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Provvigione negata? La Corte d’Appello chiarisce le responsabilità del mediatore

Pubblicato in: Condomini ed Immobili
di Celeste Martinez Di Leo
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Quando un mediatore immobiliare può perdere il diritto alla provvigione, anche dopo aver fatto concludere l’affare? Una recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli (16 ottobre 2024, n. 4138) aiuta a chiarire quali comportamenti possono far decadere il diritto al compenso. L’articolo ricostruisce il caso giudiziario, evidenzia la distinzione tra errore e inadempimento, e definisce — con esempi pratici — i confini della responsabilità del mediatore. Uno strumento utile per mediatori, professionisti del settore e clienti che vogliano tutelarsi in modo consapevole.

Quando il mediatore perde il diritto alla provvigione?

Nel mercato immobiliare, la figura del mediatore è centrale: mette in contatto venditore e acquirente e favorisce la conclusione dell’affare. Ma il diritto alla provvigione sorge solo a determinate condizioni, e può venire meno in presenza di comportamenti scorretti o omissioni rilevanti. Per capire quando il compenso è davvero a rischio, bisogna partire dalle regole del Codice Civile.

Per comprendere meglio i confini di questo diritto, è utile richiamare le norme fondamentali che regolano il contratto di mediazione:

  • Art. 1755 c.c. – Il mediatore ha diritto alla provvigione da entrambe le parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento.
  • Art. 1759 c.c. – È tenuto a comunicare tutte le circostanze a lui note che possano influire sulla valutazione e sulla sicurezza dell’affare.
  • Art. 1455 c.c. – La risoluzione del contratto avviene solo in caso di inadempimento non di scarsa importanza, cioè rilevante per l’interesse della controparte.
  • Art. 1460 c.c. – In presenza di prestazioni corrispettive, una parte può sospendere la propria prestazione se l’altra non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente.

Secondo la giurisprudenza, il diritto alla provvigione matura nel momento in cui l’attività del mediatore porta le parti a un’intesa vincolante, anche se poi l’affare non si conclude con l’atto notarile. Il ruolo del mediatore, quindi, non si misura su ciò che accade dopo, ma sull’efficacia del suo intervento nel far nascere un accordo.

Tuttavia, non è un diritto assoluto. Se il mediatore viola i suoi obblighi fondamentali, ad esempio omettendo informazioni rilevanti o gestendo in modo scorretto la trattativa, può perdere il compenso. Ma non basta un semplice errore: l’inadempimento, per avere effetto, deve essere grave, come chiarisce proprio l’art. 1455 c.c. e deve avere inciso concretamente sull’esito dell’affare.

In definitiva, il mediatore perde il compenso solo se viola obblighi essenziali e se la sua condotta ha avuto un peso decisivo nella mancata conclusione dell’accordo. È questa la chiave per interpretare la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che ha fatto chiarezza su un tema ancora molto discusso nel settore immobiliare.

Basta un errore per perdere la provvigione?

Nel giudizio esaminato dalla Corte d’Appello di Napoli, Sez. IX, Sent. 16/10/2024, n. 4138, l’acquirente ha tentato di sottrarsi al pagamento della provvigione invocando una serie di omissioni informative da parte del mediatore. In particolare, lamentava di non essere stata informata né sugli oneri condominiali deliberati, né sulla precedente riduzione del prezzo dell’immobile da 140.000 a 130.000 euro. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tali contestazioni non integrassero un inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 c.c.

È la stessa sentenza a chiarire che:

Non ogni inesatta informazione implichi la responsabilità del mediatore da inadempimento” e che la contestazione circa l’omessa specificazione degli oneri condominiali era “generica, tanto da non permettere di valutare qualsiasi incidenza della informazione inesatta sul buon esito dell’affare”.

Quanto alla riduzione del prezzo, la Corte ha ritenuto che la stessa acquirente non la considerasse in realtà decisiva per la sua scelta di revocare la proposta, aggiungendo:

La circostanza della riduzione da Euro 140.000,00 a Euro 130.000,00 […] era dalla stessa appellante considerata di scarsa importanza”.

Non solo: la Corte ha anche osservato come il comportamento dell’acquirente non sia stato improntato a buona fede, soprattutto alla luce del documento sottoscritto in data 4 luglio 2012, in cui ella stessa dichiara di non voler concludere l’affare a causa dei lavori condominiali e contestualmente ritira la caparra, segno che la decisione di recedere era già maturata, indipendentemente dalle presunte omissioni.

