La protezione allargata dei marchi notori: il caso MAX & CO.

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Abstract

L’articolo analizza la disciplina giuridica dei marchi notori o di rinomanza, soffermandosi sulla portata della tutela allargata prevista dall’art. 22 del Codice della Proprietà Industriale e dall’art. 8(5) del Regolamento sul Marchio dell’Unione Europea. Attraverso l’esame della decisione EUIPO del 14 agosto 2025 (procedimento B 020775592), relativa al caso MAX & CO. vs CD, si evidenziano i criteri adottati per accertare la notorietà del marchio anteriore e per valutare il rischio di vantaggio indebito in assenza di affinità merceologica. L’analisi si conclude con una riflessione sulle implicazioni sistemiche ed etiche della protezione estesa dei segni celebri, alla luce della prassi amministrativa e giurisprudenziale più recente.

Il potere dei marchi notori o di rinomanza

Come noto, l’art. 22 del Codice della Proprietà Industriale (rubricato “Unitarietà dei segni distintivi”) dispone che:
“È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio […] un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa […] ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.

Alla regola generale appena richiamata fa da complemento essenziale il comma successivo, che amplia sensibilmente la tutela nei confronti dei marchi notori:
“Il divieto di cui al comma 1 si estende all’adozione […] di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza, se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

A livello unionale, tale impostazione trova un parallelo nell’art. 8, par. 5 del Regolamento sul Marchio dell’Unione Europea (RMUE), secondo cui:
“La registrazione del marchio depositato è […] esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore […] qualora quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà […] e l’uso senza giusto motivo del marchio depositato possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi”.

Questa disciplina introduce il principio della tutela allargata del marchio notorio, anche in assenza di affinità tra i prodotti o servizi, quando l’uso del segno successivo risulti idoneo a generare un indebito vantaggio competitivo o a danneggiare il valore distintivo e la reputazione del marchio anteriore.

Ma come si traduce questa norma nella prassi applicativa? E soprattutto: quali sono i criteri che consentono di dimostrare – e ottenere – lo status di marchio notorio?

Come si dimostra la notorietà di un marchio

Ci sono marchi talmente riconoscibili e radicati nell’immaginario collettivo che il solo fatto di affiancarvisi può creare un effetto traino. Alcuni segni – come Coca-Cola® – godono di tale “avviamento” che i marchi di terzi, semplicemente “agganciandosi” al loro prestigio, rischiano di brillare della luce altrui.

Lo abbiamo approfondito anche in un altro contributo a firma della Collega Margherita Manca, dal titolo emblematico: Usare un marchio celebre può costare caro: la Cassazione difende i marchi notori da diluizione e agganciamento.

In altri termini, l’abuso del marchio notorio non necessita sempre di una somiglianza merceologica per essere sanzionato. È sufficiente il vantaggio indebito, anche solo evocativo, per attivare la protezione allargata.

Ma non è questo l’aspetto più problematico. Le vere zone grigie, infatti, riguardano:

  • da un lato, la prova della notorietà;
  • dall’altro, l’effettiva portata della tutela estesa, e in che misura debba essere riconosciuta in concreto.

Fanno eccezione quei marchi che possono essere definiti “planetari” – come i già citati Coca-Cola®, NIKE®, Ferrari® – la cui fama è tale da non richiedere alcuna dimostrazione aggiuntiva.

Sul tema dell’uso di nomi propri come marchi e dei limiti connessi alla notorietà, si veda anche il nostro approfondimento “RADA contro PRADA: è sempre lecito utilizzare il nome del fondatore come marchio?”, che analizza come l’identità personale possa diventare – o meno – un elemento distintivo tutelabile.

Per tutti gli altri casi, invece, la notorietà va provata con elementi concreti e coerenti, cosa che spesso rappresenta un punto critico nelle vertenze di questo tipo.

La giurisprudenza richiede che venga dimostrato l’uso effettivo del segno, attraverso dati, documentazione e riscontri reali. Una prova tutt’altro che formale, ma essenziale per evitare l’automatismo nella concessione della tutela allargata.

Su questo punto, ci siamo già espressi anche nel nostro contributo “Anche i marchi (celebri) piangono!”, dove affrontavamo proprio la questione dell’agganciamento abusivo e delle conseguenze legali che può comportare.

Ma come si dimostra, nel concreto, questa notorietà? E quali elementi risultano più efficaci nei contenziosi?

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“Chiara la connessione, anche senza affinità merceologica”

Il caso di specie riguarda la domanda di Marchio dell’Unione Europea n. 018986101 presentata, in data 14 febbraio 2024, da tale signora CD (imprenditrice), relativa al seguente segno:

per i servizi della Classe 39 (servizi di trasporto e deposito merci) della Classificazione Internazionale di Nizza.

Successivamente, e precisamente in data 15 maggio 2025, la MAX MARA FASHION GROUP S.r.l. – titolare del marchio anteriore MAX & CO., oggetto di svariate registrazioni (a livello nazionale e internazionale) in Classe 18 (cuoieria), Classe 24 (tessuti) e Classe 25 (abbigliamento e calzature) – ha proposto opposizione ex art. 8, par. 5 RMUE.

Spoileriamo un po’: l’EUIPO ha accolto l’opposizione, dando ragione alla ben nota maison con decisione del 14 agosto 2025. Tuttavia, la signora CD ha già presentato ricorso, per cui non si può ancora mettere la parola “fine” alla vicenda.

Ma vediamo, in breve, che cosa ha affermato l’Ufficio.

