Legge Semplificazioni: la tutela delle fotografie semplici passa da 20 a 70 anni

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Abstract

La Legge Semplificazioni ha inciso in modo rilevante sulla disciplina della tutela delle immagini fotografiche, estendendo da 20 a 70 anni la durata dei diritti sulle fotografie semplici. La modifica, introdotta sull’art. 92 della legge sul diritto d’autore, non deriva da un obbligo europeo ma da una scelta autonoma del legislatore italiano.

L’articolo analizza le ragioni della riforma, il rapporto tra fotografie semplici e opere fotografiche e, soprattutto, il regime transitorio, chiarendo cosa accade alle immagini già esistenti e quali effetti concreti produce l’allungamento della tutela per imprese, editori, professionisti e istituzioni culturali.

Perché la tutela delle fotografie “semplici” è stata allungata a 70 anni

La riforma che ha esteso da 20 a 70 anni la tutela delle fotografie “semplici” nasce da una modifica apparentemente minimale, ma dagli effetti dirompenti: la sostituzione di una sola parola nell’articolo 92 della legge sul diritto d’autore. Con l’art. 47 della Legge 2 dicembre 2025, n. 182, il legislatore ha infatti cambiato “venti” in “settanta”, prolungando in modo drastico la durata dei diritti esclusivi sulle fotografie prive di carattere creativo. Dietro questa scelta, tuttavia, non c’è un semplice aggiornamento tecnico, bensì una precisa opzione di politica legislativa.

La motivazione ufficiale, sostenuta in sede parlamentare e dal Ministero della Cultura, è quella di adeguare la disciplina a un settore profondamente mutato, riconoscendo un valore economico e professionale più duraturo anche alle immagini non creative. Secondo questa impostazione, nell’economia digitale le fotografie continuano a generare sfruttamento ben oltre i vent’anni, soprattutto attraverso archivi, banche immagini e riutilizzi editoriali. L’allungamento della tutela viene quindi presentato come una forma di rafforzamento dei diritti dei fotografi, allineata alla crescente centralità delle immagini nella comunicazione contemporanea.

Ciò che conta sottolineare, però, è che questa riforma non era richiesta dall’Unione europea. Al contrario, il diritto UE consente agli Stati membri di proteggere le fotografie non originali, ma non impone né suggerisce un termine così esteso. Anzi, alcune norme europee – come l’art. 14 della direttiva 2019/790 – vanno nella direzione opposta, favorendo la libera circolazione delle riproduzioni di opere già in pubblico dominio. La scelta italiana si colloca dunque in controtendenza rispetto al dibattito europeo, ed è frutto di una iniziativa autonoma, maturata all’interno di un provvedimento eterogeneo dedicato alle “semplificazioni” amministrative.

Questo dato è fondamentale per comprendere il senso della riforma. L’estensione a 70 anni non è il risultato di un processo di armonizzazione, ma di un bilanciamento interno spostato a favore dei titolari dei diritti, in particolare fotografi e grandi archivi commerciali. È proprio questo spostamento dell’equilibrio – e non il numero in sé – che spiega perché la norma abbia suscitato reazioni così polarizzate e perché, come vedremo, il suo impatto si faccia sentire soprattutto sul terreno del pubblico dominio e del regime transitorio.

Fotografie semplici e opere fotografiche: una distinzione che ora vacilla

Per capire davvero la portata della riforma, bisogna fare un passo indietro e chiarire una distinzione che il diritto d’autore italiano conosce da oltre ottant’anni: quella tra opere fotografiche e fotografie “semplici”. Non è una sottigliezza per addetti ai lavori, ma il pilastro su cui si è sempre retto l’equilibrio tra tutela dell’autore e accesso alla memoria visiva collettiva.

Le opere fotografiche sono fotografie dotate di carattere creativo. In altre parole, immagini in cui si riconosce una scelta personale dell’autore: nell’inquadratura, nella luce, nella composizione, nel momento dello scatto. Per queste fotografie la legge le assimila a tutte le altre opere dell’ingegno, riconoscendo diritti morali e una tutela che dura per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la sua morte. È la protezione piena, pensata per la creazione artistica.

