Abstract
Il confine tra esperienza personale e prova scientifica è sempre più sfumato. Con l’ascesa dei farmaci per il controllo del peso e dei nuovi modelli di comunicazione sui social, milioni di persone costruiscono le proprie opinioni non sui dati clinici, ma sulle testimonianze di celebrity e influencer. Questa “nuova evidenza mediatica” sposta il baricentro della fiducia: la scienza si misura con l’emotività, la medicina con l’algoritmo. Ma cosa distingue una prova da un racconto? Quali sono i limiti legali, deontologici ed etici della comunicazione sanitaria? E soprattutto: come si può comunicare in modo trasparente, senza tradire la verità scientifica né la libertà di parola? Questo articolo prova a rispondere, unendo diritto, scienza e responsabilità.
L’illusione della prova: quando l’esperienza diventa verità
Viviamo in un’epoca in cui la narrazione ha sostituito l’argomentazione.
Nel campo della salute, questa tendenza si manifesta in modo particolarmente evidente: un post virale, un’intervista o una testimonianza condivisa da un volto noto sembrano spesso più convincenti di una pubblicazione scientifica.
È il meccanismo noto come social proof: tendiamo a ritenere vero ciò che vediamo approvato da altri, soprattutto se la fonte ci appare credibile o popolare. Un esperimento pubblicato nel 2024 su Cognitive Research: Principles and Implications (Line et al.) lo ha dimostrato con chiarezza: anche quando venivano forniti dati statistici solidi, bastava un semplice aneddoto – positivo o negativo – per modificare l’opinione dei partecipanti sull’efficacia di un trattamento medico.
Nel caso dei più recenti farmaci per il controllo del peso (agonisti del recettore GLP-1), l’effetto si è amplificato. Le dichiarazioni di alcune celebrità – come Serena Williams, che in un’intervista a People ha raccontato di aver perso oltre 14 chili grazie a un farmaco GLP-1 – hanno generato milioni di visualizzazioni. La sua storia è stata presentata come un successo personale, ma non è accompagnata da dati clinici, dosaggi o monitoraggi indipendenti. È, in altre parole, un racconto, non una prova.
Eppure, nell’immaginario collettivo, il confine si dissolve: ciò che è “autentico” viene percepito come vero, e ciò che emoziona diventa più credibile di ciò che è verificabile. È il paradosso della comunicazione contemporanea: più un messaggio appare personale, più diventa persuasivo, anche quando si muove fuori dal terreno della scienza.
Lo stesso meccanismo ha favorito la diffusione di pratiche “wellness” e di claim pseudo-scientifici, come nel caso della piattaforma Goop di Gwyneth Paltrow, richiamata nel 2018 dalle autorità statunitensi per promozioni prive di basi mediche verificabili (BBC, Gwyneth Paltrow’s Goop pays $145,000 in vaginal egg lawsuit).
L’evidenza scientifica, al contrario, è un processo collettivo e verificabile: si costruisce con studi clinici randomizzati, meta-analisi e real-world evidence, secondo criteri stabiliti dal Regolamento (UE) n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e validati da enti come EMA e AIFA. Per approfondire, si veda l’articolo “Possiamo ancora fidarci della scienza? Tutto dipende dalla peer review”.
Una testimonianza, per quanto sincera, non può sostituire un trial né un’analisi di efficacia e sicurezza.
Eppure, l’attenzione pubblica tende sempre più a privilegiare l’esperienza rispetto al metodo. È da questa inversione di prospettiva che nasce la “nuova evidenza mediatica”: un fenomeno che confonde emozione e dimostrazione, trasformando la comunicazione sanitaria in un terreno scivoloso.
Ma dove finisce la libertà di raccontare e dove comincia la pubblicità sanitaria?
Il confine invisibile: quando la comunicazione diventa pubblicità sanitaria
Il diritto distingue chiaramente tra informazione sanitaria e promozione di un medicinale per uso umano, ma nella pratica quotidiana la linea è sempre più difficile da tracciare. Nel mondo dei social, dove la comunicazione si muove attraverso emozioni e storytelling, anche una testimonianza genuina può trasformarsi in una forma di pubblicità vietata.
Secondo la Direttiva 2001/83/CE art. 88 e il D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, è vietata ogni forma di pubblicità rivolta al pubblico per i medicinali soggetti a prescrizione medica. La ratio è semplice: impedire che il cittadino assuma decisioni terapeutiche basate su messaggi suggestivi piuttosto che su una valutazione professionale.
Sono consentite solo comunicazioni informative, come i fogli illustrativi, i rapporti di farmacovigilanza o le campagne di salute pubblica, purché oggettive, verificabili e non promozionali.
Ma sui social, i confini si sfumano.
Quando una celebrità o un influencer racconta la propria esperienza con un farmaco di prescrizione, anche senza citare il marchio commerciale, il messaggio può comunque influenzare il pubblico. La linea guida ministeriale sulla pubblicità dispositivi medici e dei medicinali di automedicazione (OTC) e dei medicinali senza obbligo di prescrizione (SOP) chiarisce che qualsiasi messaggio che, anche indirettamente, suggerisca un effetto terapeutico specifico è da considerarsi promozionale, indipendentemente dall’intento dichiarato.
A ciò si aggiungono le norme deontologiche: gli art. 56 (Pubblicità informativa sanitaria) e art. 55 (Informazione sanitaria) del Codice Deontologico FNOMCeO (agg. 2024) vieta al medico di utilizzare i mezzi di comunicazione per promuovere farmaci o trattamenti, e impone che ogni comunicazione pubblica rispetti criteri di trasparenza, prudenza e veridicità.
