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Esistono prove che i marchi composti da cinque lettere abbiano un vantaggio competitivo? In questo articolo, analizziamo la relazione tra nomi brevi e la loro efficacia nella costruzione di un brand, basandoci su studi di marketing e psicologia cognitiva. Attraverso esempi iconici come Apple, Rolex e Pepsi, esploriamo come la semplicità del nome possa facilitare la memorizzazione e contribuire al successo del marchio. Tuttavia, non tutti i marchi brevi sono vincenti: la chiave risiede in una strategia di branding e nella percezione positiva da parte dei consumatori. Scopri i fattori che determinano il vero successo di un marchio e perché la protezione legale è fondamentale per garantirne la crescita.
L’idea che i marchi di cinque lettere abbiano un vantaggio intrinseco è intrigante, ma non esistono prove scientifiche dirette che confermino questa ipotesi. Tuttavia, diversi studi nel campo del marketing e della psicologia cognitiva suggeriscono che nomi brevi e facilmente memorizzabili possano portare alcuni benefici, soprattutto in termini di riconoscibilità e facilità di elaborazione mentale.
Secondo alcune ricerche, i nomi di marchi più semplici e brevi tendono a essere ricordati con maggiore facilità dai consumatori, e questo contribuisce ad agevolare la crescita del brand in termini di notorietà. Apple, Rolex e Pepsi sono esempi significativi di marchi di successo composti da cinque lettere, essendo tutti caratterizzati da nomi brevi che ci sono arcinoti (per approfondire: “Il processo tecnico per scegliere un nome efficace (come marchio) – Canella Camaiora”).
Tuttavia, è importante non cadere nel bias di conferma, un errore cognitivo che ci porta a cercare e interpretare le informazioni in modo da confermare le nostre credenze preesistenti. In questo caso, ad esempio, potremmo essere portati a notare solo i marchi di successo con cinque lettere e a ignorare quelli di successo con nomi più lunghi o più brevi.
Il successo di Apple, Rolex e Pepsi non è esclusivamente legato alla lunghezza del nome, ma piuttosto a una combinazione di fattori come strategie di marketing, qualità del prodotto e capacità di innovazione. Dunque, è utile mantenere una prospettiva critica e considerare che la semplicità del nome può essere un vantaggio, ma non un fattore determinante e universale del suo successo.
Grandi aziende, ad esempio, come Microsoft o Louis Vuitton dimostrano che un nome più lungo non è un ostacolo al successo, ma può essere altrettanto efficace se accompagnato da una strategia di branding coerente e prodotti di qualità.
Quanto detto sopra non vuol dire che la scelta del nome di un marchio non sia impattante. Anzi, la linguistica e la fonetica giocano un ruolo molto importante nel determinare come i consumatori percepiscono e memorizzano i marchi.
Nei nomi brevi, infatti, alcuni suoni finiscono per risultare dominanti. Secondo Roman Jakobson, uno dei pionieri della linguistica strutturale, ogni elemento del linguaggio, soprattutto i suoni, svolgono una funzione nella comunicazione umana. Quando si tratta di brand, in effetti, i suoni che compongono il nome, lungi dall’essere mere “decorazioni”, portano sempre con sé associazioni emotive e percettive, più o meno volontarie, che possono influenzare profondamente la comunicazione della marca (per approfondire: “Il processo tecnico per scegliere un nome efficace (come marchio) – Canella Camaiora”).
Ad esempio, suoni più “duri” possono evocare la sensazione di forza e solidità, rendendo i marchi più memorabili e riconoscibili (si v. A Sound Idea: Phonetic Effects of Brand Names on Consumer Judgments di E. Yorkston e G. Menon).
Le lettere “K” e “P” sono esempi di consonanti che possono trasmettere una sensazione di robusta affidabilità, rendendo i marchi più memorabili e riconoscibili. Questo è evidente in marchi come Kasanova, Kawasaki, Kenwood, Kikkoman, Kleenex, e Panasonic, Pepsi, Philips, Porsche, Prada e tanti altri.
Questo concetto è stato ripreso e ampliato da studi recenti che, in effetti, hanno evidenziato come proprio il simbolismo fonetico possa influire consistentemente sulla percezione dei marchi e, quindi, sul loro successo (Si v. Sounds good: Phonetic sound patterns in top brand names, di R. Pogacar, E. Plant, L.F. Rosulek, et al., Mark Lett 26, 549–563, 2015).
