Abstract
Cosa succede quando un limite d’età diventa operativo? Questo articolo esplora l’impatto dei bollini di classificazione – dal PG-13 americano al VM14 italiano – sulle strategie narrative, le scelte di produzione e il mercato audiovisivo, tra sala e piattaforme streaming. Attraverso il caso del genere kids on bikes, il confronto tra sistemi europei e le nuove tecnologie di verifica dell’età, il testo mostra come i rating, spesso considerati meri dettagli burocratici, possano in realtà ridefinire interi immaginari. Un approfondimento su cinema, normative e algoritmi nell’epoca del “vale tutto”.
Le classificazioni d’età oggi: dalla sala allo streaming
In Italia, ogni film deve avere un’etichetta d’età decisa dal Ministero della Cultura. Non è un semplice consiglio ai genitori, ma un vincolo di legge: se un esercente fa entrare un minore in un film con divieto, rischia una sanzione (Ministero della Cultura – Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche).
Le categorie ufficiali sono cinque. La prima è “per tutti”, senza alcuna limitazione. Poi ci sono “non adatto ai minori di 6 anni” – oggi usata di rado – e “non adatto ai minori di 10 anni”, introdotta dal 1° febbraio 2025 per colmare un vuoto tra il “per tutti” e il “vietato ai minori di 14 anni” (MiC, Regolamento 2025). Il VM14 è il vero spartiacque: accesso consentito solo dai 14 anni, oppure dai 12 se accompagnati da un genitore. Il VM18 riguarda invece le opere con contenuti sessuali espliciti o violenza molto forte: si può entrare dai 18 anni, o dai 16 con accompagnamento (Legge 220/2016; d.lgs. 203/2017).
Fino al 2021 esisteva la “censura cinematografica”, con possibilità di imporre tagli o modifiche. Oggi non ci sono più tagli preventivi: la Commissione può solo classificare, non intervenire sul montaggio (Ministero della Cultura, 2021).
Con lo streaming, le stesse categorie vengono riportate anche online, ma non funzionano più come barriera fisica. Netflix, Prime Video, Disney+ e simili devono indicare il rating italiano, ma il rispetto del divieto dipende dalle impostazioni dell’account e non dall’accesso in sala (AGCOM – TUSMA 2021).
In più, ogni piattaforma adotta una propria scala di “maturità”. Netflix, ad esempio, usa 0+, 7+, 13+, 16+, 18+ (derivate dal sistema olandese Kijkwijzer). Disney+ e Prime Video optano per 6+, 9+, 12+, 16+, 18+, con descrittori come “violenza moderata” o “linguaggio esplicito” (Guide ufficiali Netflix/Disney+/Prime). YouTube filtra i contenuti in base all’età dichiarata o alla verifica del documento.
Il risultato? Un film VM14 in sala può essere visto online da un dodicenne se il profilo è impostato come “adulto”; al contrario, un titolo “per tutti” può essere bloccato se un genitore imposta limiti più restrittivi.
In Europa non esiste un bollino unico: ogni Paese ha il suo sistema. In Germania funziona l’FSK (0, 6, 12, 16, 18), in Francia il CNC usa “tous publics”, -12, -16, -18. L’Unione Europea interviene con norme di tutela generali, come la direttiva AVMSD per i media e il Digital Services Act (DSA) per le piattaforme (Direttiva AVMSD 2018; DSA 2022).
Dal 2025, la Commissione Europea sta sperimentando un’app per la verifica dell’età in Italia, Francia, Spagna, Danimarca e Grecia, pensata per funzionare senza condividere dati personali e destinata a integrarsi nel Digital Identity Wallet previsto per il 2026 (Commissione UE, luglio 2025).
In sala, quindi, i divieti si applicano davvero. Online, invece, sono etichette che funzionano solo se qualcuno decide di farle rispettare. È il passaggio da un “cancello” fisico a un filtro algoritmico, e questo ne cambia profondamente l’efficacia.
