Limiti alla cittadinanza iure sanguinis? Attesa per la pronuncia della Consulta

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Abstract

Nel 2025, l’Italia ha introdotto un limite generazionale alla cittadinanza per discendenza (iure sanguinis), modificando una prassi consolidata che permetteva il riconoscimento senza limiti nel tempo. La Corte costituzionale dovrà ora pronunciarsi sulla legittimità di questa riforma, tra attese crescenti e interrogativi giuridici. Intanto, la sentenza n. 142/2025, pur riferita al quadro normativo precedente, ha già fissato alcuni principi fondamentali. Questo articolo ricostruisce lo stato dell’arte e spiega perché la prossima decisione della Consulta potrebbe cambiare il destino di migliaia di aspiranti cittadini italiani.

La cittadinanza italiana per discendenza: cosa è cambiato nel 2025?

Fino a marzo 2025, chi discendeva da un cittadino italiano poteva ottenere la cittadinanza italiana iure sanguinis (cioè per diritto di sangue), senza limiti di generazione. Era una regola consolidata, applicata da anni, che ha permesso a moltissimi cittadini stranieri, spesso residenti all’estero, di ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana.

Tutto è cambiato con il Decreto-Legge n. 36/2025, poi convertito nella Legge n. 74/2025: la nuova normativa ha introdotto un limite generazionale, escludendo dal riconoscimento molte persone che, secondo le regole precedenti, ne avrebbero avuto diritto.

Questa riforma ha riacceso il dibattito — sia politico che giuridico — portando l’attenzione anche sulla vecchia normativa, quella senza limiti generazionali. In particolare, alcuni giudici ordinari, chiamati a decidere su cause ancora pendenti regolate dalla disciplina anteriore a marzo 2025, hanno cominciato a chiedersi se l’assenza di un limite fosse effettivamente compatibile con i principi costituzionali.

Da questi dubbi sono nate le prime ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale.
(v. Tribunale ordinario di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, del 26 novembre 2024 – Reg. ord. n. 247/2024, G.U. Serie speciale n. 4/2025;
Tribunale ordinario di Milano, sezione dodicesima specializzata, del 3 marzo 2025 – Reg. ord. n. 66/2025, G.U. Serie speciale n. 16/2025;
Tribunale ordinario di Firenze, sezione specializzata, del 7 marzo 2025 – Reg. ord. n. 86/2025, G.U. Serie speciale n. 18/2025;
Tribunale ordinario di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione, del 21 marzo 2025 – Reg. ord. n. 65/2025, G.U. Serie speciale n. 16/2025).

La Corte costituzionale ha esaminato questi casi con la sentenza n. 142 del 31 luglio 2025, concentrandosi sulla normativa precedente, cioè quella senza limite di generazioni. In un passaggio della motivazione (par. 7), riferito ai ricorsi che le erano stati sottoposti, la Corte ha affermato in via indiretta che la nuova legge del 2025 non si applica alle cause pendenti prima del 27 marzo dello stesso anno. Una precisazione importante, che conferma quanto aveva già deciso, nel maggio 2025, il Tribunale di Campobasso, il quale aveva rigettato la tesi del Ministero secondo cui la riforma avrebbe dovuto avere effetti retroattivi anche sulle domande già in corso. La Corte ha così escluso una lettura del tutto priva di fondamento, contraria sia alla lettera che allo spirito della nuova legge.

Per il resto, la Corte ha concentrato le proprie valutazioni sulla disciplina precedente e ha ribadito tre punti chiave:

  • la cittadinanza iure sanguinis ha natura originaria e imprescrittibile,
  • il legislatore ha margini di discrezionalità, ma deve rispettare i principi di ragionevolezza e proporzionalità,
  • e le eventuali modifiche devono restare coerenti con la Costituzione.

L’unica questione di legittimità costituzionale che ha superato il filtro dell’ammissibilità è stata infine dichiarata infondata. Di conseguenza, la Corte ha stabilito che la legge previgente è conforme alla Costituzione.

Cosa ha deciso la Corte sulla vecchia legge: la sentenza n. 142/2025

Con la sentenza n. 142 del 31 luglio 2025, la Corte costituzionale si è espressa sulla precedente disciplina in materia di cittadinanza iure sanguinis, cioè quella senza limiti di generazione. La Corte ha dichiarato inammissibili la maggior parte delle questioni sollevate dai tribunali ordinari che avevano rimesso il caso al suo esame.

