Abstract
In Italia, il rapporto tra intelligenza artificiale e diritto d’autore va assumendo contorni più precisi, grazie a un primo pronunciamento della Cassazione e a una proposta normativa attualmente all’esame della Camera dei deputati. Sebbene la Corte di Cassazione non si sia ancora pronunciata in modo definitivo, in una recente ordinanza ha lasciato intravedere un orientamento favorevole al riconoscimento della tutela quando il risultato creativo è riconducibile a un essere umano, anche se ottenuto con l’ausilio di software. Parallelamente, il Disegno di legge recante disposizioni in materia di intelligenza artificiale – in attesa di approvazione definitiva – mira a confermare legislativamente che le opere generate con strumenti di IA possono essere protette, a condizione che rappresentino il frutto del lavoro intellettuale umano. Un articolo per capire in che direzione si muove il diritto d’autore nell’era degli algoritmi.
Il diritto d’autore secondo la legge italiana e la Convenzione di Berna
La tutela giuridica delle opere dell’ingegno non nasce a livello nazionale, ma trova fondamento nei principali trattati internazionali. Tra questi, la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche rappresenta la pietra angolare del diritto d’autore a livello globale. Firmata per la prima volta nel 1886 e successivamente aggiornata, la Convenzione stabilisce il principio secondo cui le opere creative devono essere protette in ogni Stato aderente, indipendentemente dalla formalità del deposito o della registrazione, dal momento della loro creazione.
Nel contesto italiano, il diritto d’autore è regolato dalla Legge n. 633 del 1941, che all’articolo 1 stabilisce un principio chiave: «Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo […] qualunque ne sia il modo o la forma di espressione».
Ma cosa significa “carattere creativo”? La creatività, nella logica del diritto d’autore, non coincide con l’originalità dell’oggetto rappresentato, bensì con le modalità espressive attraverso cui quell’oggetto prende forma. È creativa, ad esempio, una fotografia che ritrae un paesaggio comune, se l’autore lo ha rappresentato con un taglio, un’inquadratura, un’atmosfera o una luce capaci di imprimere all’immagine una dimensione personale e riconoscibile.
Non è quindi richiesta una “novità assoluta” in senso tecnico o inventivo (come nel diritto dei brevetti), ma una scelta libera e discrezionale dell’autore che si traduca in una rappresentazione originale, sia essa reale o immaginaria.
Questo principio è fondamentale per comprendere il rapporto tra creatività e protezione giuridica: senza creatività, non c’è diritto d’autore, nemmeno in presenza di un’opera compiuta.
Un’intelligenza artificiale può essere titolare di diritti d'autore?
Un’opera può essere tutelata dal diritto d’autore solo se rappresenta l’espressione di un’attività intellettuale consapevole. È questo il motivo per cui un sistema di intelligenza artificiale, privo di volontà e autonomia decisionale, non può essere considerato autore nel senso giuridico del termine.
Il contenuto prodotto da un algoritmo, per quanto complesso, non nasce da un’intenzione creativa e non esprime una visione soggettiva. Proprio per questo, il legislatore – tanto in Italia quanto a livello europeo – non attribuisce all’IA la titolarità di diritti d’autore.
La tutela si fonda sempre sull’esistenza di un soggetto umano in grado di compiere scelte espressive. In assenza di questo elemento, manca il presupposto stesso della protezione.
Il quadro italiano tra giurisprudenza e interventi normativi
In Italia, il rapporto tra intelligenza artificiale e diritto d’autore comincia a definirsi lungo due direttrici: quella giurisprudenziale e quella normativa. Sebbene non esista ancora una disciplina compiuta, alcuni orientamenti stanno emergendo con chiarezza.
Un primo contributo è giunto dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1107/2023, relativa al caso “The Scent of the Night” dell’architetta Chiara Biancheri. L’opera, una composizione digitale generata anche attraverso software, è stata riconosciuta come tutelabile in quanto risultato di scelte creative personali da parte dell’autrice, nonostante l’impiego di strumenti automatizzati.
La Suprema Corte ha ricordato che:
“la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia; inoltre, la creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere, che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione”
(Sez. 1, n. 25173 del 28.11.2011; Sez. 1, n. 21172 del 13.10.2011; Sez. 1, n. 20925 del 27.10.2005).
