Abstract
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C‑76/24) ha stabilito che il titolare di un marchio nazionale può agire anche contro lo stoccaggio all’estero di merci contraffatte (in un altro Stato membro) se queste sono destinate al proprio mercato. L’articolo analizza i fatti del caso, la normativa applicabile e le implicazioni concrete per la tutela del marchio nell’ambito dell’e-commerce e della logistica transfrontaliera.
Il caso: marchio nazionale, merci contraffatte e stoccaggio all’estero
Un’impresa tedesca, titolare di marchi registrati presso il Deutsches Patent- und Markenamt (Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi), scopre che un concorrente spagnolo utilizza un segno identico per promuovere e vendere online prodotti della stessa categoria. Le vendite avvengono tramite un sito web e la piattaforma Amazon.de, chiaramente rivolti al pubblico tedesco.
Il tribunale di primo grado (Landgericht Nürnberg-Fürth), con sentenza del 3 febbraio 2022, accerta la violazione del marchio e vieta la commercializzazione dei prodotti in Germania. Tuttavia, emerge una criticità rilevante dal punto di vista operativo: i beni contraffatti non si trovano in territorio tedesco, bensì in Spagna, dove ha sede e magazzino il concorrente.
In base al principio di territorialità, il marchio nazionale tutela il titolare soltanto nel Paese in cui è registrato. Ci si chiede allora se un giudice tedesco possa o meno intervenire su merci stoccate all’estero, anche quando queste sono chiaramente destinate al proprio mercato interno.
Il tema — al centro del ricorso in appello — ha sollevato dubbi non solo interpretativi, ma anche sistemici. Il Tribunale superiore (Oberlandesgericht Nürnberg), con sentenza del 29 novembre 2022, ha ritenuto che la mera detenzione dei beni all’estero potesse rientrare nel divieto. A fronte dell’incertezza normativa, la Corte federale tedesca ha deciso di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per chiarire se e in che misura la normativa europea consenta un’estensione extraterritoriale della tutela del marchio.
Merci contraffatte in magazzino: cosa prevede la Direttiva EU?
La Direttiva (UE) 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa mira a garantire una tutela coerente, effettiva e armonizzata dei marchi in tutta l’Unione Europea. Il suo scopo è evitare che divergenze tra le normative nazionali compromettano l’efficacia del diritto di marchio, soprattutto nel contesto del mercato unico.
Uno dei passaggi centrali si trova all’articolo 10, paragrafo 3, lettera b), che attribuisce al titolare del marchio il potere di vietare a terzi:
«di offrire o immettere in commercio o stoccare a tali fini i prodotti ovvero offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno».
Il dettato normativo è chiaro: la protezione non riguarda solo la vendita effettiva, ma anche lo stoccaggio dei beni contraffatti, purché finalizzato all’immissione in commercio. In altri termini, il titolare del marchio può agire non solo contro chi commercializza direttamente un prodotto illecito, ma anche contro chi ne conserva le scorte con l’intenzione di metterle sul mercato.
Il testo, tuttavia, non specifica se tale potere possa estendersi oltre i confini dello Stato in cui il marchio è registrato, nel caso in cui si tratti di un marchio nazionale. Questo silenzio normativo solleva una questione rilevante: può la sola localizzazione all’estero del magazzino escludere l’illiceità dello stoccaggio?
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata chiamata a chiarire proprio questo punto. E lo ha fatto offrendo una lettura della norma che tiene conto non tanto della collocazione fisica della merce, quanto della funzione economica dello stoccaggio in relazione al mercato di riferimento.
Chi risponde e perché: la lettura della Corte di Giustizia
Nella causa C‑76/24, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che la protezione offerta dal marchio nazionale non si limita al territorio in cui il segno è registrato, se l’attività illecita ha un collegamento funzionale con quel mercato. In particolare, ha stabilito che il titolare può opporsi allo stoccaggio di prodotti contraffatti situati in un altro Stato membro, quando tale stoccaggio è finalizzato all’offerta o alla commercializzazione nel territorio coperto dal marchio.
