarsa partecipazione da parte delle imprese artigiane e manifatturiere.

Tra i vincitori figurano:

  • Consorzio Corallo e Cammeo di Torre del Greco (24.000 € per ciascuna delle due domande presentate).
  • Associazione produttori “Ceramica Vietri” I.G.P. (24.590,16 €).
  • Consorzio Promovetro – Vetro Artistico di Murano (20.800 €).
  • Associazione “Stile Orafo Fiorentino” (20.480 €).
  • Consorzio Premax (coltelleria e forbici) (29.360 €).

Il basso tasso di adesione al bando evidenzia un problema strutturale: molte imprese non sono organizzate in consorzi e operano in modo indipendente, senza un supporto collettivo. Questo rischia di penalizzare le micro e piccole imprese (MPMI), escludendole dall’accesso alla certificazione.

Le principali barriere all’IGP per le MPMI sono tre:

  • Accesso limitato: solo consorzi e associazioni possono presentare domanda, escludendo le imprese autonome.
  • Costi e burocrazia: mantenere una certificazione è oneroso, più accessibile alle grandi aziende che alle piccole realtà artigiane.
  • Vantaggio per chi si muove per primo: i primi consorzi a ottenere l’IGP definiranno i disciplinari di produzione, stabilendo regole che potrebbero penalizzare chi arriva dopo.

Il bollino IGP avrà un impatto fortissimo anche sul mercato interno. I consumatori riconoscono e si fidano della certificazione, anche perché è la stessa utilizzata per i prodotti agroalimentari. Questo significa che i prodotti senza certificazione rischiano di perdere competitività, anche se realizzati con tecniche di altissima qualità.

Se da un lato l’IGP può rappresentare una grande opportunità per il Made in Italy, dall’altro rischia di diventare un’arma a doppio taglio, favorendo solo chi è già strutturato e penalizzando chi non ha le risorse per adeguarsi.

Viene prima la qualità o il bollino?

L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) per i prodotti non alimentari nasce con l’intento di valorizzare l’artigianato e l’industria manifatturiera italiana, ma la vera domanda è: il bollino sarà davvero garanzia di qualità o finirà per diventare un semplice strumento di marketing?

L’esperienza dei prodotti agroalimentari insegna che i consumatori riconoscono e si fidano delle certificazioni DOP e IGP, ma non sempre comprendono cosa significhino davvero. Il rischio è che la certificazione finisca per sostituire il valore intrinseco del prodotto, trasformando la qualità percepita in un concetto più legato alla presenza del marchio che alle caratteristiche reali del manufatto. Chi resterà fuori dall’IGP sarà automaticamente visto come meno affidabile, anche se produce eccellenze artigianali?

Diverse ricerche accademiche dimostrano che il marchio di certificazione influenza le scelte d’acquisto, ma il suo valore effettivo dipende da come viene percepito e comunicato. Secondo una ricerca condotta dalla Luiss Business School con il supporto di Amazon, oltre il 90% dei consumatori italiani riconosce i marchi DOP e IGP, ma solo il 55% ne comprende il significato reale. Il 62% ritiene che la certificazione dovrebbe essere collegata in modo più esplicito alla qualità perché oggi non esiste un legame automatico tra origine geografica e valore del prodotto (Luiss Business School, 2023).

Questo aspetto è stato confermato anche dalla ricerca dell’Università di Cassino, che ha evidenziato come il 92% degli intervistati riconosca il logo DOP e l’81% quello IGP, ma il livello di conoscenza effettiva sia molto più basso. Se da un lato il 27% dei consumatori considera la certificazione un criterio fondamentale di qualità, dall’altro per il 40% la sicurezza igienico-sanitaria è un fattore ancora più importante. Questo dimostra che il marchio da solo non basta, ma deve essere supportato da un valore percepibile dal cliente (Università di Cassino, 2023).

Un altro aspetto interessante emerge dalla tesi di Giulia Maculan dell’Università di Padova, che ha studiato il peso delle certificazioni nei prodotti agroalimentari. La sua ricerca ha dimostrato che i consumatori sono disposti a pagare fino al 165% in più per un prodotto certificato, ma solo se il valore del bollino è spiegato chiaramente e viene percepito come sinonimo di qualità reale. Se il marchio è poco chiaro o visto come un puro strumento commerciale, il premium price non viene giustificato e la certificazione perde peso nelle scelte d’acquisto (Maculan, 2022).