Sebbene la sentenza non abbia affrontato in modo diretto e compiuto la questione delle opere generate con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, essa ha comunque tracciato un orientamento importante. La Corte ha affermato che l’uso di un software nel processo creativo non è di per sé sufficiente per negare la tutela autoriale. Piuttosto, tale uso richiede un accertamento più rigoroso sul tasso di creatività, volto a verificare se – e in quale misura – lo strumento tecnologico abbia sostituito o assorbito l’elaborazione personale dell’artista. Qualora si ritenga che l’apporto umano resti prevalente, non vi sarebbe ragione per negare il riconoscimento del diritto d’autore a chi ha utilizzato l’IA come strumento tecnico.
(Per approfondire: Software e creatività: la Suprema Corte sulla tutelabilità della digital art – Arlo Canella0)
Questa impostazione è perfettamente in linea con la visione adottata dal Tribunale di Pechino, che in una recente pronuncia ha trattato l’intelligenza artificiale come un semplice strumento creativo, attribuendo la titolarità dei diritti all’utente umano che lo ha utilizzato consapevolmente (Li v. Liu – Bejing Internet Court 27 novembre 2023). Per approfondire: Intelligenza Artificiale: una “sentenza esemplare” arriva dal Tribunale di Pechino – Arlo Canella.
A questo primo orientamento si affianca oggi una proposta normativa. Il 20 marzo 2025, il Senato ha approvato un disegno di legge (ancora non approvato dalla Camera dei deputati) volto ad adeguare il diritto interno alle sfide dell’intelligenza artificiale, in coordinamento con il nuovo AI Act europeo.
L’articolo 25 del disegno di legge approvato (Tutela del diritto d’autore delle opere generate con l’ausilio dell’intelligenza artificiale) introduce una modifica all’art. 1 della Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941), stabilendo che: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno umano di carattere creativo, che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, anche laddove create con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale, purché costituenti risultato del lavoro intellettuale dell’autore, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.” (Per approfondire sul DDL sull’intelligenza artificiale si veda: Il DDL italiano sull’IA e la tutelabilità della “creatività artificiale”).
Questo significa che per il momento non si esclude in astratto la possibilità di proteggere opere AI-generated, ma condiziona la tutela alla presenza di un apporto umano significativo, che deve essere concretamente individuabile. Non si introduce, dunque, un automatismo esclusivo, bensì un criterio sostanziale di valutazione. L’obiettivo è promuovere un uso collaborativo e responsabile dell’IA, lasciando spazio alla protezione solo quando l’essere umano svolge un ruolo effettivamente creativo.
Quando l’umano crea con l’IA: la centralità del contributo creativo umano
Un contenuto generato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale può essere protetto dal diritto d’autore se riflette un contributo creativo umano effettivo. Non è lo strumento in sé a determinare la tutelabilità dell’opera, ma l’intervento dell’autore nel guidarne la realizzazione.
L’intelligenza artificiale opera come un mezzo tecnico: restituisce risultati in base agli input ricevuti. La protezione giuridica scatta nel momento in cui l’utente esercita un controllo consapevole, impartisce istruzioni con intento espressivo, compie scelte personali e investe risorse intellettuali nel processo.
Chi progetta il modello di IA non può rivendicare alcun diritto sull’opera generata: ha costruito uno strumento, non ha partecipato alla sua applicazione creativa. Il diritto d’autore spetta invece a chi ha fornito gli input, affinato i risultati e indirizzato il processo secondo una propria visione.
Il fatto che l’elaborazione sia stata facilitata da un sistema automatico non esclude, di per sé, la protezione. A essere decisiva è la presenza di un contributo creativo umano sufficiente a trasformare un risultato algoritmico in un’opera riconducibile a una persona.
Il quadro giuridico che si delinea evidenzia una linea comune: l’opera generata con l’ausilio dell’IA può godere di protezione solo quando è riconducibile a un apporto umano dimostrabile.
Non è il mezzo impiegato – che sia un pennello, una macchina fotografica o un algoritmo – a determinare la tutelabilità dell’opera, ma l’intervento creativo di chi lo utilizza. L’intelligenza artificiale, in questa prospettiva, si configura come uno strumento evoluto al servizio della creatività umana, non come suo sostituto.
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Data di pubblicazione: 18 Giugno 2025
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Celeste Martinez Di Leo
Praticante avvocato, laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia e in “Abogacía” presso l’Universidad de Belgrano (Argentina) a pieni voti.