Valuta rischi e clausole critiche prima di firmare un franchising immobiliare.
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Il franchising immobiliare rappresenta un’opportunità interessante per agenti e imprenditori che vogliano avviare un’attività sotto l’egida di un brand noto. Tuttavia, dietro la promessa di supporto e visibilità, si celano spesso clausole contrattuali complesse, che possono compromettere la libertà e la sostenibilità dell’affiliato.
Questo articolo analizza le principali clausole presenti nei contratti di franchising immobiliare — dalle condizioni di licenza del marchio alle penali per inadempimento — alla luce della Legge n. 129/2004, offrendo una guida concreta per riconoscere i rischi e tutelarsi fin dalla stipula. Un contributo utile per chi vuole entrare in una rete, senza rimanerne intrappolato.
Il franchising è il contratto tra due soggetti, disciplinato dalla Legge n. 129 del 2004, con cui un’impresa (franchisor) concede a un’altra (franchisee) la disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale e intellettuale — come marchi, know-how, assistenza e consulenza — in cambio di un corrispettivo economico. L’obiettivo è inserire l’affiliato in una rete ramificata sul territorio, per la commercializzazione di beni o servizi.
Nel settore immobiliare, questo modello consente di aprire un’agenzia utilizzando il nome e il format commerciale di una rete già affermata, con vantaggi evidenti in termini di avviamento, strumenti e supporto (per approfondire “Come costruire un format unico ma replicabile: il franchising”). In cambio, l’affiliato deve rispettare determinati standard operativi, utilizzare software, piattaforme e strumenti imposti, e sostenere fee di ingresso e royalty periodiche.
Chi decide di aprire un’agenzia immobiliare in franchising spesso lo fa per una ragione semplice: l’aspettativa di entrare in un circuito già funzionante, con un nome riconoscibile, un sistema collaudato e strumenti operativi già pronti. È senz’altro un’opportunità interessante per chi vuole mettersi in proprio, ma non vuole partire da zero.
Il franchising però è un contratto a tutti gli effetti, regolato da una legge specifica che impone obblighi, vincoli e strutture precise. Il franchisor e il franchisee restano due soggetti giuridici distinti, seppur interdipendenti, il cui accordo commerciale dà origine a una relazione articolata che va a innestarsi in una rete (attuale o potenziale) che coinvolge soggetti terzi (gli altri franchisee in primis).
L’art. 3 L. 129/2004 prevede che il contratto di franchising sia redatto per iscritto, a pena di nullità. Il contratto deve innanzitutto prevedere il c.d. Franchise Package, che – nella misura più essenziale – include:
Come in ogni contratto, le insidie possono nascondersi proprio tra le righe. Per questo è fondamentale capire quali siano le clausole più comuni e delicate da valutare prima della firma.
Si è detto di come il franchising consista nella concessione, da parte del franchisor, di una serie di diritti di proprietà industriale — come marchi, insegne, know-how — allo scopo di inserire l’affiliato in un sistema distribuito sul territorio. Ma cosa significa tutto questo, nella pratica di un’agenzia immobiliare?
Significa che l’affiliato potrà usare il brand e l’identità visiva della rete, accedere a software gestionali e a piattaforme condivise per gli annunci, utilizzare modulistica standardizzata e beneficiare di formazione continua. In cambio, dovrà rispettare regole dettagliate sulla gestione dell’agenzia, sulle modalità operative e sul rapporto con i clienti.
Tutto questo ha un prezzo. Il contratto prevede normalmente il pagamento di una fee una tantum (c.d. diritto d’ingresso) e delle royalties periodiche, che possono essere fisse o proporzionali al volume d’affari. A questi si aggiungono spesso costi accessori per la pubblicità, l’aggiornamento dei software o la formazione obbligatoria.
Tutti questi costi devono essere opportunamente indicati nel contratto assieme ad altre clausole già in larga parte previste dalla normativa stessa.
Tra le clausole necessarie del franchising immobiliare troviamo quelle che descrivono cosa viene concesso all’affiliato e a quali condizioni. In genere, l’affiliante mette a disposizione il proprio marchio, l’immagine coordinata, il know-how, e un sistema organizzativo collaudato. In cambio, l’affiliato si impegna a rispettare regole stringenti su come operare, presentarsi e promuovere i servizi.
Possono poi essere previste clausole di esclusività territoriale. Queste risultano essere molto utili per evitare un affollamento delle agenzie affiliate che rischierebbe di rendere infruttuoso l’investimento del franchisee. La definizione del territorio assegnato dovrà essere precisa, poiché l’ambiguità nella stessa potrebbe creare sovrapposizioni con altri affiliati o con agenzie dirette del franchisor, con indesiderata concorrenza interna al franchise.
L’art. 5 L. 129/2004 prevede inoltre l’inclusione nel contratto di clausole di riservatezza, segretezza e non divulgazione. Il motivo della previsione legale è presto detto: il know how è un elemento essenziale del franchise e, perché mantenga il proprio valore e la propria meritevolezza di tutela, deve rimanere segreto. Tuttavia, la previsione contrattuale in una apposita clausola si rende comunque opportuna, perché può aiutare a definire i confini della riservatezza richiesta, affermando in chiaro – ad esempio – che la divulgazione di talune informazioni costituirà in ogni caso una violazione degli obblighi contrattuali.
Il contratto, infine, deve stabilire una durata — che la legge fissa in almeno tre anni, se non altrimenti determinata — e prevedere condizioni di rinnovo o cessazione. Ma cosa accade quando il rapporto contrattuale termina? Il franchisee può ricominciare da capo, in autonomia?
