Controlli sui lavoratori tra geolocalizzazione e videosorveglianza: cosa è lecito e cosa no?

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Abstract

Smartphone, tablet, computer portatili e veicoli aziendali: oggi molti strumenti di lavoro includono funzionalità di localizzazione e tracciamento. A questo si aggiungono app per la timbratura da remoto, software gestionali e sistemi di videosorveglianza, ormai diffusi non solo in azienda, ma anche nei coworking e negli spazi condivisi. In un contesto dove smart working, trasferte e lavoro “fuori sede” sono all’ordine del giorno, è lecito chiedersi: fino a che punto il datore può controllare i propri dipendenti?

Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche lecito

L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), così come modificato dal Jobs Act (D.Lgs. 151/2015), resta il punto di riferimento imprescindibile: gli strumenti dai quali possa derivare anche indirettamente un controllo a distanza dell’attività del lavoratore possono essere impiegati solo per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza o di tutela del patrimonio aziendale.

Un esempio concreto di esigenza organizzativa si riscontra nei casi in cui un’azienda committente affidi l’attività di consegna a una società terza e intenda monitorarne l’operato. Secondo quanto chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Nota INL n. 9728/2019), è autorizzabile – nel rispetto dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori – l’installazione di un’applicazione sugli smartphone in dotazione ai driver incaricati, al fine di coordinare le consegne, verificare l’esecuzione dei percorsi assegnati e gestire eventuali criticità logistiche.

Parimenti, costituisce un’esigenza di sicurezza – e dunque legittima nei limiti previsti – l’installazione di sistemi GPS sui veicoli aziendali per localizzarli in caso di sinistri, furti o eventi anomali. La Nota INL n. 2572/2023 ha precisato che, in presenza di tali finalità, non è necessario indicare le targhe dei veicoli nel provvedimento autorizzativo, purché il sistema sia proporzionato e non produca un controllo continuo e generalizzato sulla persona del lavoratore.

In entrambi i casi, resta necessario fornire un’informativa scritta ai lavoratori, specificare chiaramente le finalità del trattamento, assicurare la tracciabilità degli accessi ai dati e limitarne la conservazione al tempo strettamente necessario, in linea con i requisiti richiesti dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR).

Oltre all’informativa scritta, deve essere stato raggiunto un accordo collettivo con le rappresentanze sindacali aziendali o deve essere richiesta l’autorizzazione all’Ispettorato nazionale del lavoro.

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Smart working e geolocalizzazione: l’intervento del Garante

Con provvedimento del 13 marzo 2025 il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha sanzionato con 50.000 euro un’azienda che monitorava la posizione di oltre 100 dipendenti (su 540) in smart working attraverso un’app per la timbratura da remoto: i lavoratori, contattati a campione, venivano invitati ad attivare la geolocalizzazione del proprio dispositivo, timbrare la presenza tramite apposita applicazione e dichiarare via email la propria posizione fisica.

Molto spesso, seguiva la verifica della rispondenza tra il luogo o i luoghi di lavoro indicati dal lavoratore nel contratto individuale di lavoro agile rispetto a quanto dichiarato tramite e-mail e a quanto risultante dall’applicativo.

Potevano quindi seguire addebiti disciplinari per “inosservanza nei tempi e nelle modalità delle procedure previste dal Regolamento inerente lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile” oppure per “discordanza tra l’ubicazione dichiarata e la geolocalizzazione accertata dall’Ufficio Ispettivo nell’espletamento delle verifiche”.

