Evita usi indebiti e tutela il valore distintivo del tuo brand rinomato.
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Può un marchio di moda essere minacciato da una linea di prodotti alimentari? La risposta della Cassazione è chiara: sì, se questo rischia di diluirne il valore e di sfruttarne la notorietà senza giustificazione.
Nel mondo della proprietà industriale, la tutela dei segni distintivi non si limita ai casi di contraffazione diretta. Esistono fenomeni più sottili, ma altrettanto dannosi, come la diluizione del marchio e l’agganciamento parassitario, due dinamiche che possono minare la forza e l’unicità del brand rinomato.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 1180/2025, ha affrontato questi temi, riconoscendo la nullità di alcuni marchi contenenti il nome “ZARA” registrati nel settore alimentare.
La decisione conferma un principio fondamentale: i marchi noti godono di una tutela rafforzata, anche al di fuori del loro settore merceologico. Il rischio non è tanto la confusione tra i prodotti, quanto l’indebolimento del valore simbolico del brand e il vantaggio ingiusto che altri potrebbero trarne.
La vicenda giuridica analizzata nella pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da una controversia sulla registrazione di alcuni marchi contenenti il termine “ZARA”, utilizzati nel settore alimentare. Il noto marchio di moda, titolare di un segno distintivo rinomato a livello internazionale, ha contestato tali registrazioni, sostenendo che esse violassero i suoi diritti esclusivi.
L’elemento chiave della controversia non era il rischio di confusione per il consumatore – che di solito è il parametro principale per valutare la violazione di un marchio – poiché nessun cliente avrebbe pensato che il famoso brand di abbigliamento avesse lanciato una linea di generi alimentari.
Tuttavia il titolare del marchio di moda ha evidenziato due rischi rilevanti:
Infatti, se il termine “ZARA” fosse stato utilizzato in più settori senza controllo, avrebbe perso il suo valore esclusivo e la sua capacità di evocare immediatamente il brand di moda.
In prima battuta, il Tribunale di Genova aveva respinto le richieste del titolare del marchio di moda, ritenendo che non vi fosse alcun rischio di confusione tra i segni e che la diversità merceologica escludesse qualsiasi interferenza diretta tra i due marchi.
La Corte di Appello di Genova, invece, ribaltando la decisione del Tribunale, aveva riconosciuto che l’uso del termine “ZARA” nel settore alimentare poteva compromettere l’identità del marchio originario e sfruttarne la fama senza giustificato motivo. Di conseguenza, ha dichiarato nulli i marchi contestati e ha vietato il loro utilizzo, imponendo una sanzione pecuniaria in caso di violazione.
La Corte di Cassazione ha confermato integralmente l’impostazione della Corte d’Appello, chiarendo che la tutela dei marchi rinomati non si limita ai casi di confondibilità, ma si estende anche alla protezione contro la diluizione e l’agganciamento parassitario.
Un marchio non è solo un segno distintivo, ma un asset intangibile che racchiude prestigio, storia e riconoscibilità. Quando un brand raggiunge un certo livello di notorietà, la legge lo protegge anche da usi che potrebbero indebolirne l’identità.
Infatti, la protezione dei marchi rinomati è sancita dal Codice della Proprietà Industriale (D.Lgs. 30/2005 – CPI), che all’articolo 12, comma 1, lett. f) stabilisce che un marchio non possa essere registrato se è identico o simile a un marchio anteriore rinomato, indipendentemente dai prodotti o servizi per cui è richiesto, se tale utilizzo può trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore, oppure arrecargli pregiudizio (per approfondire il concetto di rinomanza, vedi Quando un marchio può definirsi “rinomato”? Il caso “Mario Valentino” – Canella Camaiora).
Inoltre, l’articolo 20, comma 1, lett. c) rafforza questa protezione, consentendo al titolare di un marchio rinomato di vietare ai terzi l’uso di un segno identico o simile che possa sfruttare o danneggiare la reputazione del proprio marchio, anche se non vi è rischio di confusione diretta.
