ERP custom, gestionali e tutela del know-how: proteggere l’investimento tecnologico

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Abstract

Sempre più imprese scelgono di adottare software ERP e gestionali su misura per ottimizzare processi interni e valorizzare il proprio know-how operativo. Tuttavia, la personalizzazione del software espone a rischi rilevanti: dalla diffusione non autorizzata di soluzioni proprietarie alla perdita della titolarità sul codice sorgente. Questo contributo analizza le forme di tutela giuridica del know-how aziendale, le clausole contrattuali essenziali per proteggere il software sviluppato da terzi e le differenze normative tra freelance e software house. In chiusura, viene offerta una panoramica delle cautele operative e delle misure legali che ogni impresa dovrebbe adottare per garantire la piena ed esclusiva disponibilità del proprio ERP.

ERP, gestionali e sviluppo custom: rischi e necessità

Un ERP (Enterprise Resource Planning) è un sistema informatico integrato che consente di coordinare e automatizzare i processi principali di un’organizzazione, offrendo una visione unitaria e aggiornata delle attività. È composto da moduli interconnessi – contabilità, logistica, HR, produzione, vendite – che dialogano tra loro, permettendo una gestione strategica e data-driven dell’impresa.

A differenza di un software gestionale tradizionale, che opera per lo più in modo separato su singole aree (es. contabilità o magazzino), l’ERP garantisce un flusso continuo di dati tra reparti, riducendo errori, ridondanze e inefficienze. In sintesi: ogni ERP è un gestionale, ma non ogni gestionale è un ERP.

Gli ERP custom rappresentano strumenti digitali centrali per le imprese che desiderano automatizzare, integrare e ottimizzare i propri processi interni. Si tratta di soluzioni che consentono di coordinare in modo efficiente molteplici aree operative dell’azienda, offrendo un controllo avanzato e una visione d’insieme strategica.

Nonostante l’ampia offerta di soluzioni preconfezionate disponibili sul mercato, imprese con strutture complesse o processi fortemente distintivi devono necessariamente fare ricorso allo sviluppo custom: un ERP realizzato su misura, che inglobi il know-how, le procedure, le prassi interne e la visione dell’azienda stessa.

Ma proprio in questa fase di esternalizzazione dello sviluppo software emergono alcune criticità. Il pericolo più concreto è che lo sviluppatore – sia esso un freelance o una software house – possa utilizzare, in tutto o in parte, il lavoro svolto per l’impresa anche per altri clienti.

Il rischio? La diffusione non autorizzata di soluzioni proprietarie derivate dal know-how aziendale, ad esempio mediante il riutilizzo di porzioni di codice o logiche sviluppate su misura per un cliente in altri progetti, anche con minime variazioni. Ciò determina una perdita di vantaggio competitivo e un potenziale indebolimento della posizione dell’impresa sul mercato.

Ma ci sono delle tutele.

Esternalizzare, tutelando il know-how

Per lo sviluppo di un ERP personalizzato, l’azienda committente tende a condividere una mole significativa di informazioni riservate e, talora, strategiche. Tali informazioni includono non solo dati tecnici e procedure operative note, ma anche l’architettura organizzativa interna, le logiche di business, i flussi decisionali e – in molti casi – strategie commerciali riservate. In una parola: know-how.

Il know-how aziendale costituisce una forma di proprietà intellettuale – non registrabile ma – tutelata in Italia dagli articoli 98 e 99 del Codice della Proprietà Industriale. Perché tale tutela sia effettiva, è necessario che ricorrano tre condizioni cumulative:

  • il contenuto sia segreto, ovvero non accessibile al pubblico né generalmente conosciuto dagli operatori del settore;
  • possieda un valore economico, proprio in quanto riservato e non noto alla concorrenza;
  • siano adottate misure concrete e proporzionate per mantenerlo segreto, come ad esempio protocolli interni, controlli di accesso, accordi di riservatezza.

Una volta condiviso con soggetti esterni, il know-how rischia di perdere il requisito della segretezza, compromettendone la protezione legale e il valore economico. Questo avviene, ad esempio, quando le informazioni vengono trasmesse senza un’adeguata base contrattuale o in assenza di strumenti giuridici di tutela (ne avevo già parlato qui “Know-how commerciale: come tutelarlo e reagire in caso di “furto””).

La principale contromisura consiste nel predisporre un contratto scritto, che includa:

  • una clausola di non divulgazione (NDA), estesa anche oltre la durata dell’incarico;
  • limitazioni all’utilizzo delle informazioni fornite per lo scopo del contratto;
  • obblighi di restituzione e distruzione dei dati riservati al termine dell’incarico;
  • sanzioni e penali.