Accanto a esse, però, il legislatore del 1941 ha previsto una categoria diversa: le fotografie semplici. Si tratta di immagini prive di creatività, spesso documentarie o descrittive, come fotografie di cronaca, di eventi, di persone, di beni culturali o di opere d’arte. A queste immagini la legge non riconosce diritti d’autore in senso stretto, ma solo diritti connessi, limitati allo sfruttamento economico e, soprattutto, di durata molto più breve. Fino al 2025, infatti, la tutela durava 20 anni dalla produzione della fotografia, dopodiché l’immagine entrava nel pubblico dominio (approfondisci: Che differenza c’è tra opera fotografica e immagine semplice? – Canella Camaiora).

Questa distinzione non era casuale. Il termine breve di 20 anni era il risultato di un bilanciamento consapevole: da un lato si garantiva al fotografo un tempo sufficiente per rientrare dell’investimento e valorizzare il proprio lavoro; dall’altro si favoriva l’accesso rapido a immagini che, pur non creative, hanno un enorme valore storico, informativo e culturale. In altre parole, il legislatore riconosceva che le fotografie documentarie, proprio perché non creative, dovessero diventare patrimonio comune in tempi ragionevoli.

L’estensione a 70 anni rompe questo equilibrio. Oggi, una fotografia che la legge continua a definire “non creativa” riceve una protezione temporale praticamente identica a quella di un’opera d’arte. La distinzione resta sulla carta – le fotografie semplici non acquistano diritti morali e non diventano opere dell’ingegno – ma perde gran parte del suo significato pratico. Se entrambe restano sotto esclusiva per decenni, la differenza concettuale si assottiglia fino quasi a scomparire.

È qui che iniziano le prime incoerenze del sistema. Una fotografia meramente tecnica di un quadro antico può essere protetta più a lungo del film da cui è tratto un singolo fotogramma (v. anche Diritti sull’opera cinematografica: a chi spettano e per quanto tempo? di M. Manca); un’immagine di cronaca priva di qualsiasi apporto creativo viene sottratta al pubblico dominio per mezzo secolo in più; archivi interi di fotografie documentarie del secondo Novecento restano chiusi, non perché creative, ma perché la durata della tutela è stata equiparata verso l’alto. La riforma, dunque, non elimina la distinzione tra fotografie semplici e opere fotografiche, ma la svuota di senso, preparando il terreno al vero problema: capire come questa nuova tutela si applica alle fotografie già esistenti.

Il vero problema: cosa succede alle fotografie già esistenti?

Il punto più delicato della riforma non è tanto l’allungamento della tutela in sé, quanto il silenzio del legislatore sul regime transitorio. La legge che ha esteso la durata da 20 a 70 anni non contiene alcuna norma che chiarisca come trattare le fotografie già scattate prima della sua entrata in vigore. Ed è proprio questa omissione ad aver generato dubbi, timori e interpretazioni contrastanti.

La prima domanda che chiunque si pone è inevitabile: la nuova durata vale solo per le fotografie future oppure anche per quelle già esistenti? La risposta, secondo l’interpretazione oggi largamente prevalente in dottrina, è che la riforma si applica immediatamente a tutte le fotografie semplici i cui diritti non erano ancora scaduti al 18 dicembre 2025, data di entrata in vigore della legge. Non si tratta di una retroattività in senso tecnico, ma dell’applicazione di un nuovo termine più lungo a situazioni giuridiche ancora in corso.

In concreto, questo significa che tutte le fotografie semplici scattate dal 2005 in poi – che con il vecchio regime sarebbero entrate progressivamente nel pubblico dominio – restano ora protette fino al settantesimo anno dalla loro produzione. Una fotografia del 2010, che sarebbe diventata liberamente utilizzabile nel 2031, resterà invece sotto esclusiva fino al 2080. È qui che molti operatori hanno avvertito, per la prima volta, il peso reale della riforma.

La seconda domanda è ancora più sensibile: le fotografie che erano già in pubblico dominio tornano sotto tutela? Su questo punto, l’orientamento giuridico è molto più netto. Una fotografia che era già caduta in pubblico dominio prima del 18 dicembre 2025 resta libera. La legge non prevede alcuna “resurrezione” dei diritti estinti, e una simile interpretazione sarebbe difficilmente compatibile con i principi di certezza del diritto e di affidamento. In altre parole, ciò che era legittimamente utilizzabile continua a esserlo.

Tuttavia, proprio perché questa regola non è scritta nero su bianco in una disposizione transitoria, l’incertezza pratica resta. Archivi, editori, biblioteche e istituzioni culturali si trovano davanti a un problema operativo: per molte fotografie non è semplice stabilire con certezza l’anno di produzione, la natura creativa o non creativa dello scatto, o l’identità del titolare dei diritti. Dove prima il decorso dei vent’anni funzionava come una soglia di sicurezza, oggi quella soglia è stata spostata di mezzo secolo.