Bollini d’età: roba da bacchettoni o leve di mercato?
Per molti, i limiti d’età sono poco più che un timbro burocratico o un segnale formale a margine della locandina. In realtà, sono tra le leve di mercato più sottovalutate. Non solo restringono o ampliano un pubblico: possono orientare la scrittura di una sceneggiatura, influenzare il budget di produzione e determinare le strategie di distribuzione. Ogni spostamento di soglia d’età è anche uno spostamento della traiettoria economica di un film.
E c’è di più: i bollini non agiscono solo come barriere, ma anche come calamite di attenzione. Il “vietato ai minori” in Italia, il “R” americano o il PG-13 possono trasformarsi in un marchio di fascino, soprattutto per chi è appena sotto la soglia. Il divieto accende curiosità, genera passaparola e, in certi casi, diventa parte del brand del film. È il paradosso del limite che attrae: nel momento in cui dichiari che qualcosa non è per tutti, aumenti il desiderio di vederlo.
Oggi il dibattito sui rating è quasi assente. Sembra un dettaglio secondario, relegato a schede tecniche o avvisi a piè di pagina. Ma ignorarli significa dimenticare che i rating sono strumenti industriali e narrativi allo stesso tempo: definiscono non solo chi può vedere un’opera, ma anche cosa viene prodotto, con quale tono e per quale fascia di pubblico puntare. Un cambio di classificazione può significare la sopravvivenza o la cancellazione di un intero progetto.
Un esempio eloquente arriva dagli anni ’80, quando un genere cinematografico apparentemente innocuo — il kids on bikes — subì un cambiamento radicale a causa della nascita di un nuovo bollino d’età: il PG-13. Quella classificazione, nata con l’intento di “proteggere” il pubblico, modificò le regole del gioco per almeno una generazione di spettatori (ne ha parlato recentemente il Post – È colpa di Spielberg se non escono più film come E.T. e I Goonies – 13 giugno 2025). È la prova concreta che un’etichetta può incidere sul mercato molto più di quanto si sia disposti ad ammettere.
Il caso kids on bikes: l’età dell’oro interrotta dal PG-13
Chiunque abbia visto E.T. l’extraterrestre (1982) ricorda la scena di Elliot e dell’alieno che volano in bicicletta davanti alla Luna. Quell’immagine non è solo un’icona cinematografica: è l’atto di nascita di un intero sottogenere, che la critica e i fan chiamano kids on bikes.
Secondo la definizione di Samuel Pratt-White, i kids on bikes sono storie in cui un gruppo di bambini o preadolescenti vive un’avventura straordinaria — spesso con elementi fantastici o di fantascienza — senza l’aiuto o la comprensione degli adulti. Le bici sono il simbolo e lo strumento della loro libertà, il mezzo che consente di sfuggire al controllo e di esplorare territori vietati (Pratt-White, Kids on Bikes: The Undiscovered Genre).
Il contesto sociale americano dei primi anni ’80 era perfetto per questo genere: quartieri residenziali sicuri, poca sorveglianza adulta, assenza di smartphone o GPS, e una cultura pop che celebrava l’infanzia come momento di avventura. In quegli anni nascono titoli come La banda della BMX (1983), I Goonies (1985) ed Explorers (1985), insieme a variazioni più cupe come Alba rossa o Gremlins. Il comune denominatore? Protagonisti under 13, avventure più grandi di loro, adulti distratti o inaffidabili (Glennon, Genre Theory and Stranger Things).
Ma proprio Gremlins (1984), insieme a Indiana Jones e il tempio maledetto, scatena polemiche per la violenza e i toni cupi. In quel momento Steven Spielberg, temendo che la Motion Picture Association potesse classificare quei film come “R” (vietati ai minori di 17 anni non accompagnati), propone la creazione di una fascia intermedia: PG-13, che indica contenuti inadatti ai minori di 13 anni senza vietarne formalmente l’accesso se accompagnati.
