I marchi del lusso possono controllare i prezzi di rivendita?

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Abstract

Nel mese di ottobre, la Commissione Europea ha inflitto sanzioni per oltre 157 milioni di euro a tre note case di moda – Gucci, Chloé e Loewe – per pratiche anticoncorrenziali legate alla fissazione dei prezzi di rivendita (resale price maintenance, o “RPM”).

Secondo la Commissione, le tre società avrebbero limitato l’autonomia dei rivenditori indipendenti – online e offline – nell’impostare i prezzi al dettaglio, imponendo di fatto condizioni e vincoli che ostacolavano gli sconti e uniformavano i listini.

L’istruttoria si è conclusa con decisioni che qualificano le condotte come una violazione unica e continuata delle regole UE sulla concorrenza.

Quali sono state le condotte contestate a Gucci, Chloé e Loewe?

Dalle verifiche svolte dall’Autorità è emerso che, per un lungo arco temporale, le imprese coinvolte hanno posto in essere una serie di condotte in diretta violazione della normativa UE sull’antitrust. In particolare:

  • monitoravano i prezzi praticati dai rivenditori e intervenivano in caso di “deviazioni” rispetto ai listini desiderati;
  • impostavano vincoli sui prezzi di vendita consigliati, trasformandoli di fatto in prezzi imposti;
  • fissavano soglie massime di sconto e/o finestre temporali entro cui applicare promozioni e saldi;
  • in un caso, avevano richiesto lo stop delle vendite online per una specifica linea di prodotti.

Tali condotte avrebbero riguardato gran parte delle collezioni (abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori) dei tre marchi e l’intero territorio dello spazio economico europeo.

Secondo la Commissione, tale comportamento – protrattosi per diversi anni, dal 2015 al 2023, a seconda del marchio – ha ridotto la concorrenza tra i rivenditori e aumentato artificialmente i prezzi al consumo, limitando la possibilità per i clienti europei di beneficiare dei vantaggi di un mercato realmente competitivo.

Cos’è la resale price maintenance e perché viola l’articolo 101 TFUE?

La condotta sanzionata dalla Commissione rientra tra quelle previste dall’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e dall’articolo 54 dell’Accordo SEE. Entrambe le disposizioni vietano accordi o pratiche concordate tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto l’alterazione della concorrenza nel mercato interno.

La fissazione dei prezzi di rivendita (RPM) è considerata una restrizione hardcore ai sensi delle Linee Guida della Commissione sulle restrizioni verticali (Regolamento 2022/720). Si tratta di una delle violazioni più gravi perché elimina la libertà dei rivenditori di competere sui prezzi, riducendo la concorrenza intrabrand (cioè tra i rivenditori dello stesso marchio) e incidendo sul prezzo finale al consumatore.

In altre parole, la Commissione qualifica come RPM anche comportamenti che, pur non imponendo formalmente un prezzo, ne determinano una fissazione di fatto. È il caso, ad esempio, di pressioni esercitate sui rivenditori che applicano sconti, della minaccia di sospendere forniture, o dell’uso di sistemi di monitoraggio che scoraggiano deviazioni dal prezzo raccomandato.

La nozione di “infrazione unica e continuata” è un principio giurisprudenziale consolidato nella prassi antitrust europea. Essa permette di qualificare come un’unica violazione un insieme di atti o accordi che, pur distinti nel tempo o nei soggetti coinvolti, perseguono un medesimo obiettivo anticoncorrenziale e si inseriscono in un contesto economico o normativo unitario.

Nel caso Gucci, Chloé e Loewe, la Commissione ha ritenuto che le varie condotte – dal monitoraggio sistematico dei prezzi, alle pressioni sui retailer, ai limiti agli sconti e alle restrizioni alle vendite online – costituiscano tasselli di una strategia coerente volta a controllare i prezzi di rivendita nell’intero Spazio economico europeo. Tale unitarietà ha consentito alla Commissione di attribuire responsabilità continuativa per tutto il periodo di attuazione, aggravando il profilo sanzionatorio e impedendo di frammentare le singole condotte in infrazioni autonome.

Come vengono calcolate le sanzioni?