È qui che si manifesta il cosiddetto chilling effect: il timore di sbagliare induce molti operatori a non usare affatto le immagini, anche quando l’uso sarebbe legittimo. Progetti di digitalizzazione vengono sospesi, pubblicazioni rinviate, archivi tenuti offline “per prudenza”. Non perché la legge lo imponga espressamente, ma perché l’assenza di certezze spinge verso l’autotutela.

La riforma, dunque, non riscrive il passato, ma ne cambia radicalmente il futuro. Non richiama sotto diritto ciò che era già libero, ma impedisce che moltissime fotografie entrino nel pubblico dominio nei prossimi decenni. È un effetto silenzioso, ma potentissimo, che incide soprattutto su chi lavora con il patrimonio fotografico storico e contemporaneo. Ed è proprio per questo che, oggi, la domanda non è più solo “quanto dura la tutela”, ma come ci si deve comportare, concretamente, di fronte a questo nuovo scenario.

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Come comportarsi oggi: scelte operative per imprese, editori e istituzioni culturali

Alla luce della riforma, la domanda decisiva non è più teorica, ma pratica: come bisogna comportarsi oggi quando si vuole usare una fotografia? La risposta, purtroppo, non è più semplice come prima. Il vecchio criterio dei vent’anni funzionava come una regola di buon senso, facilmente applicabile anche da chi non era un giurista. Oggi, con una tutela che si estende fino a settant’anni, la gestione delle immagini richiede un cambio di mentalità.

Per le imprese editoriali, le agenzie di comunicazione e i professionisti, il primo effetto è la necessità di verificare sempre la data di produzione della fotografia. Tutte le immagini scattate dal 2005 in avanti devono essere considerate, in linea di principio, ancora protette come fotografie semplici, salvo che non si dimostri che si tratta di opere fotografiche creative (con regole diverse) o di materiali già certamente in pubblico dominio. Questo significa che il rischio legale non è più marginale, soprattutto per chi utilizza archivi fotografici storici, immagini di repertorio o contenuti reperiti online.

Per biblioteche, archivi, musei e istituzioni culturali, il problema è ancora più complesso. Molti progetti di digitalizzazione e valorizzazione del patrimonio fotografico si basavano proprio sull’ingresso progressivo delle immagini nel pubblico dominio dopo vent’anni. Oggi quel passaggio è stato rinviato di mezzo secolo. In assenza di chiarimenti ufficiali, la scelta più frequente è la prudenza: rinviare la pubblicazione, limitare l’accesso o ricorrere solo a immagini anteriori al 2005. È una scelta comprensibile, ma che ha un costo culturale elevato.

Un altro nodo critico riguarda l’individuazione dei titolari dei diritti. Con una tutela così lunga, aumenta esponenzialmente il numero di fotografie per le quali l’autore o i suoi eredi non sono facilmente rintracciabili. Prima, il decorso del tempo risolveva molti problemi; oggi, invece, molte immagini rischiano di restare giuridicamente protette ma di fatto inutilizzabili, perché nessuno è in grado di concedere una licenza. È il paradosso delle opere “bloccate”: non generano valore economico per i titolari, ma non possono essere liberamente usate.

In questo scenario, la valutazione preventiva diventa centrale. Per chi pubblica, diffonde o riutilizza immagini, è sempre più opportuno chiedersi non solo se una fotografia è bella o utile, ma se e a quali condizioni può essere legittimamente utilizzata. In molti casi, questo comporta una scelta: cercare immagini alternative, negoziare licenze, oppure rinunciare all’uso. Non è una semplificazione, ma è la conseguenza diretta di una tutela molto più lunga.

In attesa di possibili correttivi – come una norma interpretativa sul regime transitorio o nuove eccezioni per gli usi culturali – la riforma impone una realtà chiara: il pubblico dominio fotografico si è allontanato, e con esso la possibilità di usare liberamente immagini che raccontano la storia recente. Comprendere questa trasformazione è il primo passo per evitare errori, ma anche per orientarsi consapevolmente in un sistema che, oggi più che mai, richiede attenzione giuridica prima ancora che creativa.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 22 Dicembre 2025

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Avv. Arlo Cannela

Arlo Canella

Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.

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