Oltre il QUID: come un’etichetta alimentare precisa protegge l’azienda e ispira fiducia

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Abstract

Quanto miele c’è davvero in una “barretta al miele”? E quei “pomodorini” sulla focaccia sono il 5% o il 25%? Quando si parla di etichette alimentari, non basta sapere cosa c’è in un prodotto. È decisivo sapere quanto. Il QUID – Quantitative Ingredient Declaration – è la percentuale che cambia tutto: tutela il consumatore, rafforza la credibilità dell’impresa e, se trascurata, può costare caro. Questo articolo spiega quando è obbligatorio dichiarare il QUID, come si calcola e perché, oggi più che mai, una percentuale può valere più di mille parole.

Perché parlare di QUID oggi: trasparenza, tracciabilità e fiducia

Nell’articolo “Etichette alimentari: quello che (quasi) nessuno legge ma tutti dovrebbero conoscere” abbiamo dimostrato come l’etichetta alimentare sia molto più di un obbligo normativo. Ma se conoscere “cosa” dev’essere indicato è importante, altrettanto lo è capire “quanto” di un certo ingrediente è realmente presente in un prodotto. Da qui nasce la necessità di comprendere il QUID, acronimo di Quantitative Ingredient Declaration.

Il QUID, regolato dall’articolo 22 del Regolamento (UE) n. 1169/2011, obbliga il produttore a indicare in etichetta la quantità percentuale di un ingrediente o gruppo di ingredienti in specifiche circostanze. È un’informazione apparentemente tecnica, ma di fatto strategica: consente al consumatore di orientarsi tra prodotti spesso molto simili, e all’operatore di filiera di dimostrare la veridicità e la trasparenza delle sue scelte commerciali.

Come analizzato in vari studi, le decisioni d’acquisto sono sempre più guidate da criteri di composizione, origine e qualità percepita: il QUID assume, quindi, un ruolo centrale. Lo dimostrano anche le Linee guida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy del 18 settembre 2024, che forniscono chiarimenti puntuali su quando e come calcolare la quantità di un ingrediente, integrando la disciplina comunitaria con esempi pratici e soluzioni interpretative.

Allo stesso tempo, anche la Relazione speciale 23/2024 della Corte dei conti europea evidenzia come la trasparenza delle informazioni presenti in etichetta sia ancora oggi carente. La relazione sottolinea in particolare la necessità di rafforzare la leggibilità e l’effettiva comprensione dei dati forniti al consumatore, tra cui proprio le indicazioni quantitative, spesso relegate a margini difficilmente leggibili o presentate in modo fuorviante.

Il legislatore comunitario sta inoltre ponendo crescente attenzione a queste tematiche, come dimostra il nuovo Regolamento (UE) 2429/2023, che introduce l’obbligo di indicare l’origine per frutta secca, fichi, zafferano e altri prodotti specifici a partire dal 1° gennaio 2025. Anche qui, la trasparenza non è solo questione di “dove”, ma anche di “quanto”: sapere che un prodotto contiene mandorle al 5% o al 35% può cambiare totalmente la percezione (e il valore commerciale) dell’alimento.

Infine, la proroga fino al 31 dicembre 2025 dell’obbligo di indicazione dell’origine per pasta, riso, pomodoro, latte e carni trasformate (D.M. MASAF 23/12/2024) si collega direttamente al tema della consapevolezza: più è chiara la provenienza e la quantità di ciò che mangiamo, più siamo in grado di compiere scelte informate, consapevoli e sostenibili.

Parlare oggi di QUID, quindi, significa parlare di fiducia, di concorrenza leale, di diritto all’informazione, ma anche di prevenzione dei rischi e di compliance normativa. È il punto in cui il dettaglio tecnico incontra l’interesse pubblico.

Ma quali sono i casi in cui il QUID è davvero obbligatorio? E come si calcola?

Quando il QUID è obbligatorio

Quanto cocco c’è nello yogurt? La risposta è fornita, in etichetta, dal QUID, il cui principio è disciplinato dall’articolo 22 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Per i produttori rappresenta un adempimento normativo rilevante, il cui rispetto incide direttamente sulla conformità dell’etichetta e, quindi, sulla regolarità della commercializzazione del prodotto.

La norma stabilisce tre ipotesi in cui è obbligatorio indicare in etichetta la percentuale di un ingrediente o gruppo di ingredienti:

  1. Quando l’ingrediente compare nella denominazione legale o usuale dell’alimento (es. pizza ai funghi, gelato al cioccolato);
  2. Quando l’ingrediente è messo in evidenza nell’etichetta con parole, immagini o elementi grafici (es. con miele, accompagnato da un disegno di un favo);
  3. Quando l’ingrediente è essenziale per caratterizzare l’alimento e distinguerlo da altri prodotti simili (es. bastoncini di pesce, hamburger di soia).