L’azienda sosteneva che si trattasse di uno strumento di controllo finalizzato alla rendicontazione interna (in altre parole… ai fini della timbratura) per i lavoratori in smart working e, comunque, ratificata con apposito accordo sindacale. Tuttavia, il Garante ha rilevato nella procedura diversi profili di illegittimità:

  • Assenza di una base giuridica idonea: il trattamento dei dati di localizzazione non era supportato da una giustificazione legittima, né da un consenso realmente libero.
  • Informativa carente: i dipendenti non erano stati adeguatamente informati sulla natura e finalità del trattamento dei loro dati.
  • Controllo sproporzionato: la procedura adottata – anche se ratificata da un accordo sindacale – costituiva un monitoraggio diretto, continuo e pervasivo, contrario allo Statuto dei lavoratori e ai principi costituzionali.
  • Interferenze nella sfera privata: la geolocalizzazione in tempo reale violava la libertà e dignità del lavoratore, sacrificando lo spazio di autonomia che lo smart working dovrebbe garantire.

Il risultato? Una sanzione da 50.000 euro, con obbligo di cancellazione dei dati raccolti e di modifica radicale delle procedure aziendali.

Sistemi GPS su veicoli aziendali: quando sono illeciti?

Un ulteriore esempio concreto di trattamento illecito dei dati è quello oggetto del provvedimento n. 7 del 16 gennaio 2025, con cui il Garante ha sanzionato una società di autotrasporti per l’uso non conforme di sistemi di geolocalizzazione a bordo dei propri veicoli aziendali, nonostante l’azienda avesse ottenuto un’autorizzazione preventiva dall’Ispettorato del Lavoro.

Tra le violazioni più gravi accertate dal Garante rientra la mancata osservanza dei principi di minimizzazione dei dati e limitazione della conservazione, sanciti all’art. 5, par. 1, lett. c) ed e) del GDPR. Il sistema di geolocalizzazione adottato dalla società tracciava i veicoli aziendali in modo continuativo, registrando informazioni anche durante le pause lavorative, e conservava i dati raccolti per un periodo esteso di 180 giorni. Tali modalità sono state giudicate eccessive e non proporzionate rispetto alle finalità dichiarate, che avrebbero potuto essere soddisfatte con strumenti meno invasivi e attraverso la raccolta di dati meno dettagliati.

Inoltre, il trattamento è risultato in difformità rispetto alle condizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro, la quale prevedeva espressamente la rilevazione non continuativa dei veicoli e l’identificazione del conducente solo in caso di effettiva necessità (ad esempio in presenza di eventi anomali o incidenti). Di fatto, la società era in grado di collegare in ogni momento il mezzo al lavoratore mediante sistemi informatici e dati aziendali incrociati, aggirando così le tutele previste dall’autorizzazione stessa.

La videosorveglianza: strumenti di sicurezza o di controllo occulto?

Simile attenzione richiede la gestione dei sistemi di videosorveglianza. Anche qui l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori si applica in pieno. Il datore di lavoro può installare telecamere solo previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato, e mai per controllare l’operato del singolo lavoratore in modo continuativo. Le finalità devono essere reali e documentabili: tutela del patrimonio aziendale, prevenzione dei furti, sicurezza nei luoghi di lavoro.Va da sé che:le telecamere non possono essere puntate direttamente su scrivanie o postazioni singole;

  • non possono essere usate per monitorare pause, interazioni tra colleghi o spostamenti interni;
  • devono essere segnalate con appositi cartelli;
  • le immagini devono essere conservate per il tempo strettamente necessario (di norma, non oltre 24-48 ore).

La gestione della videosorveglianza richiede quindi non solo autorizzazione, ma anche coerenza tra finalità dichiarate e modalità effettive di utilizzo.

Nel nostro lavoro quotidiano, ci capita spesso di assistere aziende nella predisposizione di regolamenti interni per l’utilizzo lecito di sistemi digitali e di rappresentare lavoratori che scoprono di essere stati controllati senza adeguata informazione o garanzia.

Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di saperla usare con criterio e responsabilità. Ogni strumento digitale introdotto in azienda – dal GPS alla videosorveglianza – richiede scelte consapevoli, documentazione accurata e gestione trasparente.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 18 Luglio 2025

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Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.

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