Abstract
Il Decreto-Legge 36/2025 ha introdotto un limite di due generazioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, suscitando interrogativi su eventuali effetti retroattivi. Questo articolo analizza una recente sentenza del Tribunale di Campobasso, che ha escluso l’applicazione della nuova normativa alle domande già presentate, richiamando i principi di irretroattività, ragionevolezza e tutela dei diritti maturati. Il caso si inserisce in un contesto più ampio di contenzioso costituzionale, oggi al vaglio della Corte costituzionale. Un approfondimento utile per comprendere le implicazioni giuridiche della riforma e i possibili scenari futuri per chi rivendica la cittadinanza italiana per discendenza.
Cosa resta del diritto alla cittadinanza iure sanguinis dopo il Decreto-Legge 36/2025?
Con il Decreto-Legge n. 36/2025, entrato in vigore il 28 marzo 2025 e successivamente convertito nella Legge n. 74/2025 del 28 maggio, lo Stato italiano ha introdotto un cambiamento radicale nella disciplina del riconoscimento della cittadinanza per discendenza (iure sanguinis).
Secondo la nuova normativa, può essere riconosciuto cittadino italiano solo chi è figlio o nipote (massimo due generazioni) di un cittadino italiano che non abbia perso la cittadinanza prima della nascita del discendente.
In altre parole, la cittadinanza italiana iure sanguinis non si trasmette più automaticamente all’infinito, ma si ferma rigidamente alla seconda generazione. Chi discende, ad esempio, da un bisnonno italiano non ha più diritto al riconoscimento — anche se può dimostrare senza alcuna lacuna la propria genealogia e l’assenza di interruzioni nella trasmissione del diritto.
Questa novità si pone in netto contrasto con la precedente impostazione normativa, in base alla quale la cittadinanza si trasmetteva senza limiti generazionali, salvo prova contraria. Il Decreto ha quindi modificato la natura stessa del riconoscimento: da atto dichiarativo, fondato su un diritto già esistente, a meccanismo selettivo e condizionato, subordinato a nuovi requisiti soggettivi e temporali imposti dallo Stato.
Ma questa nuova impostazione può davvero essere applicata anche a chi aveva già presentato domanda prima dell’entrata in vigore della legge? È proprio questo il nodo giuridico affrontato dal Tribunale di Campobasso in una recente e significativa pronuncia.
Il caso riguardava una famiglia che aveva depositato nel 2024 una domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis. Si trattava, dunque, di un procedimento avviato sotto la vecchia disciplina, che non poneva alcun limite generazionale. Eppure, nel corso del giudizio, il Ministero dell’Interno ha chiesto al Tribunale di applicare retroattivamente le nuove regole, invocando l’efficacia immediata della normativa sopravvenuta e chiedendo, quindi, di negare il riconoscimento.
Il 15 aprile 2025, durante l’udienza, il cuore del dibattito si è fatto evidente: una legge può cambiare le regole in corsa? Può modificare diritti già azionati sulla base della normativa previgente?
Chi ha già presentato domanda può perdere il diritto alla cittadinanza?
Secondo il Ministero dell’Interno, il Decreto-Legge n. 36/2025 dovrebbe applicarsi anche ai procedimenti già in corso, sostenendo — seppur in modo implicito — una forma di efficacia retroattiva della norma. A giustificazione di questa posizione, è stato invocato un argomento istituzionalmente sensibile: la “necessità” di attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della nuova disciplina.
In altri termini, lo Stato ha sostenuto che la legge del 2025 modifica le regole anche per chi ha già avviato il proprio iter di riconoscimento della cittadinanza, secondo il quadro normativo previgente. Una posizione che, se accolta, avrebbe inciso profondamente sulla tutela dell’affidamento legittimo e sulla certezza del diritto.
Ma il Tribunale di Campobasso ha fermamente respinto questa lettura. E non si è limitato a rigettare l’eccezione sollevata dal Ministero: ha motivato la propria decisione con estrema chiarezza giuridica e un forte richiamo ai principi di coerenza dell’ordinamento.
Il Tribunale di Campobasso salva chi ha già presentato la domanda, e non si ferma lì.
Il caso è stato affrontato dal Tribunale di Campobasso con la sentenza n. 375/2025 del 2 maggio. La domanda di cittadinanza, presentata nel 2024, precedeva l’entrata in vigore del Decreto-Legge n. 36/2025.
Il giudice ha escluso l’applicabilità della nuova disciplina sia per ragioni testuali — la norma si applica solo alle domande presentate dopo il 27 marzo 2025 — sia per motivi sistematici, fondati sul principio generale dell’irretroattività della legge. Come si legge nella motivazione, “la normativa sopravvenuta non si applica al caso di specie […] anche in considerazione del generale principio dell’irretroattività della legge, che ‘non dispone che per l’avvenire’” (art. 11 Preleggi).
