Straordinario e reperibilità: la Cassazione protegge il tempo e la salute del lavoratore

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Abstract

Con l’ordinanza n. 16147 del 16 giugno 2025, la Corte di Cassazione torna a occuparsi del regime del lavoro straordinario in ambito sanitario, affrontando uno dei punti più controversi nella gestione dell’orario lavorativo: il diritto alla retribuzione delle ore di lavoro straordinario effettuate durante la pronta disponibilità, anche quando la settimana lavorativa è stata segnata da assenze per malattia o ferie. Lo fa in relazione a un caso apparentemente tecnico, ma che tocca in profondità il bilanciamento tra esigenze organizzative del datore di lavoro e diritti fondamentali del lavoratore.

E’ lecito compensare le assenze con lo straordinario?

Il contenzioso nasce dalla richiesta di un infermiere, dipendente di una struttura sanitaria privata, che rivendicava il pagamento delle ore rese in regime di pronta disponibilità con chiamata effettiva, svolte oltre il normale orario di lavoro.

La società datrice di lavoro, tuttavia, sosteneva che tali ore non fossero da qualificarsi come straordinarie, poiché, nella stessa settimana, il lavoratore era stato assente per malattia e ferie. Di conseguenza, l’orario effettivamente lavorato non avrebbe superato le quaranta ore e, a detta della società, le ore aggiuntive dovevano intendersi solo “a compensazione” del monte ore non svolto.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato questa impostazione, riconoscendo il diritto alla retribuzione straordinaria, e ora la Cassazione, confermando le decisioni di merito, ricostruisce il quadro normativo e contrattuale con un’argomentazione ampia, chiara e fortemente orientata alla tutela del lavoratore.

Ferie e malattia contano come “ore non lavorate”?

Secondo la Cassazione, assolutamente no. Il nodo interpretativo affrontato dalla Corte riguarda la nozione di orario normale di lavoro è proprio la possibilità di trattare ferie e malattia come se rappresentassero ore “non lavorate”, da recuperare prima che possa scattare la retribuzione per lo straordinario.

La Corte rigetta in modo netto questa lettura, affermando che si tratta di “un’impostazione distorta”, poiché attribuisce alle assenze legittime il significato di un inadempimento. Secondo la Cassazione, ciò vanifica le finalità di tutela che giustificano costituzionalmente il diritto alle ferie e alla protezione della salute.

L’orario settimanale stabilito dall’art. 3 del D.Lgs. 66/2003” non rappresenta un traguardo da raggiungere con la sola prestazione effettiva, ma “un limite orario oltre il quale si colloca il lavoro straordinario”. E tale limite si considera raggiunto anche quando il lavoratore si è assentato per ragioni protette dall’ordinamento, come la malattia o il riposo annuale.

Equiparare le assenze giustificate a ore non lavorate significherebbe caricare il lavoratore di un debito orario fittizio, che finirebbe per allungare arbitrariamente il tempo settimanale e restringere, di fatto, l’area retributiva dello straordinario.

La Cassazione chiarisce inoltre che “il riferimento dell’art. 6 del medesimo decreto, secondo cui ferie e malattia non si computano ai fini del calcolo della media massima delle 48 ore”, non si applica al calcolo dell’orario normale. Si tratta di due piani diversi:

  • uno serve a evitare il superamento di un tetto massimo medio (48 ore);
  • l’altro a individuare quando si supera l’orario settimanale ordinario (40 ore).

Solo nel primo caso le assenze sono escluse; nel secondo, invece, concorrono a estinguere il debito orario.

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“Pronta disponibilità” e straordinario: la disciplina non ammette deroghe

La decisione si sofferma sulla disciplina contrattuale applicabile, in particolare sull’art. 60 del CCNL applicabile (AOIS – ARIS Fondazione Don Gnocchi per il personale non medico delle strutture sanitarie private 2002-2005).

La norma prevede che, “in caso di chiamata durante un turno di pronta disponibilità, le ore effettivamente lavorate siano computate come lavoro supplementare o straordinario, salvo che il lavoratore opti espressamente per il recupero orario”.

La pronta disponibilità è una forma di reperibilità tipica del lavoro sanitario, dove il lavoratore, sebbene non si trovi sul luogo di lavoro, ha l’obbligo di essere immediatamente reperibile e pronto a prestare la propria attività in caso di chiamata.

  • Se non viene chiamato, la semplice reperibilità conferisce il diritto a una specifica indennità per il disagio organizzativo;
  • Se invece viene attivato, quelle ore costituiscono vera e propria prestazione lavorativa.

La Cassazione recepisce anche il principio binario elaborato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, C-580/19; C-518/15; C-303/98): “il tempo è o lavoro o riposo, senza zone grigie”.

Secondo l’art. 2 della direttiva 93/104/CE, modificata dalla direttiva 2000/34/CE e poi codificata dalla direttiva 2003/88/CE:

  • orario di lavoro è “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”;
  • periodo di riposo è “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.

La stessa definizione è ripetuta dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 66/2003.

Se il lavoratore viene chiamato, anche se si trova presso il proprio domicilio, e le modalità della chiamata limitano oggettivamente la sua libertà “di fare altro”, si tratta di orario di lavoro vero e proprio.

La Corte rafforza la centralità del tempo nella tutela del lavoratore

La pronuncia non introduce un nuovo orientamento, ma lo consolida con chiarezza sistematica.

Il tempo del lavoratore non è una variabile organizzativa negoziabile, ma uno spazio giuridicamente protetto, entro cui si realizzano diritti non comprimibili. L’idea che le assenze giustificate generino un debito orario, da colmare prima di poter riconoscere lo straordinario, è espressamente rigettata perché svuota di significato il diritto al riposo e alla salute e contraria alle norme costituzionali.

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Data di pubblicazione: 18 Luglio 2025

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Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.

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