Secondo i giudici rimettenti, l’assenza di limiti generazionali risultava irragionevole e sproporzionata. Le ordinanze sostenevano che il riconoscimento illimitato della cittadinanza avrebbe finito per alterare la nozione di “popolo sovrano” prevista dall’articolo 1 della Costituzione, includendo anche milioni di persone senza alcun legame effettivo con la comunità nazionale. A rendere ancora più evidente il fenomeno, secondo questi giudici, sarebbero stati da un lato la storia migratoria italiana, dall’altro le nuove tecnologie, che rendono sempre più facile ricostruire gli alberi genealogici. A ciò si aggiunge l’interesse internazionale per la cittadinanza italiana, che consente anche vantaggi pratici, come ad esempio l’esenzione dal visto per l’ingresso negli Stati Uniti.

La Corte, però, ha ritenuto che queste critiche fossero formulate in modo troppo generico e che per accoglierle sarebbe stato necessario un intervento di tipo strutturale, un “intervento manipolativo di sistema”, come ad esempio fissare un numero massimo di generazioni o introdurre nuovi criteri di collegamento con l’Italia. Ma un’operazione di questo tipo, ha chiarito la Consulta, non spetta a lei, bensì al Parlamento.

L’unica questione che ha superato il vaglio di ammissibilità è stata quella fondata sull’articolo 3 della Costituzione, cioè sul principio di uguaglianza, sollevata dai Tribunali di Roma e Milano.

Il Tribunale di Roma aveva messo a confronto la disciplina dello iure sanguinis con quella prevista per i figli di ex cittadini italiani, richiamando l’art. 4 della legge n. 91/1992, che consente il riacquisto della cittadinanza solo ai figli o ai nipoti di chi l’ha persa. Il Tribunale di Milano, invece, aveva confrontato la situazione con quella della cittadinanza per matrimonio.

La Corte ha applicato il proprio orientamento ormai consolidato sull’art. 3 Cost.: la disparità di trattamento è rilevante solo quando riguarda situazioni sostanzialmente identiche trattate in modo ingiustificatamente diverso. Ma se le situazioni non sono omogenee, né per natura né per finalità, allora non si può parlare di violazione del principio di uguaglianza.

E così ha deciso:

  • nel caso del Tribunale di Roma, non c’è omogeneità perché l’art. 4, comma 1 della legge n. 91/1992 riguarda figli di ex cittadini italiani, mentre lo iure sanguinis riguarda discendenti di chi non ha mai perso la cittadinanza;
  • nel caso del Tribunale di Milano, la Corte ha sottolineato che vincolo matrimoniale e vincolo di filiazione sono diversi sotto il profilo giuridico e funzionale, e quindi non comparabili.

Sebbene la riforma introdotta dal Decreto-Legge n. 36/2025, poi convertita nella Legge n. 74/2025, non fosse oggetto diretto della sentenza, la Corte ha comunque enunciato una serie di principi fondamentali, che potrebbero essere determinanti quando — tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026 — verrà valutata la legittimità costituzionale della nuova normativa.

In particolare, la Corte ha ribadito che:

la cittadinanza iure sanguinis, alla luce della legge applicabile ai casi esaminati, ha natura originaria e imprescrittibile, e può essere fatta valere in qualsiasi momento, sulla base della sola prova della discendenza da cittadino italiano. Questo in continuità con la propria giurisprudenza e con quella della Corte di Cassazione:

“In sintonia con i tratti propri del presupposto costitutivo della cittadinanza, ovverossia lo stato di figlio, la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno qualificato la natura di tale modo di acquisto della cittadinanza come a titolo «originario» (la citata sentenza n. 30 del 1983, nonché Cass., sent. n. 25317 e n. 25318 del 2022).
Contestualmente, il diritto vivente ha sottolineato che lo status civitatis fondato sul vincolo di filiazione ha carattere «permanente ed è imprescrittibile [e] giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano».”
(Corte cost., sent. n. 142 del 31 luglio 2025, punto 6.2)

il legislatore gode di ampia discrezionalità nella regolamentazione della cittadinanza, ma le sue decisioni devono rispettare i principi di ragionevolezza e proporzionalità (punto 11.1);

è compito della Corte verificare che i criteri adottati dal legislatore non siano del tutto estranei alla Costituzione e non snaturino le caratteristiche essenziali della cittadinanza (punto 11.1);

la cittadinanza italiana implica appartenenza a una comunità con radici culturali e linguistiche comuni, ma deve restare aperta al pluralismo e alla tutela delle minoranze (punto 11.2);

infine, il diritto dell’Unione Europea riconosce agli Stati membri la competenza esclusiva in materia di cittadinanza, ma questa competenza deve essere esercitata nel rispetto dei valori comuni e tenendo conto della cittadinanza europea, che comporta diritti come la libera circolazione e l’uguaglianza di trattamento tra cittadini UE (punto 11.3).