Inoltre, il Tribunale ha osservato che il decreto non prevede alcuna retroattività espressa e che, allo stato, la legge era ancora in fase di conversione. Per queste ragioni — si legge nella pronuncia — “sarebbe del tutto irragionevole pretendere di interpretare e decidere le domande soggette alla precedente disciplina alla luce della nuova”.
Questa affermazione, sebbene riferita formalmente alle sole domande presentate entro il 27 marzo 2025, lascia emergere un principio più ampio: è la maturazione del diritto il vero punto di riferimento. Se il diritto alla cittadinanza si era già perfezionato secondo la normativa previgente, non può essere cancellato retroattivamente.
Un’interpretazione, questa, che si allinea a quanto affermato dal Tribunale di Torino, il quale ha sollevato dubbi di costituzionalità sulla nuova disciplina, nella parte in cui compromette diritti soggettivi già consolidati, violando i principi di ragionevolezza, affidamento e identità giuridica.
Una decisione che richiama alla coerenza dell’ordinamento
Pur riguardando un caso specifico, la pronuncia del Tribunale di Campobasso si inserisce in un contesto giuridico e istituzionale particolarmente delicato. Il giudice non si è limitato ad applicare la norma intertemporale prevista dal Decreto-Legge n. 36/2025, ma ha scelto di fondare la decisione su un principio più ampio e strutturale: quello della ragionevolezza giuridica.
Tale principio impone al legislatore di non sovvertire regole già operative con effetti retroattivi, a tutela dell’affidamento legittimo e della coerenza dell’ordinamento. In questa prospettiva, la sentenza non fornisce una risposta definitiva alla questione di costituzionalità, ma traccia una soglia di legittimità, al di là della quale l’intervento normativo rischia di diventare arbitrario.
La pronuncia rappresenta così un esempio di giurisdizione che non cerca rotture, ma presidia l’equilibrio tra legge e Diritto, riaffermando che ogni innovazione normativa deve misurarsi con principi superiori: certezza giuridica, tutela dell’affidamento e proporzionalità.
Proprio questo equilibrio — tra innovazione legislativa e diritti soggettivi già maturati — è oggi al centro dell’atteso giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Verso il vaglio della Corte costituzionale
La decisione assunta dal Tribunale di Campobasso si inserisce in un contesto giurisprudenziale caratterizzato da evidenti incertezze interpretative. La nuova disciplina sulla cittadinanza ha suscitato numerosi dubbi di legittimità costituzionale, sia per la normativa precedente al 28 marzo 2025, sia per quella successiva, tanto che diversi tribunali hanno deciso di sottoporre la questione alla Corte costituzionale.
In particolare, si segnalano le seguenti ordinanze di rimessione: quella del Tribunale ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, del 26 novembre 2024 (Reg. ord. n. 247/2024, G.U. Serie speciale n. 4/2025); quella del Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata, del 3 marzo 2025 (Reg. ord. n. 66/2025, G.U. Serie speciale n. 16/2025); infine l’ordinanza del Tribunale ordinario di Firenze, sezione specializzata, del 7 marzo 2025 (Reg. ord. n. 86/2025, G.U. Serie speciale n. 18/2025); quella del Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, del 21 marzo 2025 (Reg. ord. n. 65/2025, G.U. Serie speciale n. 16/2025); e Tribunale ordinario di Torino, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, del 25 giugno 2025.
Sarà ora la Consulta a doversi pronunciare in via definitiva sulla legittimità del Decreto-Legge n. 36/2025. Nel frattempo, è già possibile individuare i principi giuridici che sembrano destinati a orientare il giudizio:
- Ragionevolezza e non arbitrarietà delle norme (art. 3 Cost.): Una legge non può introdurre distinzioni irragionevoli o produrre effetti sproporzionati rispetto agli scopi dichiarati.
- Tutela dell’affidamento legittimo e certezza del diritto (art. 2 Cost.): Chi ha maturato un diritto secondo la normativa allora vigente non dovrebbe esserne spogliato a causa di un mutamento legislativo successivo.
- Divieto di privazione arbitraria della cittadinanza (art. 22 e 117 Cost.): La cittadinanza è parte dell’identità giuridica della persona e lo Stato, vincolato anche da obblighi internazionali, non può disporne arbitrariamente.
- Principi internazionali e cittadinanza europea: Norme sovranazionali — come l’art. 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’art. 3 del Quarto Protocollo CEDU, l’art. 9 del TUE e l’art. 20 del TFUE — vietano che un individuo sia arbitrariamente privato della cittadinanza, e riconoscono la cittadinanza europea come elemento giuridico autonomo.
In questa prospettiva, la posizione assunta da diversi giudici sembra convergere sull’idea che il diritto alla cittadinanza iure sanguinis, maturato secondo la normativa previgente, meriti una tutela rafforzata. Resta ora alla Corte costituzionale il compito di stabilire se e in quali limiti una riforma legislativa possa incidere su diritti già perfezionati.
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Data di pubblicazione: 13 Agosto 2025
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Celeste Martinez Di Leo
Praticante avvocato, laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia e in “Abogacía” presso l’Universidad de Belgrano (Argentina) a pieni voti.