Secondo la Corte, non rileva il solo luogo in cui si trovano fisicamente i beni. Il nodo giuridico è se esista una finalità commerciale diretta al mercato di protezione. In presenza di tale destinazione, la condotta è vietata, a prescindere dalla logistica transfrontaliera.
La responsabilità, inoltre, non si limita a chi detiene materialmente i prodotti. La Corte ha chiarito che risponde anche chi esercita un potere di direzione o controllo effettivo sul soggetto che gestisce lo stoccaggio. In questo modo, il titolare del marchio può agire anche contro il soggetto “a monte” della filiera, che organizza la distribuzione violando i suoi diritti, anche senza contatto diretto con la merce.
«[…] è sufficiente disporre di un potere di supervisione o di direzione sulla persona che ha il controllo diretto ed effettivo su tale prodotto»
(CGUE, sentenza C‑76/24, punto 47)
Questo principio è fondamentale nei modelli di commercio digitale, dove lo stoccaggio è spesso affidato a soggetti terzi in altri Paesi UE. La Corte ha voluto evitare che l’apparente frammentazione delle funzioni (produzione, stoccaggio, spedizione) possa servire da schermo giuridico per aggirare la tutela del marchio nazionale.
In sintesi, la Corte ha tracciato una linea di responsabilità chiara e funzionale: risponde chi ha il controllo commerciale effettivo sullo stoccaggio dei prodotti contraffatti, anche se quest’ultimo avviene al di fuori del territorio del marchio. Ciò consente al titolare di reagire in modo tempestivo e mirato, intervenendo direttamente alla radice della violazione.
Un’arma in più per reagire alla contraffazione on-line
Con la sentenza C‑76/24, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dato al titolare del marchio nazionale uno strumento ulteriore per reagire in modo efficace alla contraffazione: la possibilità di intervenire direttamente sullo stoccaggio transfrontaliero, se le merci sono destinate al proprio mercato.
Non è necessario che i prodotti si trovino fisicamente nel Paese di registrazione del marchio. Né serve attendere che vengano venduti o consegnati. Oggi, è sufficiente dimostrare che lo stoccaggio avviene con finalità commerciali verso il territorio nazionale per poter chiedere l’inibizione, il sequestro o altre misure di contrasto.
Questa impostazione cambia la prospettiva per chi subisce una violazione. Una volta accertata la destinazione al proprio mercato, il deposito estero non è più una zona franca: può essere aggredito legalmente. Diventa quindi fondamentale, in caso di sospetta contraffazione, agire tempestivamente e in modo documentato, anche attraverso indagini tecniche e atti di acquisizione della prova.
Tra gli strumenti a disposizione:
- l’acquisto di prodotti campione (anche anonimo o sotto copertura),
- la documentazione del percorso logistico (tracciabilità della spedizione, analisi dell’e-commerce),
- la raccolta di elementi oggettivi che dimostrino il collegamento tra stoccaggio e offerta commerciale nel territorio protetto (lingua, valuta, modalità di reso, targeting pubblicitario, ecc.).
Una volta chiariti i fatti e identificata la responsabilità, sarà possibile costruire un’azione fondata anche contro soggetti che non gestiscono fisicamente le merci, ma le fanno stoccare o ne controllano la distribuzione.
La sentenza consente dunque di intercettare la violazione prima che si compia e colpire direttamente il centro operativo della filiera contraffattoria. È una tutela più avanzata, che premia chi sa documentare e reagire in modo mirato.
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Data di pubblicazione: 17 Settembre 2025
Ultimo aggiornamento: 18 Settembre 2025
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Gabriele Rossi
Laureato in giurisprudenza, con esperienza nella consulenza legale a imprese, enti e pubbliche amministrazioni.