Tanto per cominciare, l’EUIPO ha potuto apprezzare la prova della notorietà del segno dell’opponente, dimostrata da un corredo documentale rilevante, costituito:

  • da numerose immagini estratte dal web e dalla documentazione connessa;
  • da articoli e estratti di riviste di moda di ampia diffusione (COSMOPOLITAN, VOGUE, VANITY FAIR, ELLE);
  • dalla documentazione relativa ai volumi di fatturato, alle spese pubblicitarie e al numero dei punti vendita;
  • da sentenze e decisioni amministrative già ottenute in proprio favore.

All’esito dell’analisi di tali elementi, l’EUIPO ha ritenuto che il marchio MAX & CO. godesse effettivamente di notorietà in Italia, almeno con riferimento al settore dell’abbigliamento. È interessante notare come – ancora una volta – la prova della notorietà non richieda formalismi eccessivi, ma un insieme coerente di indizi documentali, capaci – se valutati nel complesso – di rendere evidente la diffusione e il prestigio del segno nel mercato di riferimento.

Passando poi al nesso tra i segni, secondo consolidata giurisprudenza, per accertare l’esistenza di un rischio di pregiudizio è necessario verificare se, tenuto conto di tutti i fattori pertinenti, il pubblico interessato potrebbe verosimilmente stabilire un’associazione tra i segni in conflitto.

L’EUIPO, in linea con la sentenza intel® (27 novembre 2008, C-252/07), richiama i principali fattori da considerare:

  • il grado di somiglianza tra i segni;
  • il livello di notorietà del marchio anteriore;
  • il carattere distintivo, intrinseco o acquisito, del marchio anteriore;
  • la natura dei prodotti o servizi e il relativo pubblico;
  • l’eventuale rischio di confusione per una parte del pubblico.

Nel caso di specie, i segni sono stati ritenuti altamente simili, in particolare per la comune presenza dell’elemento denominativo “MAX & CO.”, marchio notorio e dotato di un carattere distintivo “non necessariamente eccelso” (cfr. pag. 6 della decisione).

Infine, quanto ai prodotti e servizi marcati dai due segni, l’EUIPO – pur riconoscendo che non vi fosse una vera affinità merceologica – ha individuato punti di contatto significativi ai sensi dell’art. 8(5) RMUE.

Si legge infatti nella decisione:

“Sebbene la Divisione d’Opposizione concordi con la tesi della richiedente secondo la quale i prodotti e i servizi rilevanti non possano essere considerati simili, esistono dei chiari elementi di contatto tra di essi, rilevanti ai sensi dell’Art. 8(5) RMUE. Ed infatti, i servizi di trasporto possono, in astratto, riguardare qualsiasi tipo di categoria merceologica, inclusi prodotti nel settore dell’abbigliamento. Inoltre, la moderna era digitale impone di prendere in considerazione le odierne prassi di commercio online, dove i produttori di vestiti giocano spesso un ruolo proattivo anche nella spedizione e trasporto degli stessi, una volta acquistati presso le loro pagine internet o piattaforme digitali dedicate” (cfr. pag. 9, in alto).

Un ragionamento perfettamente allineato con la realtà attuale, in cui produzione e distribuzione tendono a sovrapporsi, specialmente nel settore moda. Ma quali sono, a questo punto, le implicazioni pratiche di una simile interpretazione estensiva?

Quando la notorietà impone (anche) un'etica della tutela

In tal senso, il ragionamento dell’EUIPO appare perfettamente allineato con la realtà contemporanea, nella quale il confine tra produzione e distribuzione tende progressivamente a sfumare.

Concludendo la propria analisi, l’Ufficio osserva che, posto di fronte al marchio contestato, il consumatore medio sarà verosimilmente portato a operare un’associazione mentale con il marchio MAX & CO., potendo pensare “di essere di fronte ai servizi di spedizione e trasporto offerti dal noto produttore di vestiti, o in maniera più generica, che la merce trasportata provenga da tale impresa”.

È a questo punto che l’Ufficio si sofferma sul possibile indebito vantaggio (il cosiddetto parassitismo) che il titolare del marchio contestato avrebbe potuto trarre dalla notorietà del segno anteriore.

Richiamando la crescente centralità della logistica e dell’e-commerce nel settore moda, l’EUIPO evidenzia come l’accostamento con MAX & CO. non sarebbe neutro: il consumatore medio, suggestionato dal valore evocativo del segno, attribuirebbe alla richiedente CD qualità logistiche e affidabilità paragonabili a quelle di una maison di moda affermata.

Servizi e prodotti dissimili, dunque, ma in qualche modo complementari e quindi sanzionabili ai sensi e per gli effetti dell’art. 8(5) RMUE.

E qui – a mio modo di vedere – sta il nocciolo, se vogliamo anche etico, della questione. A parere di chi scrive, quanto più un marchio sarà risultato celebre, tanto più la sua protezione allargata potrà estendersi, e dovrà essere riconosciuta anche per prodotti e servizi molto dissimili rispetto a quelli da esso originariamente marcati.

Una valutazione delicata e per certi versi soggettiva, che Giudici e Uffici sono chiamati – in un certo senso – a “oggettivizzare” mediante lo stratificarsi dei precedenti giurisprudenziali e dei criteri di valutazione ivi applicati.

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Data di pubblicazione: 28 Ottobre 2025

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Avv. Daniele Camaiora

Daniele Camaiora

Senior Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano e Cassazionista, appassionato di Nuove Tecnologie, Cinema e Street Art.

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