Direttiva UE 2024/2853: la nuova disciplina UE della responsabilità da prodotto difettoso non trascura l’AI

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Abstract

L’AI Act è nato e si sta confermando come tentativo regolamentare al contempo innovativo e ambizioso, e – come spesso avviene quando si cerca di aggiornare le norme al passo coi tempi – può capitare che vi siano delle lacune. Una di queste riguarda senz’altro la valutazione di difettosità dei prodotti “AI integrated”, impresa di per sé ostica per il semplice fatto che – spesso e volentieri – risultati insoddisfacenti nell’utilizzo dell’AI dipendono in realtà dalle imprecise istruzioni dell’utente piuttosto che da veri e propri difetti del software.

Fermo quanto sopra, la Direttiva UE 2024/2853 (la nuova Product Liability Directive) sembra contenere anche alcuni precetti rivolti proprio alla soluzione di questo spinoso problema.

Con la Direttiva UE 2024/2853, il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno raccolto la complessa sfida di provare a svecchiare una disciplina sulla responsabilità derivante da prodotti difettosi risalente addirittura a quaranta anni fa (Direttiva n. 85/374/EEC).

Lo hanno fatto, anzitutto, con lo strumento della direttiva, la quale – ai sensi dell’Trattato sul Funzionamento dell’UE – “vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. L’obiettivo primario, quindi, è quello di ravvicinare le legislazioni nazionali degli Stati membri.

Chi risponde di un danno provocato da un prodotto difettoso?

Nel mondo globalizzato di oggi, in cui le filiere produttive e distributive spesso si estrinsecano in vere e proprie reti di plurimi soggetti, individuare il responsabile tenuto a rispondere per i danni provocati da un prodotto difettoso è sempre più complicato: la catena che porta il prodotto dall’operatore commerciale che lo ha realizzato al consumatore finale è molto più complessa di quanto non accadesse fino a poco tempo addietro (basti pensare all’integrazione di strumenti di intelligenza artificiale in prodotti realizzati da terzi).

Proprio per questo motivo, prima ancora di concentrarci su chi sia giusto/conveniente puntare il dito per essere compensati per il danno subito, bisogna capire quali prodotti possano e debbano essere presi in considerazione nell’ambito del rapporto di consumo e quali siano i criteri sulla cui base valutare se/quando un prodotto è difettoso.

La nuova Direttiva fornisce, anzitutto, un’ampia definizione di prodotto (“ogni bene mobile, anche se integrato in un altro bene mobile o in un bene immobile o interconnesso con questi; include l’elettricità, i file per la fabbricazione digitale, le materie prime e il software”), che condivide le stesse fondamenta di quella prevista dall’art. 2 della Direttiva n. 85/374/EEC (“… per «prodotto» s’intende ogni bene mobile, anche se forma parte di un altro bene mobile o immobile. Per «prodotto» s’intende anche l’elettricità”), con l’opportuna aggiunta – finalmente! – di concetti ed elementi imposti dall’evoluzione tecnologica e digitale in corso, quali l’“interconnessione”, i “file per la fabbricazione digitale” e il “software”, comprendendo quindi sia prodotti che, quando integrati in altri più complessi, permettono il funzionamento di determinate funzionalità (es.: software che permettono servizi di monitoraggio della salute mediante l’attivazione di sensori su prodotti fisici), sia quelli che contengono le istruzioni necessarie per la produzione di altri beni (es.: software e file per la realizzazione di beni con stampanti 3D).

Con riferimento alla difettosità rilevante, il parametro di riferimento per capire se siamo di fronte a un difetto di prodotto è la sicurezza che un consumatore può legittimamente attendersi o che è prevista dal diritto dell’UE, sulla base di un’analisi (non soggettiva, bensì) obiettiva sulla sicurezza del prodotto. In questo senso, acquisiranno rilievo le circostanze riportate dall’art. 7 della Direttiva, come:

  • la presentazione e le caratteristiche del prodotto;
  • l’uso ragionevolmente prevedibile del prodotto;
  • i pertinenti requisiti di sicurezza del prodotto.

Aver chiarito questo, però, non elimina tutti gli ostacoli in fase di determinazione dei soggetti responsabili per difetto da prodotto.

Persino coloro che non hanno materialmente preso parte al processo di produzione del bene potrebbero non essere esenti da responsabilità! Questo, perlomeno, è l’orientamento della Corte di Giustizia dell’UE, espresso nella sentenza Ford Italia SpA v ZP e Stracciari SpA, nella quale la Corte ha stabilito che “si deve ritenere che il fornitore di un prodotto si presenti come produttore quando il nome di tale fornitore o un elemento distintivo di quest’ultimo coincida, da un lato, con il nome del fabbricante e, dall’altro, con il nome, il marchio o un altro segno distintivo apposto sul prodotto da quest’ultimo”.