Se queste dinamiche si ripeteranno nel settore dell’artigianato e dell’industria manifatturiera, l’IGP potrebbe generare un effetto controproducente. Il disciplinare di produzione, infatti, definirà materiali, tecniche e caratteristiche minime per ottenere la certificazione. Ma un sistema troppo rigido potrebbe premiare la conformità burocratica più che la vera eccellenza artigianale. L’artigianato italiano è fatto di unicità, personalizzazione e tradizione. Un bollino basato su criteri standardizzati potrebbe penalizzare proprio le imprese che lavorano in modo più autentico, favorendo invece chi si adegua più facilmente ai parametri stabiliti. Il rischio è che l’IGP diventi una barriera d’accesso, più che un’opportunità, lasciando fuori le realtà che non si incastrano perfettamente nei disciplinari imposti dai primi consorzi certificati.

Chi ottiene per primo l’IGP avrà il potere di stabilire le regole, condizionando l’accesso al sistema per tutti gli altri. Questo significa che alcune categorie potrebbero essere escluse già in partenza, perché le loro tecniche di lavorazione non rientrano nei criteri stabiliti dai primi certificati. Le piccole imprese artigianali, che spesso operano in modo indipendente, rischiano di trovarsi senza una strada chiara per entrare nel sistema.

Per evitare che l’IGP si trasformi in un marchio più simbolico che sostanziale, è fondamentale garantire che i disciplinari di produzione siano inclusivi e aperti a diverse tecniche produttive, senza rigidità eccessive. Le imprese devono poter partecipare alla definizione delle regole, evitando che solo pochi gruppi influenzino il sistema. Inoltre, il valore della certificazione deve essere comunicato con chiarezza, affinché il consumatore non veda l’IGP solo come una sigla, ma come un vero indicatore di qualità.

Se gestita correttamente, l’IGP potrebbe davvero diventare un’opportunità per valorizzare il made in Italy. Ma se il bollino prenderà il sopravvento sulla qualità, potremmo trovarci di fronte a un sistema che premia solo chi si adatta alla burocrazia, penalizzando chi mantiene l’essenza più autentica del proprio lavoro.

Cosa devono fare le piccole eccellenze per non restare tagliate fuori?

L’introduzione delle Indicazioni Geografiche Protette (IGP) per i prodotti artigianali e industriali segna un cambiamento radicale per il mercato. Chi si organizza subito potrà sfruttare questa transizione a proprio vantaggio, mentre chi rimane fermo rischia di essere escluso da un sistema che sta per diventare il nuovo standard di qualità e riconoscibilità.

L’accesso all’IGP non è automatico: chi arriva per primo stabilisce le regole. La normativa prevede che la certificazione venga concessa in base a un disciplinare di produzione, e i primi consorzi che otterranno l’IGP per una determinata categoria di prodotti definiranno i criteri per tutti gli altri. Se le piccole imprese non partecipano alla scrittura di questi disciplinari, rischiano di trovarsi di fronte a regole troppo rigide o poco adatte alla loro produzione.

I pochi che si sono mossi in anticipo ha già ottenuto fondi pubblici per strutturarsi e preparare la documentazione necessaria. Tuttavia, il dato più preoccupante è che solo pochi distretti abbiano partecipato al bando, segnale di una destrutturazione del settore artigianale italiano. Molte realtà non sono ancora pronte o organizzate per affrontare questo cambiamento, e il rischio è che, quando si renderanno conto della portata della riforma, le regole saranno già state scritte da altri.

Le imprese artigiane e manifatturiere devono adottare una strategia chiara e proattiva.

  • Affidarsi a un consulente specializzato
    Il processo per ottenere l’IGP è complesso e burocratico, e senza una guida esperta si rischia di rallentare o addirittura di fallire la richiesta. Un esperto in proprietà intellettuale e diritto commerciale può aiutare nella preparazione del disciplinare e nella gestione della domanda.
  • Entrare in un’associazione o crearne una con il supporto di un professionista
    L’IGP non può essere richiesta da singole imprese, ma solo da gruppi di produttori organizzati. Questo significa che chi lavora in autonomia deve trovare un’associazione esistente o costituirne una nuova. Essere parte di un consorzio permette di accedere alla certificazione e di negoziare le condizioni del disciplinare, evitando che siano troppo rigide o penalizzanti per alcune lavorazioni tradizionali.
  • Partecipare alla definizione del disciplinare di produzione
    Ogni IGP sarà regolata da un disciplinare che stabilisce materiali, tecniche di lavorazione e standard qualitativi. Se non si partecipa a questa fase, si rischia di subire regole scritte da altri, che potrebbero escludere certe tecniche produttive o materiali utilizzati da alcune imprese.

Prepararsi alla procedura di certificazione
L’IGP deve essere approvata dalla Commissione Europea, attraverso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il processo richiede una documentazione dettagliata e la dimostrazione del legame tra il prodotto e il territorio. Chi arriva tardi nella presentazione della domanda rischia di subire regole imposte da altri, senza poterle influenzare.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 1 Marzo 2025
Ultimo aggiornamento: 3 Marzo 2025

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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