Infine, la Corte ha escluso che il mediatore avesse ammesso alcuna responsabilità restituendo l’assegno:

Nel contegno posto in essere dal mediatore […] non è ravvisabile un comportamento concludente atto a dar conto del preteso riconoscimento della fondatezza della pretesa della proponente di ritenersi svincolata da ogni obbligo verso il mediatore”.

Il risultato? La Corte ha confermato che l’affare si era concluso validamente e che l’inadempimento lamentato dall’acquirente era infondato. Il mediatore non ha perso la provvigione per quelle contestazioni.

Ma — come si vedrà nel capitolo successivo — la sua posizione è stata compromessa per un altro motivo: la gestione scorretta della caparra, che ha dato origine alla contestazione più rilevante.

Caparra restituita senza autorizzazione: il vero errore del mediatore

A differenza di quanto sostenuto dall’acquirente, non sono state le contestazioni relative agli oneri condominiali o alla riduzione del prezzo dell’immobile a far perdere al mediatore il diritto alla provvigione. È stato un altro l’errore determinante: la gestione irregolare della caparra confirmatoria, che ha violato il mandato ricevuto dal venditore.

Nel dettaglio, l’acquirente aveva consegnato al mediatore un assegno di 5.000 euro a titolo di caparra, da trattenere fiduciariamente. Dopo la proposta d’acquisto del 27 giugno 2012, il venditore aveva accettato formalmente la proposta il 4 luglio. Tuttavia, quello stesso giorno, l’acquirente ha dichiarato di voler recedere dall’acquisto, e il mediatore, senza attendere istruzioni dal venditore, ha restituito autonomamente la caparra all’acquirente.

Questa condotta è stata ritenuta dalla Corte d’Appello un inadempimento grave agli obblighi del contratto di mediazione, ma non verso l’acquirente, bensì verso il venditore, suo cliente. La Corte ha infatti stabilito che il mediatore avrebbe dovuto consegnare la caparra al venditore, in quanto titolato a trattenerla come forma di compensazione per il rifiuto ingiustificato dell’acquirente. Restituendola senza autorizzazione, il mediatore ha privato il venditore di una tutela legittima.

Il passaggio chiave della sentenza recita:

il primo giudice ha operato al riguardo una valutazione […] ovvero che la restituzione del titolo è avvenuta in realtà in assenza di autorizzazione del sig. OMISSIS, senza previamente interpellarlo, il che, ha concluso, costituisce grave inadempimento all’incarico di mediazione​“.

Per questo motivo, il contratto di mediazione è stato risolto per colpa del mediatore, e il venditore ha ottenuto la condanna del mediatore stesso a rimborsare di tasca propria l’intero importo della caparra. In altre parole, la caparra è stata il vero nodo giuridico del caso, non una questione secondaria. Ed è su questo fronte che il mediatore ha perso tutto: il mandato, il compenso e la fiducia del cliente.

Quali sono i confini della responsabilità del mediatore?

La vicenda affrontata dalla Corte d’Appello di Napoli dimostra quanto sia sottile ma decisiva la distinzione tra errore formale e inadempimento vero e proprio. Il mediatore, in questo caso, non ha perso il compenso per omissioni informative nei confronti dell’acquirente, giudicate generiche e prive di incidenza diretta sull’affare. A far saltare tutto è stata invece la violazione del mandato ricevuto dal venditore, cliente effettivo del mediatore.

Restituire la caparra senza il consenso del venditore ha significato, in concreto, privarlo di una garanzia prevista per legge (art. 1385 c.c.) in caso di mancato acquisto. La Corte ha ritenuto che questa condotta fosse sufficiente per risolvere il contratto di mediazione per grave inadempimento, facendo così venir meno il diritto alla provvigione. Non è una questione formale: si tratta di aver tradito le aspettative giuridicamente rilevanti del cliente, venendo meno al principio di correttezza e lealtà professionale.

Per i mediatori, il caso suggerisce una regola chiara: la neutralità non significa indifferenza. Quando si è fiduciari di una parte — in questo caso, il venditore — non si può agire di testa propria “per chiudere la questione” o per compiacere l’altra parte. Ogni decisione che riguarda beni o somme a titolo fiduciario deve essere condivisa, tracciata e autorizzata. Altrimenti, anche un mediatore che ha fatto concludere l’affare rischia di non vedere un euro.

Per acquirenti e venditori, la lezione è un’altra: la provvigione non può essere negata per qualsiasi motivo, ma nemmeno è dovuta in ogni caso. Chi contesta il pagamento deve dimostrare che l’inadempimento del mediatore ha compromesso diritti concreti e tutelati. In questo caso, il venditore ha saputo farlo — e ha vinto.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 31 Marzo 2025
Ultimo aggiornamento: 1 Aprile 2025

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