Il contratto rappresenta quindi il primo presidio per la salvaguardia del know-how. Nello stesso, poi, potranno essere previste clausole di monitoraggio o audit periodici per verificare il rispetto degli obblighi di riservatezza nel tempo.

In questo modo potremo assicurarci che tutte le informazioni restino riservate, ma il know how potrebbe non essere sufficiente a tutelare il codice sorgente sviluppato.

L'esclusiva sul codice sorgente

Quando si fa sviluppare un software da terzi, si rende d’obbligo una regolamentazione contrattuale puntuale, capace di disciplinare con precisione aspetti essenziali come la titolarità dei diritti, l’esclusività della fornitura e la disponibilità del codice sorgente. Le clausole da inserire devono essere costruite su misura, in base al caso concreto e agli interessi in gioco.

Un primo elemento imprescindibile è la consegna del codice sorgente (ne avevo già scritto nel dettaglio qui “Cosa fare se il cliente non paga? I diritti della software house sul codice”).

Se si vuole evitare la dipendenza tecnologica dalla software house, non si può rischiare di ottenere il solo codice eseguibile (codice oggetto), ma bisogna mantenere accesso al codice sorgente, ossia al testo originario del programma, leggibile e modificabile da altri sviluppatori. Infatti, in assenza di tale accesso, il software risulterebbe non manutenibile nel lungo periodo, precludendo ogni possibilità di aggiornamento o adeguamento futuro.

Una soluzione per garantire entrambe le parti del rapporto può essere il ricorso al c.d. Software Escrow un meccanismo che prevede il deposito del codice sorgente presso un soggetto terzo fiduciario (vd. approfondimento dell’Avv. Manca qui: “Il rischio di “dipendenza” dal fornitore tecnologico e come tutelarsi con il Software Escrow”).

Altrettanto importante è l’inserimento di una clausola di esclusiva del prodotto sviluppato, che vieti espressamente alla controparte di replicare, cedere, concedere in licenza o riutilizzare, anche parzialmente, il codice sviluppato. Questa potrà garantire all’impresa committente un’effettiva unicità del prodotto e la valorizzazione dell’investimento tecnologico.

Per non vanificare gli sforzi sin qui compiuti, è fondamentale richiedere al fornitore una dichiarazione di trasparenza circa l’eventuale utilizzo di:

  • codice open-source, con specifica della licenza applicabile e delle relative limitazioni;
  • librerie esterne o componenti sviluppati da terzi;
  • codice preesistente, già impiegato in altri progetti.

Solo in questo modo l’impresa potrà essere certa di ottenere un prodotto originale, giuridicamente autonomo e pienamente controllabile, evitando contenziosi futuri con concorrenti o terzi che possano rivendicare diritti su parti del codice.

Freelance o software house? Aspetti operativi e normativi

Al di là della redazione contrattuale, assumono rilievo anche alcune considerazioni di ordine pratico e giuridico, che dipendono dalla natura del fornitore scelto.

Infatti, se il progetto viene affidato a un freelance, il rapporto sarà da inquadrare come prestazione d’opera intellettuale, disciplinata dagli articoli 2222 e seguenti del Codice Civile, e soggetta al Jobs Act Autonomi (L. 81/2017). In questo caso è ulteriormente necessario regolare precisamente il trasferimento dei diritti d’autore sul codice prodotto. Invece, nel caso di affidamento a una software house, il rapporto si configura più propriamente come contratto di appalto (artt. 1655 ss. c.c.).

Ma in entrambi i casi è necessario scegliere fornitori affidabili, preferibilmente valutando parametri quali l’esperienza documentata, le referenze di settore, la solidità economica e la capacità di garantire assistenza post-vendita. Una valutazione superficiale in fase di selezione può trasformarsi in una criticità operativa o legale anche a distanza di anni.

Insomma, quando il software gestionale – o l’ERP – rappresenta un vero e proprio asset strategico, è essenziale che l’impresa adotti una visione lungimirante. Non basta progettare uno strumento efficace e su misura: occorre blindarne l’unicità, difenderne il contenuto, garantirne la disponibilità futura.

La protezione del know-how aziendale, la corretta gestione dei diritti d’autore sul codice, la previsione di penali e garanzie contrattuali sono strumenti che trasformano un buon software in un vantaggio competitivo stabile e durevole.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 17 Giugno 2025

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Gabriele Rossi

Laureato in giurisprudenza, con esperienza nella consulenza legale a imprese, enti e pubbliche amministrazioni.

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