Licenziamento per giusta causa: quando il giudice dà ragione al datore di lavoro?

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Abstract

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la forma più radicale di interruzione del rapporto di lavoro. Si tratta di una misura che il datore può adottare quando si verifica un fatto talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto. Nonostante l’apparente chiarezza della norma, nella pratica si tratta di una delle fattispecie più delicate e soggette a interpretazioni, sia da parte delle aziende sia dei giudici. Comprendere cosa si intenda esattamente per “giusta causa” e quali siano i criteri utilizzati dalla giurisprudenza è fondamentale, tanto per il datore di lavoro quanto per il dipendente.

Cosa si intende per “giusta causa”?

La nozione di giusta causa si rinviene nell’art. 2119 del Codice Civile, il quale prevede che

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto e’ a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.

La norma prevede, pertanto, che si possa recedere dal rapporto quando l’altra parte pone in essere una condotta talmente grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro anche solo per un giorno in più:

  • nei contratti a tempo determinato: prima della scadenza del termine;
  • nei contratti a tempo indeterminato: in qualsiasi momento, senza rispettare i termini di preavviso.

La risoluzione del rapporto ha quindi effetto immediato, non richiede preavviso e non comporta alcuna indennità sostitutiva.

Prima di entrare nel vivo del licenziamento per giusta causa, è lecito fare una distinzione.

Se il licenziamento per giusta causa si configura quando il comportamento del prestatore è talmente grave da far venir meno la fiducia su cui è basato il rapporto di lavoro, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che pure riguarda un comportamento del lavoratore, è meno grave: ad esempio, il mancato rispetto delle direttive aziendali, il rifiuto di svolgere straordinari o trasferte, o un costante scarso rendimento dovuto a negligenza. In tali casi il licenziamento è soggetto a preavviso e, di norma, il lavoratore mantiene il diritto alla NASpI.

Se, invece, la risoluzione dipende da esigenze economiche o organizzative dell’azienda, si parlerà di giustificato motivo oggettivo, con una disciplina procedurale ancora diversa, che prevede, ad esempio, la comunicazione obbligatoria all’Ispettorato del Lavoro per le aziende sopra i 15 dipendenti.

Le motivazioni alla base del licenziamento sono dunque differenti, e diversa sarà anche la procedura da seguire per ciascuna tipologia.

Quali comportamenti giustificano la giusta causa?

La legge non fornisce un elenco chiuso delle condotte che integrano giusta causa di licenziamento, demandando al giudice la valutazione concreta della gravità del comportamento contestato.

In questo contesto, i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) svolgono un ruolo importante, offrendo esempi di comportamenti che possono giustificare un licenziamento in tronco. Ad esempio, il CCNL Terziario – Confcommercio all’art. 242 prevede come condotte riprovevoli di sanzione espulsiva ex art 2119 cc:

a) diverbio litigioso seguito da vie di fatto in servizio anche fra dipendenti, che comporti nocumento o turbativa al normale esercizio dell’attività aziendale;

b) l’insubordinazione verso i superiori accompagnata da comportamento oltraggioso;

c) l’irregolare dolosa scritturazione o timbratura di schede di controllo delle presenze al lavoro;

d) l’appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi;

e) il danneggiamento volontario di beni dell’azienda o di terzi;

e) l’esecuzione, senza permesso, di lavoro nell’azienda per conto proprio o di terzi.

Tuttavia, queste indicazioni hanno valore meramente esemplificativo e non vincolante. Ne consegue che anche un comportamento non espressamente previsto dalla contrattazione collettiva può legittimare un licenziamento immediato, come chiarito dalla Corte di Cassazione (sentenza 14 novembre 1997, n. 11314).

Diversamente, se il comportamento contestato al lavoratore è espressamente disciplinato dal contratto collettivo vigente, e ad esso è associata una sanzione conservativa (come l’ammonizione scritta, la multa o la sospensione), il Giudice non può autonomamente qualificarlo come giusta causa, salvo che non si accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cassazione, Sentenza 17 giugno 2011, n. 13353; Cassazione, Sentenza 7 maggio 2015, n. 9223).

Essendo la valutazione rimessa al giudice, è la giurisprudenza che, caso per caso, individua quali condotte abbiano una gravità tale da giustificare il licenziamento in tronco. Tra le principali rientrano:

  • gravi insubordinazioni: atti violenti (parole e fatti), abbandono ingiustificato del posto di lavoro, falsa malattia;
  • furti o appropriazioni indebite, anche di modico valore;
  • utilizzo fraudolento di permessi (es. Legge 104 per svolgere attività personali);
  • presentarsi al lavoro in stato di alterazione psichica, dovuta a alcol o stupefacenti;
  • mancata disponibilità del minore apprendista alla partecipazione dei corsi di formazione;
  • danneggiamento intenzionale di beni aziendali;
  • violazione grave della riservatezza aziendale o diffusione di informazioni riservate;
  • offese o diffamazioni verso il datore o i colleghi, anche tramite social;
  • uso scorretto e abusivo di strumenti aziendali, come accessi non autorizzati ai sistemi informatici.

Interessante è il caso della revoca della patente di guida quando la patente costituisce un requisito essenziale per lo svolgimento delle mansioni per cui il lavoratore è stato assunto (ad esempio, nel trasporto di persone). In tale ipotesi, la revoca può costituire giusta causa di licenziamento, in particolare quando è disposta come sanzione accessoria al reato di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 219 del Codice della Strada.