Questa normativa riflette i principi del diritto comunitario, in particolare, il Regolamento UE 2017/1001 che garantisce una protezione rafforzata ai marchi di fama consolidata. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che non è necessario dimostrare un danno concreto al marchio rinomato, ma è sufficiente la possibilità di un vantaggio ingiusto o di un danno alla sua immagine.
Alla luce di questa normativa, la Corte di Cassazione ha analizzato il rischio di diluizione del marchio, un fenomeno che può compromettere l’identità e il valore di un brand affermato.
Uno dei punti centrali della sentenza è la diluzione del marchio. Nel caso in esame, la Corte ha evidenziato che l’uso del termine “ZARA” per contraddistinguere prodotti alimentari avrebbe potuto indebolire la capacità distintiva del marchio originario, registrato per il settore della moda e della vendita al dettaglio.
Il problema non era la confusione, ma il rischio che “ZARA” smettesse di essere sinonimo di moda per diventare un nome generico, privo di unicità.
La diluzione si manifesta in due forme principali:
Anche se non è stato dimostrato un danno diretto alla reputazione della società di abbigliamento, la sola possibilità di un uso non controllato del marchio nel settore alimentare è stata ritenuta sufficiente a giustificare l’annullamento dei marchi della società italiana.
Questa interpretazione è perfettamente in linea con il principio di tutela rafforzata previsto dal CPI e dalle sentenze della CGUE.
Oltre alla diluizione, la Corte ha evidenziato un altro problema: l’agganciamento parassitario, noto anche come “freeriding”.
In poche parole, questo fenomeno si verifica quando una società usa un nome famoso per trarre vantaggio dalla sua notorietà senza aver fatto nulla per meritarlo. È sufficiente che il nuovo marchio benefici, anche indirettamente, della reputazione di quello preesistente.
Immaginiamo un marchio di lusso come Chanel® che improvvisamente viene registrato per un brand di detersivi. Anche se i prodotti sono diversi, il valore simbolico del nome verrebbe compromesso, e il produttore del detersivo ne trarrebbe un vantaggio immediato senza alcuno sforzo commerciale. Lo stesso principio vale per il caso “ZARA”.
Nel caso specifico, infatti, la Corte ha osservato che l’uso della parola “ZARA” per il settore alimentare non aveva alcuna giustificazione concreta, se non quella di sfruttare la fama del brand di moda. Non c’era un reale legame storico o territoriale che motivasse l’uso del nome, né una necessità commerciale specifica.
La Cassazione ha confermato il principio secondo cui un marchio rinomato non può essere sfruttato da terzi senza un giustificato motivo, anche se l’attività riguarda un settore completamente diverso.
La decisione della Cassazione assume particolare rilievo perché sottolinea un principio essenziale del diritto dei marchi: la protezione dei marchi rinomati si estende oltre il loro specifico settore merceologico. Ciò significa che una società che detiene un marchio famoso può opporsi a nuove registrazioni che, pur operando in ambiti differenti, rischiano di:
Per le imprese, questa sentenza rappresenta un importante precedente: i titolari di marchi noti sono incoraggiati a monitorare il mercato e a intervenire tempestivamente per tutelare il valore e la riconoscibilità del proprio brand.
Dall’altro lato, chiunque voglia registrare un marchio simile a uno già rinomato, anche in un settore completamente diverso, dovrà valutare attentamente il rischio di contestazione. È fondamentale effettuare un’analisi approfondita per evitare rischi legali e proteggere il proprio investimento.
Questa sentenza è un monito per chi registra un marchio: non basta cambiare settore per evitare problemi legali. Il valore di un brand non è solo nei prodotti che vende, ma nella percezione che il pubblico ha di esso. Proteggerlo significa tutelare un asset strategico, e la giurisprudenza è sempre più attenta a garantire questa protezione.
Margherita Manca