È necessario registrare il copyright del software per vendere nell’Unione Europea?

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Abstract

Chi esporta software e prodotti di network security nell’Unione Europea si confronta spesso con una domanda ricorrente: è necessario registrare il copyright per vendere o tutelarsi in caso di contraffazione?

Il diritto europeo segue un’impostazione diversa da quella di altri ordinamenti: la tutela del software nasce automaticamente con la creazione dell’opera, senza formalità, ma richiede un’attenta organizzazione della prova. Questo articolo chiarisce cosa prevede realmente il quadro normativo UE, perché non esiste una registrazione del copyright europeo, che cosa è protetto nel software e quali strumenti giuridici consentono di difendere efficacemente i propri diritti in caso di contenzioso.

Il copyright in Europa nasce senza registrazione

Nel diritto dell’Unione Europea la tutela del software non dipende da alcuna registrazione. Questo punto, che per molti operatori extra-UE appare controintuitivo, è invece uno dei pilastri del sistema europeo. Il diritto d’autore nasce automaticamente nel momento in cui l’opera viene creata, senza che sia necessario alcun deposito, certificato o atto amministrativo. Non è una scelta casuale, ma il risultato di un impianto normativo coerente che affonda le sue radici nella Convenzione di Berna, alla quale aderiscono anche Stati Uniti e Cina.

La Convenzione di Berna impone due principi chiave. Il primo è il trattamento nazionale: un software sviluppato da un’impresa cinese o statunitense deve ricevere in Europa la stessa tutela riconosciuta a un software sviluppato da un autore europeo. Il secondo è la protezione automatica: la nascita del diritto non può essere subordinata ad alcuna formalità. Questo significa che l’assenza di un registro pubblico non indebolisce la tutela, ma ne è una conseguenza diretta.

Le direttive europee hanno recepito e rafforzato questo approccio. La Direttiva 2009/24/CE qualifica i programmi per elaboratore come opere letterarie e protegge ogni forma di espressione del software, dal codice sorgente al codice oggetto. La Direttiva 2001/29/CE completa il quadro, estendendo la tutela a elementi accessori ma strategici, come la documentazione tecnica e i manuali, purché originali. In questo sistema, l’unico vero requisito è l’originalità, intesa come creazione intellettuale propria dell’autore, non come novità tecnica in senso brevettuale.

Il fraintendimento più diffuso tra gli operatori extra-UE nasce proprio qui: si tende a confondere l’assenza di registrazione con l’assenza di tutela. In realtà la tutela è piena e immediata. Il problema non è ottenere il diritto, ma dimostrarne l’esistenza e la titolarità quando si arriva davanti a un giudice.

Esiste una “registrazione del copyright” nell’Unione Europea?

Una delle domande più frequenti tra le imprese extra-UE che intendono commercializzare software in Europa riguarda l’esistenza di una registrazione ufficiale del copyright. La risposta, per quanto possa sorprendere chi proviene da ordinamenti diversi, è netta: nell’Unione Europea non esiste alcuna registrazione del copyright, né a livello sovranazionale né, salvo eccezioni marginali, nei singoli Stati membri.

Questa assenza non rappresenta una lacuna del sistema europeo, ma ne è una conseguenza diretta. Il diritto dell’Unione è costruito in coerenza con la Convenzione di Berna, che vieta espressamente di subordinare la nascita della tutela del diritto d’autore a formalità come il deposito o la registrazione. La protezione del software, dunque, non dipende da un atto amministrativo, ma nasce automaticamente con la creazione dell’opera, a condizione che essa soddisfi il requisito dell’originalità. Il modello europeo è, per impostazione, l’opposto di quello statunitense, dove la registrazione, pur non essendo costitutiva del diritto, assume un ruolo centrale nell’enforcement.

Nonostante ciò, molti operatori continuano a cercare una “copyright registration UE” perché proiettano sul mercato europeo schemi concettuali propri di altri ordinamenti. Questo porta spesso a confondere strumenti diversi, attribuendo loro una funzione che non hanno. Servizi di deposito privato, escrow del codice o marcature temporali vengono talvolta presentati come forme di registrazione, quando in realtà sono meri strumenti probatori, utili ma privi di qualsiasi effetto costitutivo. Allo stesso modo, la registrazione di un marchio o di un design presso l’EUIPO tutela segni distintivi o l’aspetto estetico di un prodotto, ma non protegge il codice né la struttura del software.

In questo contesto si collocano anche strumenti nazionali che, soprattutto in Italia, vengono spesso percepiti come una “registrazione del software”. Il deposito del software presso la SIAE, ad esempio, non crea il diritto d’autore, che esiste già per il solo fatto della creazione dell’opera. La sua funzione è diversa: può avere rilievo probatorio, aiutando a dimostrare l’esistenza di una determinata versione del software a una certa data, e in alcuni casi assume importanza anche sul piano fiscale e di pianificazione aziendale. Proprio per evitare equivoci, lo Studio Canella Camaiora ha già approfondito la distinzione tra tutela legale del software e utilizzo strategico del deposito SIAE in un precedente contributo dedicato al tema (si v. La registrazione del software in SIAE: tra tutela legale e pianificazione fiscale – Canella Camaiora).

Comprendere questa distinzione è essenziale per chi opera nel mercato europeo. In UE non esiste un certificato che “conferisce” il copyright, né uno strumento unico che lo attesti in modo definitivo. Cercare una registrazione che non esiste rischia di distogliere l’attenzione dal vero nodo giuridico: la capacità di dimostrare, in modo credibile e documentato, la titolarità e l’anteriorità del software in caso di contestazione.