Diversa è la situazione in cui la patente non rappresenta un requisito essenziale per l’attività lavorativa: in tal caso, la sua perdita difficilmente può integrare una giusta causa di licenziamento. Tuttavia, trattandosi di impossibilità sopravvenuta imputabile al lavoratore, il datore di lavoro potrà valutare di applicare altre misure conservative del posto e, ancora prima, dovrà valutare un eventuale reimpiego in mansioni compatibili con la qualifica contrattuale del lavoratore, ove disponibili.

Attenzione: anche in presenza di condotte indubbiamente gravi, il licenziamento potrà ritenersi legittimo solo se risulterà proporzionato e adeguatamente motivato rispetto al caso concreto.

È dunque necessaria, da parte del datore di lavoro, un’attenta valutazione del contesto complessivo: occorre considerare la natura e la qualità del rapporto lavorativo, la storia professionale del dipendente, l’intensità dell’elemento soggettivo (intenzionalità o colpa), nonché le conseguenze dell’episodio sul vincolo fiduciario.

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Quando il giudice ritiene legittimo il licenziamento

Il giudice, chiamato a valutare un licenziamento per giusta causa, compie un accertamento sostanziale e non meramente formale. Non si limita a verificare se il fatto addebitato al lavoratore sia avvenuto, ma deve stabilire se esso sia talmente grave da giustificare l’interruzione immediata del rapporto, senza preavviso. Gli elementi chiave della valutazione giudiziale, secondo la giurisprudenza consolidata, sono i seguenti:

1. Gravità oggettiva e soggettiva della condotta

Il comportamento deve rappresentare una violazione irreparabile del vincolo fiduciario, andando a minare in modo serio e consapevole gli obblighi contrattuali. La gravità della condotta addebitata al lavoratore deve essere, quindi, valutata non solo nella sua oggettività ma anche con riferimento all’elemento soggettivo che può assumere i connotati del dolo o della colpa. Tale condotta, qualora determini la completa perdita di affidabilità da parte del datore di lavoro, rende proporzionata la sanzione espulsiva, pur in assenza di precedenti disciplinari (Cass. sez. Lav. nr. 1074/2011). Assume quindi particolare rilievo non trascurabile l’elemento intenzionale che sorregge la condotta del lavoratore.

2. Proporzionalità e contestualizzazione

La sanzione espulsiva deve essere proporzionata al fatto. Una condotta inadeguata, ma non grave, può giustificare una sanzione disciplinare ma non il licenziamento. Tale aspetto viene certamente verificato dal Giudice del Lavoro, in caso di impugnazione. è quindi essenziale essere prudenziali.

Il giudice valuta anche anche altri elementi, quali il ruolo del dipendente, la sua anzianità di servizio, eventuali precedenti disciplinari e le conseguenze pratiche del comportamento.

È bene ricordare che l’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro: se il comportamento contestato non è adeguatamente dimostrato, il licenziamento rischia di essere dichiarato illegittimo.

3. Rispetto della procedura di licenziamento

Trattandosi di una sanzione disciplinare, il licenziamento per giusta causa deve essere preceduto dall’attivazione del procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, mediante la preventiva contestazione formale degli addebiti. Tale contestazione ha lo scopo di garantire al lavoratore il diritto a una piena e consapevole difesa, consentendogli di fornire le proprie giustificazioni prima dell’eventuale irrogazione della sanzione. Il provvedimento di licenziamento deve essere comunicato per iscritto, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 108/1990. La motivazione deve essere chiara, dettagliata e riferita ai fatti specifici, e deve essere contestuale o comunque tempestiva, nel rispetto del principio di immediatezza.

La giurisprudenza ammette un intervallo di tempo ragionevole tra la scoperta del fatto e l’adozione del licenziamento, giustificato da esigenze di accertamento e valutazione. Tuttavia, un ritardo eccessivo e non motivato può compromettere la legittimità del recesso, facendo apparire la condotta del lavoratore come non così grave da giustificare il licenziamento.

Una volta indicata la motivazione del licenziamento, essa non può essere modificata o integrata in un secondo momento. Il rispetto del principio di immutabilità della contestazione è essenziale per garantire il diritto di difesa del lavoratore. Ogni modifica postuma verrebbe considerata illegittima.

Licenziamento per giusta causa: come evitare errori e contenziosi

Il licenziamento per giusta causa è una misura estrema e definitiva, che incide su uno dei diritti fondamentali del lavoratore.

Proprio per questo, prima di adottare una simile decisione, è opportuno che il datore di lavoro si rivolga a un avvocato esperto in diritto del lavoro, così da valutare attentamente la natura del comportamento contestato, il contesto complessivo in cui si è verificato, le modalità con cui è stato gestito e l’orientamento giurisprudenziale più recente.

Solo un’analisi completa – che tenga conto anche della condotta pregressa del dipendente, dell’eventuale presenza di recidiva e della proporzionalità rispetto ad altri casi simili – consente di comprendere se il comportamento sia effettivamente tale da giustificare la risoluzione immediata del rapporto, o se non sia invece più corretto ricorrere a una sanzione conservativa.

Infine, si ricorda che, qualora il primo licenziamento venga annullato per motivi formali o sostanziali, è comunque possibile procedere con un secondo recesso, purché fondato su un motivo autonomo e distinto. Ma anche in questo caso, la legittimità dell’intervento dipenderà dalla coerenza complessiva dell’azione datoriale e dalla corretta applicazione delle garanzie previste dalla legge.

In un ambito così delicato, la tempestività è importante, ma la prudenza è decisiva.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 24 Giugno 2025

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Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.

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