In tutti questi casi, la percentuale dell’ingrediente deve essere indicata tra parentesi, subito dopo l’ingrediente stesso, all’interno dell’elenco degli ingredienti. È importante sottolineare che la percentuale si riferisce alla quantità utilizzata al momento della preparazione dell’alimento, e non al prodotto finito. Questo punto è fondamentale: ad esempio, un ingrediente che perde peso durante la cottura manterrà in etichetta la percentuale relativa al prodotto crudo. Una dichiarazione percentuale riferita al prodotto finito è opzionale, ma può essere utile per maggiore trasparenza, purché correttamente formulata.

Per esempio, l’ingrediente “pomodorini in una focaccia”

Se su una focaccia si pubblicizza la presenza di “pomodorini”, e questi perdono peso in cottura, il valore QUID (es. “pomodorini 20%”) deve riferirsi alla quantità inserita nell’impasto crudo, non al peso dei pomodorini dopo la cottura.

L’indicazione relativa al prodotto finito è facoltativa, ma è ammessa se correttamente formulata, ad esempio: “Dopo la cottura, il contenuto di pomodorini è pari al 12%.”

E se volessi sapere quanto aroma di vaniglia c’è nei biscotti? E l’ananas sciroppato come si etichetta?

Quando il QUID non è obbligatorio: tra eccezioni tecniche e buon senso normativo

Se è vero che la dichiarazione quantitativa degli ingredienti (QUID) rappresenta un pilastro della trasparenza alimentare, è altrettanto vero che la normativa europea prevede una serie di deroghe, pensate per evitare oneri superflui nei casi in cui l’informazione percentuale non porterebbe alcun vantaggio concreto per il consumatore. Non si tratta di “scappatoie”, ma di esenzioni logiche, coerenti con lo spirito del Regolamento (UE) n. 1169/2011 e dettagliate tanto nell’Allegato VIII quanto nella Comunicazione della Commissione 2017/C 393/05.

Ma quando, dunque, il QUID può essere omesso? E come orientarsi tra le numerose ipotesi di deroga previste?

Deroghe strutturali: quando la quantità è già nota o irrilevante

Non è necessario indicare la percentuale di un ingrediente quando il suo peso netto sgocciolato è già obbligatoriamente dichiarato (come nel caso di tonno o ananas in scatola), oppure se la quantità è già prevista da un’altra normativa dell’Unione – ad esempio per succhi, confetture, prodotti a base di cacao o nettari. In questi casi, il dato è già disponibile o comunque superfluo.

Un altro caso frequente riguarda gli ingredienti usati in piccolissime quantità a fini aromatizzanti: pensiamo all’aglio in una salsa, alle erbe in una zuppa o al tocco di vaniglia in un biscotto. La quantità percentuale non è rilevante né significativa ai fini della scelta d’acquisto, e la legge consente di ometterla.

Vi è poi la deroga per gli ingredienti che figurano nella denominazione dell’alimento ma che, secondo le prassi del Paese di commercializzazione, non influenzano la scelta del consumatore. È il caso, ad esempio, della birra al miele, dove il miele è spesso marginale e non è elemento determinante per l’identità del prodotto. Ma attenzione: se quello stesso ingrediente viene messo in evidenza con parole o immagini, la deroga non si applica e il QUID torna obbligatorio.

Deroghe tecniche: miscele, liquidi e prodotti complessi

Altre deroghe sono pensate per facilitare l’etichettatura di prodotti complessi o formulazioni variabili. Ad esempio, per miscele di frutta o verdura in cui nessun ingrediente prevale in modo significativo e le proporzioni possono variare, è sufficiente indicare “frutta in proporzione variabile”, senza entrare nel dettaglio percentuale di ciascun componente.

Lo stesso vale per miscele di spezie e piante aromatiche utilizzate in proporzioni simili: non serve specificare il QUID per ogni ingrediente, a patto che siano dichiarate correttamente con una formula tipo “in proporzione variabile”.

Nei prodotti conservati in liquido di copertura – come olive in salamoia o carciofini sott’olio – l’indicazione del peso netto sgocciolato può rendere superfluo il QUID. Ma la regola non è assoluta: se si evidenzia visivamente o testualmente uno specifico ingrediente (es. “olive nere e peperoncino”), la percentuale per ciascuno di essi torna ad essere richiesta.

Altri casi: edulcoranti, vitamine, ingredienti regolamentati

Il QUID non è richiesto per vitamine o sali minerali oggetto di dichiarazione nutrizionale obbligatoria, né per ingredienti accompagnati dalla dicitura “con edulcoranti” o “con zucchero ed edulcoranti”, secondo quanto previsto dall’Allegato III del Regolamento.

Infine, il Regolamento prevede che il QUID possa essere omesso anche nei rari casi in cui altre norme dell’Unione fissino in modo preciso la quantità di un ingrediente senza richiederne l’indicazione in etichetta. Anche se, ad oggi, queste disposizioni sono pressoché teoriche: non esistono normative UE che stabiliscano quantità fisse senza obbligo di dichiarazione.

Queste deroghe, come chiarito dalla Comunicazione della Commissione 2017/C 393/05, vanno lette in combinazione con le altre norme del Reg. (UE) 1169/2011. Una lettura armonica e aggiornata è fondamentale per evitare errori formali e garantire la corretta informazione al consumatore. Per approfondire il dettaglio delle deroghe e dei casi pratici, si veda il documento ufficiale della Commissione europea.