Alla cessazione del contratto, entrano in gioco le cosiddette clausole post contrattuali. Sono quelle che continuano a operare anche dopo che l’affiliato ha lasciato la rete. È qui che si concentrano alcuni dei vincoli più pesanti. Se da un lato il franchisor si deve preoccupare di prevederli, dall’altro il franchisee deve stare molto attento per evitare di vedere eccessivamente ostacolata la propria futura attività d’impresa e di esporsi a ingenti richieste di risarcimento.
In primo luogo, infatti, nell’ambito del franchising trovano ampio spazio le clausole post contrattuali di limitazione della concorrenza, su cui la giurisprudenza maggioritaria – in ragione del particolare rapporto che caratterizza franchisee e franchisor – è molto più permissiva che altri ambiti contrattuali. Tuttavia, non vige la totale libertà di pattuizione tra le parti, essendo comunque applicabile la normativa antitrust europea.
Infatti, il Regolamento CE n. 330/2010 stabilisce che un patto di non concorrenza post contrattuale può essere considerato valido solo a determinate condizioni. In particolare, deve risultare necessario per tutelare il know-how trasmesso dal franchisor durante il rapporto; deve riguardare beni o servizi che siano effettivamente in concorrenza con quelli oggetto del contratto di franchising; deve essere limitato alla zona geografica in cui l’affiliato ha effettivamente operato; infine, non può avere una durata superiore a un anno dopo la cessazione del contratto (potete leggere qui un interessante approfondimento: “Il patto di non concorrenza nel franchising: validità, limiti e gestione delle controversie”).
In secondo luogo, possono essere previsti obblighi di restituzione. Se le relative clausole vengono implementate, al termine del rapporto l’affiliato dovrà restituire ogni materiale ricevuto in uso: insegne, manuali, dispositivi, credenziali d’accesso. A corredo di questi obblighi restitutori, le penali (su cui torneremo) sono spesso dietro l’angolo.
I franchisor più severi, ovviamente, punteranno a vietare l’uso di qualsiasi elemento riconducibile alla vecchia identità visiva, anche solo nei biglietti da visita.
Ancora, è possibile prevedere clausole che dispongano delle trattative avviate e non concluse prima della cessazione del contratto. Se il franchisor ritiene che queste siano il frutto dell’avviamento concesso dall’appartenenza al franchise stesso, può pretendere che l’ex affiliato debba comunque collaborare alla gestione dell’affare o addirittura rinunciare a eventuali provvigioni derivanti dalla mediazione immobiliare.
Infine, al termine del rapporto, rimane inoltre in auge il vincolo della riservatezza post contrattuale. Dati, strategie, documenti interni: tutto deve restare coperto da segreto. L’affiliato non può divulgare informazioni apprese durante il rapporto e deve impegnarsi affinchè i suoi collaboratori si obblighino in senso conforme.
Evidenziato quindi che, quando un contratto di franchising termina, non tutto debba necessariamente finire con una stretta di mano, il tema più nevralgico resta senza dubbio quello delle penali. Tutte le clausole sopra descritte possono concretizzarsi in pattuizioni “vuote”, se non c’è il potere di una parte di farle valere. Se infatti l’ordinamento riconosce la possibilità di condannare la parte inadempiente all’esecuzione in forma specifica e al risarcimento, predeterminare una forma specifica di sanzione risulta spesso essere il deterrente più efficace.
Le clausole penali sono uno strumento previsto dall’art. 1382 c.c., ma diventano particolarmente insidiose nel contesto del franchising immobiliare. Servono a tutelare (il più delle volte) il contraente che le predispone in caso di violazioni delle obbligazioni (contrattuali e post contrattuali) e possono essere azionate anche anni dopo il termine del contratto.
Ad esempio, un contratto può prevedere una penale fissa per ogni giorno di persistente uso non autorizzato del marchio, o per il ritardo nella restituzione di merci, merchandising e credenziali al termine del contratto. Ancora, una penale può essere prevista, e per importi rilevanti, in caso di apertura di una nuova agenzia in diretta concorrenza.
Queste clausole, che possono rivelarsi davvero incisive, passano spesso inosservate. Ricordiamo infatti che il franchising si configura sempre come rapporto contrattuale tra imprenditori, il che implica l’inapplicabilità della normativa a tutela del consumatore (ivi inclusa la previsione sulla nullità delle cc.dd. clausole vessatorie).
Perché le penali sono così gradite da parte di chi le predispone?! Perché hanno l’inestimabile vantaggio pre-forfettizzare l’entità del danno, prescindendo dalla sua prova effettiva e dalla sua reale quantificazione. D’altro canto il Giudice – se adito – potrà intervenire solo ove dovesse ritenerla manifestamente eccessiva (art. 1384 c.c.) o se l’obbligazione è stata comunque in parte eseguita.
Per questo sarà essenziale, già nella fase precontrattuale, eseguire una due diligence attenta. Meglio ancora, farsi assistere da un professionista esperto in contratti di affiliazione commerciale, capace di individuare clausole scomode, proporre revisioni e negoziare modifiche.
Il consiglio? Non limitarsi a firmare. Meglio negoziare, chiedere chiarimenti, e soprattutto valutare attentamente le clausole prima della stipula. Perché dietro un’opportunità interessante si possono nascondere clausole killer. E conoscerle in anticipo è la miglior forma di tutela.
Gabriele Rossi