KPI aziendali: cosa sono davvero e perché contano ancora (anche in tempi complessi)

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Abstract

Ogni impresa oggi può raccogliere un numero enorme di dati, ma il vero tema non è quanto misuriamo: è cosa scegliamo di osservare e come utilizziamo queste informazioni. I KPI (Key Performance Indicators) non servono a riempire report, ma a rendere leggibile la direzione in cui l’impresa si sta muovendo. Sono strumenti preziosi, soprattutto quando vengono scelti e interpretati con intelligenza, senza cadere nella tentazione di considerarli un semplice “gioco dei numeri”: continuate a leggere per scoprire di cosa si tratta.

Cosa sono i KPI

Un KPI (Key Performance Indicator) non è un numero qualsiasi, ma un indicatore scelto perché rappresenta un aspetto cruciale della strategia aziendale. È la misura che permette di capire quanto un’organizzazione stia avanzando verso i propri obiettivi, traducendo la visione in dati concreti.

In altre parole, i KPI sono segnali di direzione: collegano i dati operativi al disegno strategico più ampio e aiutano a comprendere se ci si sta muovendo nella giusta direzione o se serve correggere la rotta.

I KPI nascono come strumenti del controllo di gestione: servono a monitorare performance, a confrontare i risultati con i budget, a rendere i dati utilizzabili.

Oggi, però, non hanno più solo un ruolo di verifica. I KPI sono anche un linguaggio organizzativo: definiscono le priorità, orientano le decisioni, creano allineamento tra direzione e team operativi. Insomma, non si limitano a dire “come è andata”, ma influenzano il modo in cui le persone lavorano ogni giorno.

Come scegliere e usare i KPI

Ogni azienda dovrebbe avere un set di KPI per monitorare l’andamento ed essere pronta a correggere la direzione se necessario. La scelta dipende da diversi fattori, a partire dal settore in cui opera, ma in ogni caso deve essere allineata alla strategia.

Proprio come la strategia non è statica, anche i KPI vanno rivisti periodicamente. Un indicatore può essere utile nelle fasi iniziali di un’attività o del lancio di un prodotto, ma diventare irrilevante in una fase più matura, quando servono altre misure per capire davvero come sta andando l’impresa.

Come regola generale, i KPI devono essere utili per guidare le scelte e migliorare la performance. Raccogliere e analizzare dati richiede tempo ed energie: non può essere un esercizio sterile, ma deve produrre informazioni capaci di orientare decisioni concrete.

In sintesi:

  • allinea il set di KPI alla strategia;
  • revisiona periodicamente i KPI;
  • scegli indicatori che servano davvero a migliorare la performance.

Sono regole apparentemente semplici, ma non sempre facili da mettere in pratica. È facile cadere in errore o lasciarsi prendere dal “gioco dei numeri”.

Evitare di cadere nel “gioco dei numeri”

Ho visto succedere fin troppo spesso che i KPI venissero usati alla stregua di un semaforo: se la luce è “verde”, l’azienda va bene; se la luce è “rossa”, va male. In realtà, questa logica riduttiva può trasformare i KPI da strumenti di orientamento a vere e proprie trappole.

Il primo rischio è quello che gli economisti chiamano Goodhart’s Law: quando una misura diventa un obiettivo in sé, smette di essere una buona misura. Se il KPI diventa “il numero da raggiungere a ogni costo”, le persone tenderanno a orientare il proprio lavoro solo in quella direzione, anche a scapito della qualità o di altri aspetti rilevanti. Un esempio classico: fissare come KPI il numero di vendite può portare a firmare contratti insostenibili, che nel medio periodo generano più problemi che valore.

C’è poi il fenomeno del “gaming the system”: la tentazione, più o meno consapevole, di manipolare i dati per far sembrare che l’obiettivo sia stato raggiunto. Non serve immaginare scenari estremi: può bastare posticipare una spesa o anticipare una fatturazione per “aggiustare” un indicatore, senza che la realtà dell’impresa sia davvero migliorata. In questo modo i KPI diventano cosmetica, perdendo del tutto la loro funzione di guida.

Un altro limite del “gioco dei numeri” è la tendenza a misurare ciò che è facile, non ciò che conta. Selezionare KPI basati solo sulla disponibilità immediata dei dati porta a privilegiare indicatori quantitativi e immediati, tralasciando quelli più complessi ma strategici, come la soddisfazione dei clienti o l’engagement dei collaboratori. È il paradosso dell’azienda che monitora ogni minuto di produzione ma non sa leggere i segnali di motivazione (o disaffezione) del proprio team.

Infine, l’ossessione per i numeri può travolgere la strategia. Un reporting serrato e quotidiano rischia di sostituirsi alla riflessione, riducendo la gestione a un inseguimento costante di obiettivi di breve termine. I KPI, invece, dovrebbero restare strumenti di connessione con la visione: segnali di direzione, non semafori che dettano i comportamenti.

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Perché i KPI contano ancora (anche in tempi complessi)

Negli ultimi anni, complice l’incertezza e il dibattito sulla complessità, qualcuno ha sostenuto che i KPI siano ormai superati. È vero che non possono essere l’unico strumento su cui basare le decisioni, ma restano un punto di riferimento essenziale.

Il loro valore sta nella capacità di tradurre la strategia in misurazioni concrete: rendono visibile ciò che altrimenti resterebbe astratto. Creano un linguaggio comune all’interno dell’organizzazione, una base di confronto che consente a direzione e team operativi di allinearsi sugli stessi obiettivi. E, se affiancati ad altri strumenti di ascolto e di analisi, permettono di cogliere in tempo quando è necessario correggere la rotta.

Come ho visto spesso nella mia esperienza, non basta che i KPI siano “formalmente corretti” perché l’impresa funzioni. Mi è capitato di vedere realtà con KPI perfetti sulla carta, ma un clima organizzativo appesantito da pressioni e dinamiche poco sane. È un monito chiaro: i KPI sono utili solo se letti e gestiti nella loro dimensione strategica e umana, come segnali che orientano senza ridurre la realtà a un semplice numero.

In questo senso, i KPI continuano ad avere un ruolo anche nei contesti più incerti: non servono a dare risposte definitive, ma a segnalare la direzione di marcia, offrendo all’organizzazione punti di appoggio in un terreno che resta in movimento.

Come abbiamo visto parlando del framework Cynefin, i contesti complessi richiedono adattamento e flessibilità. I KPI, se ben scelti, restano riferimenti preziosi non per dire cosa fare, ma per segnalare se ci stiamo muovendo nella direzione giusta.

Nel prossimo articolo esploreremo i limiti dei KPI tradizionali: perché a volte ci fanno perdere di vista ciò che conta davvero e come superarli con approcci più adatti alla complessità.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 26 Agosto 2025

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Valentina Panizza

“Le migliori opportunità hanno il brutto vizio di farsi avanti travestite da problemi, tutto sta nell’imparare a riconoscerle”

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