Come si calcola il QUID e come si scrive: guida pratica con riferimenti

Il QUID non è una stima approssimativa, né una percentuale “di comodo”: è una dichiarazione tecnica, normativamente vincolante, che deve riflettere con esattezza la quantità dell’ingrediente impiegata nella fase di produzione dell’alimento.

Il principio è chiaro: ciò che si dichiara in etichetta deve corrispondere a quanto effettivamente utilizzato, nel rispetto dell’articolo 22 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 e secondo le Linee guida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy del 24 settembre 2024, che offrono chiarimenti fondamentali in materia.

QUID e calo di peso in cottura: attenzione alla trasformazione

Immaginiamo una focaccia “con pomodorini”. Durante la cottura, l’acqua contenuta nei pomodorini evapora e il loro peso si riduce. Questo calo non influisce sull’obbligo di QUID, che va calcolato sulla quantità a crudo.

È tuttavia ammesso – e auspicabile per maggiore trasparenza – indicare anche la percentuale finale, purché chiaramente formulata.

Esempio corretto:

Pomodorini (25%, equivalente a 18% nel prodotto cotto)

Ingredienti concentrati, disidratati e ricostituiti: quale base usare?

Un’altra casistica frequente riguarda gli ingredienti che subiscono trasformazioni tecniche prima dell’impiego, come succhi concentrati, puree o polveri reidratate.

La regola generale è che il QUID deve riflettere la quantità utilizzata nella forma al momento dell’uso, ovvero prima della diluizione o della ricostituzione. Se si desidera indicare la quantità riferita alla forma ricostituita, questa deve essere espressamente specificata.

Esempio:

  • Succo d’arancia (ottenuto da concentrato) (45%), oppure
  • Succo d’arancia da concentrato ricostituito (pari al 45% nel prodotto finito)

In assenza di tale specificazione, la dichiarazione potrebbe risultare ambigua o fuorviante, con conseguente rischio di sanzioni.

Alimenti caratterizzati da un ingrediente: nessun margine di ambiguità

Quando un alimento è comunemente identificato da un ingrediente principale – ad esempio i “bastoncini di pesce” – la percentuale di quell’ingrediente è sempre obbligatoria. Anche se il nome del prodotto è abituale, non è sufficiente per esonerare dall’obbligo di QUID.

Esempio corretto:

Filetti di merluzzo (65%), panatura (35%)

L’assenza di tale dichiarazione può determinare la non conformità del prodotto, con conseguenze sanzionatorie e reputazionali.

Forma dell’indicazione: leggibilità e coerenza

La percentuale deve essere riportata:

  • accanto all’ingrediente, tra parentesi, nell’elenco ingredienti;
  • espressa in percentuale intera, salvo eccezioni giustificate tecnicamente (es. 12,5%);
  • scritta in modo leggibile, con caratteri adeguati e senza ricorrere a simboli ambigui o note nascoste.

La Relazione speciale 23/2024 della Corte dei conti europea ha sottolineato in modo chiaro quanto la leggibilità delle etichette sia ancora una criticità concreta, invitando gli Stati membri a vigilare sulla reale comprensibilità delle informazioni e sulla coerenza tra contenuto e presentazione.

Un’etichetta poco chiara non è solo un problema di marketing. È un rischio concreto di non conformità.

Oltre il QUID: dalla conformità normativa alla fiducia del mercato

Una corretta indicazione quantitativa degli ingredienti non è solo un adempimento tecnico, ma una dichiarazione di affidabilità. Il QUID – quando gestito con competenza e trasparenza – diventa uno strumento potente per costruire fiducia, prevenire contenziosi e valorizzare le scelte produttive.

Lo dimostrano chiaramente le linee guida ministeriali del 2024 e la Relazione speciale 23/2024 della Corte dei conti europea, che non si limitano a ribadire l’importanza della conformità formale, ma richiamano la responsabilità di operatori e autorità nel rendere le etichette leggibili, comprensibili e significative.

In questo scenario, il QUID assume un valore strategico. Per l’azienda, significa poter raccontare con esattezza la qualità e la composizione del prodotto. Per il consumatore, è uno strumento essenziale per effettuare scelte consapevoli, informate e sostenibili. Per il sistema nel suo complesso, rappresenta un baluardo di trasparenza e lealtà commerciale.

Non si tratta soltanto di rispettare la norma. Si tratta di comunicare verità, prevenire contestazioni e costruire fiducia.

Per questo Canella Camaiora affianca imprese e operatori del settore alimentare in ogni fase del processo: dalla progettazione normativa delle etichette alla formazione del personale, dalla verifica preventiva della documentazione alla gestione digitale della compliance. Un’etichetta ben costruita non solo tutela l’impresa da sanzioni, ma diventa parte integrante della reputazione del brand.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 22 Giugno 2025
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno 2025

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Carlo Bobbiesi

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