Le ammende sono state calcolate in base agli Orientamenti della Commissione del 2006 (GU C 210 del 1 settembre 2006), che stabiliscono criteri comuni per garantire proporzionalità e deterrenza. Tali orientamenti prevedono una metodologia articolata in tre criteri principali:

  1. determinazione dell’importo di base – si parte dal valore delle vendite di beni o servizi cui si riferisce l’infrazione, limitatamente all’area geografica e al periodo interessati. Su tale valore si applica una percentuale che varia a seconda della gravità della violazione. Le restrizioni hardcore, come la RPM, sono normalmente collocate nella fascia più alta (20-30%). Si aggiunge poi una componente fissa volta a garantire l’effetto dissuasivo;
  2. durata dell’infrazione – l’importo di base viene moltiplicato per il numero di anni (o frazioni di anno) in cui la condotta si è protratta. Nel caso delle tre maison, la Commissione ha riconosciuto una durata pluriennale, superiore a cinque anni, con un incremento proporzionale;
  3. circostanze attenuanti o aggravanti – possono determinare aumenti o riduzioni dell’importo finale. Tra le attenuanti figurano la cooperazione con l’Autorità, la cessazione immediata delle pratiche, o il ruolo marginale nella condotta. Tra le aggravanti, invece, vi sono la recidiva, la leadership nel cartello o la coercizione di altri operatori.

Nel caso in esame, tutte e tre le case di moda hanno beneficiato di una riduzione della sanzione complessiva grazie all’adesione alla procedura di cooperazione antitrust. Tale procedura consente una riduzione fino al 50% per le imprese che riconoscono i fatti essenziali e facilitano la conclusione del procedimento, evitando un contenzioso prolungato.

In concreto, dopo l’applicazione delle riduzioni, gli importi finali sono risultati i seguenti:

  • Gucci, circa 119,7 milioni di euro;
  • Chloé, circa 19,7 milioni di euro;
  • Loewe, circa 18 milioni di euro.

La Commissione ha precisato che le sanzioni riflettono non solo la dimensione economica dei gruppi, ma anche il ruolo di ciascuno nella condotta, l’ampiezza della rete distributiva e la cooperazione prestata. Tale approccio mira a garantire equità tra imprese diverse e coerenza con precedenti casi, dove la RPM è stata punita con criteri analoghi.

Un precedente che va oltre il mercato del lusso

L’episodio ha una portata che va ben oltre il mondo del lusso. Le pratiche di resale price maintenance, come quelle contestate a Gucci, Chloé e Loewe, rappresentano un rischio per l’intero sistema concorrenziale europeo, in quanto limitano la libertà dei rivenditori di determinare i propri prezzi e, di conseguenza, riducono le opportunità di scelta e risparmio per i consumatori.

Nel settore del lusso, il controllo dei prezzi è spesso giustificato con l’esigenza di tutelare il prestigio e il posizionamento del marchio, garantendo un’immagine coerente a livello mondiale. Tuttavia, la Commissione ha chiarito che il valore del brand non può trasformarsi in una giustificazione economica per eludere il diritto della concorrenza. La qualità o l’esclusività del prodotto non autorizzano un’impresa a stabilire prezzi imposti o coordinare le politiche commerciali dei propri distributori.

Il caso conferma un orientamento ormai consolidato: le restrizioni verticali di prezzo sono incompatibili con l’efficienza del mercato unico europeo, anche quando provengono da imprese con un’immagine di eccellenza o da reti di distribuzione selettiva. La tutela del marchio può giustificare la scelta dei distributori (approfondisci: Distribuzione Selettiva e Tutela dei Marchi di Lusso: la Corte di Cassazione offre alcuni spunti sui criteri di selezione della rete – Canella Camaiora) o la definizione di standard qualitativi, ma non può spingersi fino a controllare la politica di prezzo, pena la trasformazione della distribuzione selettiva in una rete di controllo economico.

Come prevenire i rischi legati alla politica dei prezzi?

Il caso commentato mostra come le regole europee sulla concorrenza si applichino con la stessa severità a ogni settore, anche a quelli più sofisticati e regolati dall’immagine di marca. Si tratta di un promemoria per tutte le imprese che operano in mercati complessi, dove la gestione del brand e la struttura della distribuzione devono essere costruite con attenzione non solo alla strategia commerciale, ma anche alla conformità alle norme antitrust.

La linea di confine tra una politica di tutela del marchio e una restrizione illecita della concorrenza può essere sottile: definire correttamente gli accordi di distribuzione, i rapporti con i rivenditori e le modalità di controllo dei prezzi richiede competenze giuridiche specialistiche e una visione di insieme del diritto della concorrenza e della proprietà industriale.

Per le imprese che vogliono valorizzare i propri marchi senza incorrere in rischi sanzionatori, è quindi fondamentale anticipare i profili critici, progettando sistemi di distribuzione e comunicazione commerciale pienamente conformi al quadro normativo europeo. Un approccio preventivo e consapevole è, oggi più che mai, la forma più efficace di tutela.

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Data di pubblicazione: 11 Novembre 2025

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale.

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