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Il Tribunale di Torino contro la riforma: la cittadinanza non si può revocare retroattivamente

Diversamente dai tribunali che avevano portato alla sentenza n. 142/2025, i quali contestavano l’assenza di limiti nella vecchia normativa sullo ius sanguinis, il Tribunale di Torino ha sollevato un problema diametralmente opposto. Con la sua ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del 25 giugno 2025, ha messo in discussione la legittimità del nuovo limite generazionale introdotto dal Decreto-Legge n. 36/2025, poi convertito nella Legge n. 74/2025.

Secondo il giudice torinese, la nuova disciplina viola l’articolo 3 della Costituzione, perché crea disparità di trattamento tra persone che si trovano nella medesima situazione giuridica. Per esempio, tra chi ha potuto presentare la domanda di riconoscimento prima del 27 marzo 2025 e chi, con identico titolo, l’ha presentata dopo. Oppure tra discendenti della stessa famiglia che si trovano sulla linea genealogica continua, ma che risultano separati artificialmente dal nuovo “taglio” imposto dalla legge.

Secondo questa impostazione, il criterio meramente numerico utilizzato dal legislatore non ha un fondamento costituzionale sufficiente e risulta sproporzionato rispetto agli obiettivi dichiarati della riforma. Ma non solo: se il nuovo limite fosse applicato retroattivamente, si metterebbero in discussione anche la certezza del diritto e la tutela dell’affidamento legittimo dei cittadini. Infatti, sulla base delle norme precedenti, quei discendenti dovevano essere considerati già cittadini italiani dalla nascita, e non semplici aspiranti a un riconoscimento futuro.

In questo senso, il Tribunale ha scritto chiaramente:

“La nuova norma comporta, nella sostanza, una limitazione dello status di cittadino, già acquisito a titolo originario dai soggetti nati all’estero con avo italiano. (…) Una volta chiarito che, nel caso di specie, i ricorrenti sono nati cittadini italiani, deve conseguentemente concludersi che la normativa di cui al d.l. n. 36/2025 introduce – nella sostanza – una fattispecie di ‘revoca implicita’ della cittadinanza. E, inoltre, si tratta di una ipotesi di ‘revoca retroattiva’, nella misura in cui le nuove norme si applicano a tutti i casi che non siano pendenti alle 23:59 del 27.3.2025 (giorno precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 36/2025)”.

Infine, il Tribunale ha rilevato che questa restrizione potrebbe entrare in contrasto anche con i diritti riconosciuti dalla cittadinanza europea, come il diritto alla libera circolazione e quello all’uguaglianza di trattamento tra cittadini dell’Unione, sollevando così problemi di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea.

Per tutte queste ragioni, il giudice torinese ha ritenuto necessario chiedere alla Corte costituzionale di pronunciarsi, questa volta direttamente sulla legittimità della riforma del 2025. La decisione è attesa tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, e si preannuncia come il vero banco di prova della nuova disciplina.

Verso la nuova decisione: cresce l’attesa, cresce la speranza

La sentenza n. 142/2025 della Corte costituzionale riguardava la disciplina anteriore al marzo 2025, cioè quella che permetteva il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza limiti generazionali. Tuttavia, le affermazioni di principio contenute nella pronuncia – sulla natura originaria e imprescrittibile di questo diritto, sui limiti che vincolano il legislatore e sulla necessità di rispettare anche il quadro europeo – hanno già tracciato un percorso interpretativo netto, che difficilmente potrà essere ignorato nei futuri giudizi di costituzionalità.

La nuova riforma, introdotta dal Decreto-Legge n. 36/2025 e poi convertita nella Legge n. 74/2025, non è ancora stata sottoposta al vaglio diretto della Consulta. Ma la decisione è attesa a breve: tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026, la Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del limite generazionale introdotto dalla nuova legge.

Nel frattempo, migliaia di aspiranti cittadini italiani – nati all’estero ma legati da vincoli di sangue a un avo italiano – guardano con speranza alla Corte costituzionale, confidando che questa confermi gli orientamenti già affermati nella sentenza del luglio 2025. Una conferma che aprirebbe la strada a nuove prospettive di riconoscimento, per molti oggi esclusi non per mancanza di diritto, ma per effetto di un vincolo introdotto ex novo.

In definitiva, la partita sullo ius sanguinis è ancora aperta. La Corte ha iniziato a tracciare una rotta, ma sarà la prossima pronuncia a decidere se la riforma potrà reggere alla prova della Costituzione, o se invece dovrà essere ripensata nel rispetto dei principi che regolano l’identità giuridica e civile dei cittadini italiani.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 15 Settembre 2025

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Celeste Martinez Di Leo

Praticante avvocato, laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia e in “Abogacía” presso l’Universidad de Belgrano (Argentina) a pieni voti.

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