La nuova classificazione, introdotta nel 1984 ed entrata in vigore dal 1985, avrebbe dovuto ampliare le possibilità creative. In realtà, per il kids on bikes ebbe l’effetto opposto:
- con protagonisti under 13 in situazioni pericolose, ribelli o “troppo adulte”, era facile finire in PG-13;
- ma il PG-13 escludeva il pubblico più giovane, che in sala era la fascia più numerosa per questo genere;
- di conseguenza, per intercettare un pubblico pagante, i protagonisti cominciarono a essere più grandi, vicini ai 16 anni, e le storie si spostarono verso la commedia adolescenziale o il fantastico per giovani adulti.
Così, dopo il 1985, l’età dell’oro del kids on bikes al cinema si chiude rapidamente. Restano eccezioni — Stand by Me (1986), Scuola di mostri (1987) — ma il genere perde la sua centralità commerciale. Per rivederlo in forma riconoscibile bisognerà aspettare il revival nostalgico degli anni 2010, con Super 8 (2011) e soprattutto Stranger Things, ormai destinati a un pubblico ibrido di adolescenti e adulti nostalgici.
Il caso dimostra che un singolo bollino d’età, pensato come strumento di tutela, può ridisegnare il mercato di un genere intero. Non cancellarlo, ma spingerlo in altre direzioni, cambiandone protagonisti, toni e pubblico di riferimento.
Oggi “vale tutto”… salvo che non cambi davvero qualcosa
Nel mondo dello streaming sembra valere tutto. Il “vietato ai minori” è un avviso discreto nell’angolo dello schermo, facilmente aggirabile con un profilo impostato come adulto o con un accesso non controllato. In casa, i sistemi di parental control sono più un suggerimento che una barriera: basta conoscere la password o usare l’account del genitore per annullarne l’effetto. È per questo che, di fatto, oggi la classificazione d’età online non è una barriera reale, ma un’informazione suggestiva.
Eppure, nelle finestre cinematografiche – la sala prima dello streaming – il rating continua a contare eccome. Un film VM14 o VM18 in Italia riduce immediatamente il bacino di spettatori paganti: significa meno biglietti venduti nella fascia più giovane, meno incassi e un ritorno economico più difficile. Per generi a forte componente giovanile, come avvenne per il kids on bikes negli anni ’80, questo può determinare scelte di sceneggiatura e tono già in fase di scrittura.
Per cercare di riequilibrare questa discrepanza, l’Unione Europea ha avviato una sperimentazione in Italia, Francia, Spagna, Danimarca e Grecia. L’obiettivo è integrare strumenti di verifica dell’età — pensati per non richiedere la condivisione di dati personali — all’interno del Digital Identity Wallet previsto per il 2026. Si tratta di un tentativo di rendere i divieti nuovamente operativi anche nello spazio digitale, dove oggi funzionano solo se qualcuno decide di farli rispettare.
Ma il nodo resta aperto: le soluzioni “soft”, basate su autocertificazioni o impostazioni di profilo, sono facili da eludere. Quelle “forti”, come il riconoscimento biometrico o la richiesta di documenti, pongono interrogativi rilevanti in materia di privacy e controllo.
Un caso recente, quello del Regno Unito, mostra i possibili effetti collaterali. Con l’entrata in vigore dell’Online Safety Act nel luglio 2025, sono stati introdotti obblighi stringenti di verifica dell’età per accedere a contenuti sensibili. I metodi previsti — inclusi selfie, ID digitali e riconoscimento facciale — hanno causato un boom nell’utilizzo delle VPN, con picchi fino al +1800% nei giorni successivi all’introduzione delle nuove misure (Verifica dell’età per i siti porno, nel Regno Unito ha portato a un boom delle vpn | Wired Italia – 30 luglio 2025).
La questione, dunque, non è se i bollini torneranno a contare, ma quale sarà il prezzo tecnologico, sociale e normativo per renderli davvero efficaci.
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Data di pubblicazione: 21 Agosto 2025
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Arlo Canella
Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.