Come rilevare una difettosità?

Una volta ricostruita l’intera catena produttiva e compresa la possibilità di poter invocare la responsabilità di ciascuno degli operatori che ne hanno preso parte, è importante valutare quale soggetto debba farsi carico di dimostrare la difettosità (o la mancanza di difettosità) di un prodotto quando dovesse insorgere una controversia.

Da questo punto di vista, è doveroso evidenziare fin da subito come la Direttiva abbia dato prova di profonda attenzione anche per questo specifico profilo, richiamando – nel Considerando n. 29 – la possibilità di trovare soluzioni stragiudiziali, percorrere metodi alternativi di risoluzione delle controversie (cfr. ADR) oppure tentare azioni rappresentative a norma della direttiva (UE) 2020/1828.
E proprio in tema di accertamento giurisdizionale (o paragiurisdizionale) della responsabilità da prodotto difettoso, la Direttiva introduce regole peculiari e diverse da quelle sinora (e fino al 9 dicembre 2026) applicabili, presenti nella ormai “vecchia” Direttiva. Si trovano, in particolare, negli artt. 10 e 11 della Direttiva UE n. 2024/2853.

Il primo prevede un alleggerimento importante dell’onere della prova in capo all’attore (consumatore – NdR), poiché afferma che questi sia tenuto a provare (I) il carattere difettoso del prodotto, (II) il danno subito e (III) il nesso di causalità tra il difetto e il danno, stabilendo però presunzioni importanti sulla base di un evidente favor per il consumatore, generalmente non in grado di comprendere fino in fondo il funzionamento tecnico di certi prodotti, soprattutto se caratterizzati dall’alto tasso tecnologico (basti pensare ai sistemi di apprendimento dei vari software di intelligenza artificiale, il cui funzionamento è solo in parte intelligibile da parte dell’utente).

Il secondo – almeno in certi casi – estende la responsabilità del produttore/fornitore al di là del momento iniziale di immissione sul mercato del prodotto, potendo questi dover rispondere anche per danni derivanti dal difetto di un prodotto dovuto agli aggiornamenti/alle migliorie del software (o alla loro mancata esecuzione).

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Gli effetti della nuova Direttiva sulle imprese

Non possiamo anticipare il futuro e prevedere con precisione il reale impatto della nuova Direttiva sulla responsabilità da prodotto, ma possiamo senz’altro affermare che essa comporterà per le imprese una serie di adattamenti normativi, organizzativi e tecnici non trascurabili, soprattutto alla luce della complessità crescente della filiera produttiva e distributiva.

In primo luogo, la Direttiva amplia significativamente la platea dei soggetti potenzialmente responsabili, includendo, accanto al produttore, anche l’importatore, il distributore, il fornitore di software o di aggiornamenti, fino ad arrivare ai gestori di piattaforme online, nei casi in cui svolgono un ruolo attivo nella commercializzazione del prodotto. Insomma, il produttore non è più solo il fabbricante della “materia prima”, ma sono “produttori” anche tutti i soggetti che intervengono in modo qualificato nella linea di trasmissione del prodotto sino al consumatore.

Ciò implica – lungo tutta la catena di fornitura – una necessaria rivalutazione dei contratti, che (prudenzialmente) dovranno sempre più spesso contemplare clausole specifiche in tema di responsabilità, garanzie, aggiornamenti software e monitoraggio post-vendita.

Altro elemento di forte impatto sarà la responsabilità legata alla mancanza di aggiornamenti software, novità assoluta rispetto alla disciplina previgente. L’operatore economico potrà essere chiamato a rispondere non solo per i difetti originari del prodotto, ma anche per quelli sopravvenuti a causa dell’omessa fornitura di aggiornamenti necessari a garantire la sicurezza del prodotto durante il suo ciclo di vita previsto. Questo comporterà per i “produttori” la necessità di dotarsi di sistemi interni di sorveglianza, manutenzione e aggiornamento post-vendita, dovendosi adeguare sul piano tecnico-organizzativo.

Infine, l’onere della prova alleggerito in favore del consumatore e le presunzioni previste agli artt. 10 e 11 della Direttiva, determinano una inversione del rischio giuridico: mentre in passato il danneggiato aveva l’onere pieno di dimostrare il difetto e il nesso causale, la nuova disciplina trasferisce in gran parte il rischio di soccombenza per mancato assolvimento dell’onere della prova in capo all’impresa, tenuta a confutare presunzioni sfavorevoli e/o fornire informazioni tecniche dettagliate.

Un contesto che non solo tutela il consumatore, ma che altresì premia le aziende trasparenti, tracciabili, e dotate di un sistema di gestione del rischio tecnologico ben strutturato.

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Data di pubblicazione: 27 Ottobre 2025

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Joel Persico Brito

Laureato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Praticante avvocato appassionato di contenzioso e diritto dell’arbitrato.

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