Che cosa è protetto nel software (e cosa resta fuori dalla tutela)

Il diritto d’autore tutela il software, ma lo fa con confini molto precisi. Sono protetti il codice sorgente e il codice oggetto, in quanto forme di espressione dell’opera. È protetta anche la documentazione tecnica, se originale. Può essere protetta l’interfaccia grafica, nella misura in cui la sua struttura visiva rifletta scelte creative dell’autore.

Allo stesso tempo, una parte rilevantissima di ciò che rende competitivo un software di network security non è protetta dal copyright. Le funzionalità, gli algoritmi in quanto tali, i protocolli di comunicazione, i formati di file, i linguaggi di programmazione e i principi di funzionamento restano fuori dalla tutela. La giurisprudenza europea lo ha chiarito in modo inequivoco: il diritto d’autore protegge l’espressione, non le idee.

Questo ha conseguenze pratiche decisive. Un concorrente può osservare il comportamento di un software, comprenderne le funzioni e sviluppare da zero un programma che svolga le stesse attività, purché non copi il codice. Nel settore della network security, dove l’interoperabilità e l’uso di standard comuni sono la regola, questo margine di liceità è particolarmente ampio.

Anche la decompilazione rientra in un perimetro di liceità molto circoscritto. È ammessa solo quando è indispensabile per ottenere informazioni necessarie a garantire l’interoperabilità e solo a condizioni rigorose. Non può mai essere utilizzata come scorciatoia per replicare un software concorrente nella sua forma espressiva.

Il risultato è una protezione forte del codice, ma debole delle funzionalità. Chi esporta software in UE deve esserne consapevole per evitare aspettative irrealistiche e strategie di tutela mal impostate.

Come si prova il copyright in giudizio senza una registrazione

Nel sistema europeo, l’assenza di una registrazione del copyright non significa affatto assenza di tutela. Significa, piuttosto, che la tutela vive o muore sulla prova. In un giudizio per contraffazione di software davanti a un tribunale dell’Unione Europea, l’onere probatorio grava interamente su chi agisce. Il titolare deve dimostrare tre elementi fondamentali: chi è il proprietario del diritto, che il software esisteva in una certa data e che il convenuto ha copiato parti protette dell’opera, e non semplicemente replicato funzionalità lecite.

È qui che molti operatori extra-UE incontrano le maggiori difficoltà. Non perché il diritto non esista, ma perché non è stato organizzato. Nei tribunali europei, e in particolare in Italia, assumono un peso determinante le prove tecniche e documentali. I repository di codice con cronologia verificabile – come i sistemi di version control – rappresentano uno degli strumenti più efficaci, perché consentono di ricostruire in modo puntuale lo sviluppo del software, individuando autore, data e contenuto delle singole porzioni di codice. Accanto a questi, i contratti di lavoro e di consulenza svolgono un ruolo essenziale: senza clausole chiare di cessione dei diritti, la titolarità del software può essere seriamente contestata, soprattutto quando lo sviluppo coinvolge freelance o soggetti esterni.

Altri strumenti rafforzano ulteriormente il quadro probatorio. La marcatura temporale qualificata consente di attribuire data certa a una determinata versione del codice. Il deposito in escrow, spesso utilizzato nei rapporti commerciali più strutturati, può costituire una prova robusta dell’esistenza e del contenuto del software a una certa data. Nessuno di questi strumenti crea il diritto, ma tutti concorrono a renderlo dimostrabile.

In questo contesto si colloca il tema delle registrazioni estere, come la U.S. Copyright Registration o il China Software Copyright Certificate. In Europa questi titoli non hanno valore costitutivo né efficacia automatica, ma possono essere valutati dal giudice come elementi indiziari qualificati. Il loro peso dipende dal caso concreto: aumentano se sono anteriori alla controversia e coerenti con le altre prove, diminuiscono fino a diventare irrilevanti se contrastate da repository, contratti o documentazione tecnica più solidi. In alcuni casi, registrazioni obsolete o mal allineate alle versioni effettivamente in uso possono persino rivelarsi controproducenti, mettendo in luce lacune nella gestione del portafoglio IP.

È importante chiarire anche un ulteriore equivoco ricorrente: non è richiesta alcuna registrazione del copyright per vendere software nell’Unione Europea. Le autorità si concentrano su profili diversi, come la sicurezza dei prodotti, la conformità regolatoria e la tutela dei consumatori. Per i software di network security, le vere barriere all’ingresso sono normative come il GDPR, la Direttiva NIS2 e il futuro Cyber Resilience Act, non l’esistenza di un certificato di copyright.

La conclusione è netta: nel diritto europeo la protezione del software non si gioca sul piano delle formalità, ma su quello dell’organizzazione giuridica e documentale. Repository ordinati, contratti chiari, marcature temporali e corretta gestione delle licenze sono gli strumenti che consentono di trasformare una tutela astratta in una tutela effettiva. Su questi aspetti lo Studio Canella Camaiora ha già dedicato un approfondimento specifico agli strumenti di tutela legale del software, chiarendo come la difesa del codice passi prima di tutto dalla costruzione di una prova solida e coerente, non dalla ricerca di una registrazione che il sistema europeo non prevede.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 29 Dicembre 2025

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Avv. Arlo Cannela

Arlo Canella

Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.

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