Le Linee guida FNOMCeO sui social media (2023) ribadiscono che il professionista può divulgare informazioni di interesse sanitario, ma non può “avvalorare” prodotti o terapie di specifiche aziende.
Le stesse regole valgono per gli influencer e i testimonial non medici.
Il Codice di Condotta per gli Influencer (AGCOM, Allegato B a Delibera 197/25/CONS) e il Regolamento Digital Chart (IAP, 2024) impongono che ogni collaborazione commerciale sia esplicitamente segnalata, con hashtag o diciture chiaramente visibili (#pubblicità, #collaborazione, #sponsorizzato, #ADV).
Il mancato rispetto di tali regole comporta responsabilità sia per il creator che per l’azienda.
In campo sanitario, tuttavia, non basta la trasparenza economica: serve anche correttezza scientifica.
Tra i casi più noti, Life120 (2018), con oltre 500.000 euro di sanzioni per pubblicità occulta e claim pseudo-scientifici, e le campagne del 2005–2006 su prodotti “snellenti” e “brucia-grassi”. Per approfondire, si veda “Il medico può fare l’influencer? Limiti legali e deontologici della divulgazione sanitaria” e “Comunicare la salute online: regole, limiti e responsabilità per i medici sui social“.
La logica è sempre la stessa: un messaggio che promette risultati sanitari, senza fondamento scientifico, non è comunicazione, è promozione.
E quando la promozione riguarda medicinali soggetti a prescrizione, come i GLP-1, si entra nel campo del divieto assoluto.
Tuttavia, non tutta la responsabilità ricade su chi comunica. Anche il sistema normativo deve adattarsi a un ecosistema in cui la scienza si racconta sui social. Come la evidence-based medicine può convivere con lo storytelling digitale?
La scienza raccontata: quando la medicina incontra lo storytelling
La medicina moderna si fonda sull’evidence-based medicine (EBM), un metodo che unisce dati clinici, competenza professionale e bisogni del paziente. Le decisioni terapeutiche dovrebbero poggiare su studi randomizzati, meta-analisi e real-world evidence, strumenti che permettono di valutare in modo riproducibile l’efficacia e la sicurezza di un trattamento.
È così che le agenzie regolatorie — EMA, AIFA e le autorità nazionali — approvano farmaci come gli agonisti del recettore GLP-1 (es. semaglutide e liraglutide), dopo aver analizzato i risultati di decine di migliaia di pazienti in studi multicentrici globali.
Questi studi seguono regole severe, definite dal Regolamento (UE) n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, che impone trasparenza dei dati, tracciabilità dei consensi, monitoraggio indipendente e pubblicazione dei risultati su piattaforme accessibili.
L’obiettivo è evitare che l’informazione sanitaria venga distorta o usata a fini promozionali.
Ma la comunicazione pubblica si muove su un piano diverso.
Lo storytelling sanitario — che si tratti del post di un paziente, della dichiarazione di una celebrity o della condivisione di un medico su un social network — traduce l’esperienza scientifica in linguaggio emotivo.
E qui nasce l’ambiguità: il racconto coinvolge, semplifica, ispira, ma inevitabilmente seleziona. Un frammento narrativo può amplificare una parte del messaggio, tralasciando il contesto o i limiti metodologici della ricerca.
Gli studi di psicologia cognitiva mostrano che le persone tendono a ricordare più facilmente una storia che una statistica. È il motivo per cui un video di trenta secondi può avere più impatto di un articolo accademico.
Nel 2023, Nature Medicine ha pubblicato una rassegna sulle comunicazioni riguardanti i GLP-1 (Mapping the effectiveness and risks of GLP-1 receptor agonists), evidenziando come la copertura mediatica enfatizzasse i benefici estetici e tralasciasse i profili di sicurezza, creando aspettative irrealistiche nei consumatori.
Questo non significa che la narrazione sia un nemico della scienza. Quando è corretta e contestualizzata, può diventare un alleato prezioso nella divulgazione: raccontare in modo umano un percorso terapeutico può favorire l’adesione alle cure e la comprensione del rischio-beneficio.
Le linee guida FNOMCeO incoraggiano i professionisti della salute a comunicare online con linguaggio chiaro e rigoroso, purché si eviti di presentare casi personali come esempi universali o di suggerire risultati garantiti.
La sfida è dunque quella dell’equilibrio: usare la forza del racconto senza tradire il metodo scientifico, comunicare l’esperienza senza trasformarla in prova.
Bibliografia
Bobbiesi C, Possiamo ancora fidarci della scienza? Tutto dipende dalla peer review. 2025
Canella A, Il medico può fare l’influencer? Limiti legali e deontologici della divulgazione sanitaria. 2025
Line EN, et al. Anecdotes impact medical decisions even when presented with statistical information or decision aids. Cognitive Research: Principles and Implications. 2024 Aug 26;9(1):51. doi: 10.1186/s41235-024-00577-3.
Canella A, Comunicare la salute online: regole, limiti e responsabilità per i medici sui social. 2025
Xie Y, Choi T, Al-Aly Z. Mapping the effectiveness and risks of GLP-1 receptor agonists. Nature Medecine. 2025 Mar;31(3):951-962. doi: 10.1038/s41591-024-03412-w.
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Data di pubblicazione: 24 Ottobre 2025
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