Suoni “morbidi” e “fluidi“, invece, possono trasmettere caratteristiche come leggerezza o delicatezza come spiegato nell’articolo “What’s in a Brand Name: the Sounds of Persuasion” su JSTOR. Il simbolismo fonetico nel marchio, in ultima analisi, può influenzare sistematicamente anche la percezione del prodotto, rafforzandone alcuni aspetti. Prendiamo, ad esempio, il marchio “L’Oréal”. Le consonanti liquide “L” al principio e alla fine del nome contribuiscono a un effetto sonoro fluido e leggero, che evoca qualità come eleganza e morbidezza, fondamentali nel settore della bellezza e della cura personale. “Dove”, un altro marchio, utilizza la consonante “v” (fricativa sonora, il che significa che produce un suono continuo attraverso la frizione dell’aria contro i denti superiori) in combinazione con le vocali aperte creando un suono dolce e accogliente, rafforzando l’immagine di morbidezza e purezza dei suoi prodotti per la cura della pelle. Anche Nespresso, oltre al mix concettuale tra le parole “Nestlé” ed “espresso”, sfrutta la dolcezza delle vocali e la fluidità delle consonanti “n” (nasale sonora) e “s” (fricativa sorda) per proiettare un’immagine di lusso e raffinatezza nel settore del caffè, senza rinunciare ad aspetti quasi onomatopeici.
Questa dinamica è particolarmente rilevante quando si sviluppa un nome per un prodotto innovativo, perché il suono può comunicare aspetti e caratteristiche del prodotto prima ancora che il consumatore lo utilizzi. Se queste sensazioni, poi, sono coerenti e rispettano le aspettative del consumatore, l’effetto sulla percezione e sulla memoria sarà positivo, con effetti sulla diffusione del brand. I consumatori processano più rapidamente le informazioni semplici o ridondanti, facilitando così la memorizzazione e la diffusione del brand attraverso il passaparola e le campagne di marketing.
Non a caso, molti tra i marchi più conosciuti al mondo, come Apple, Nike o Coca-Cola, possono contare anche sulla semplicità e sulla fonetica per rafforzare la loro identità e raggiungere un pubblico sempre più vasto.
Un aspetto fondamentale da considerare è il concetto di Customer-Based Brand Equity (CBBE), sviluppato da Kevin Lane Keller, che descrive come il valore di un marchio derivi dalle risposte dei consumatori.
Secondo Keller, un marchio è tanto più forte quanto più i consumatori hanno una risposta favorevole verso di esso, sia a livello cognitivo (conoscenza e associazioni positive) sia a livello emotivo (legame e fedeltà).
In questo senso, quindi, il valore di un marchio non dipende solo dalla lunghezza del nome o dalle sue caratteristiche fonetiche, ma dalla percezione e dall’attaccamento emotivo che i consumatori svilupperanno nei suoi confronti. Keller stesso sottolinea che “Il successo di un brand dipende dalla sua capacità di differenziarsi e dal valore che offre ai consumatori” (si v. Kevin Lane Keller, Consumer Research Insights on Brands and Branding: A JCR Curation, Journal of Consumer Research, Volume 46, Issue 5, February 2020, Pages 995–1001).
In sostanza, il legame emotivo con il consumatore è la vera scriminante, e non nasce per magia, dal nulla. Anzi, il successo di un marchio dipende da molti fattori e non bisogna farsi abbagliare da regole semplicistiche o banalizzanti.
Ovviamente, un nome complicato o sgradevole farà più fatica ad attecchire ma non è detto che ciò non accada ugualmente Un brand non è solo un nome, ma un insieme di valori e caratteristiche che lo rendono unico (per approfondire: “Le implicazioni legali del naming: come scegliere “meglio” un marchio – Canella Camaiora”).
Come affermato da Ries e Trout nella loro teoria del brand positioning, un marchio di successo deve distinguersi chiaramente dalla concorrenza e avere una forte coerenza tra la sua mission e la percezione del pubblico. Un’identità ben definita aiuta a costruire una connessione profonda con il consumatore (si v. Perché «Positioning» è ancora attuale di D. F. Cavalcoli). Una strategia efficace è essenziale per mantenere il marchio rilevante nel tempo. La consistenza del messaggio attraverso diversi media è fondamentale per mantenere un’immagine coerente e distintiva.
Un nome attraente e una buona campagna di marketing possono attirare l’attenzione iniziale, ma sono la qualità del prodotto, l’esperienza del cliente, e un buon “catalizzatore” (il marchio), raggiungono lo scopo di creare fedeltà a lungo termine.
Se il suono e il nome di un marchio sono elementi importanti per la sua riconoscibilità e percezione, non bisogna dimenticare che, per garantire il successo a lungo termine, un altro passo essenziale è la protezione legale del marchio stesso.
Un aspetto fondamentale nella gestione di un marchio è la sua registrazione, che rappresenta un atto indispensabile per tutelarne il valore sin dall’inizio (per approfondire: “Quanto costa registrare un marchio? – Canella Camaiora”). Un marchio non è solo una scelta creativa o stilistica, ma un asset immateriale che, se ben protetto, può diventare una risorsa strategica.
La registrazione non è soltanto una noiosa questione giuridica, ma anche una protezione strategica contro eventuali violazioni o appropriazioni indebite.
Un marchio registrato garantisce il diritto esclusivo di utilizzo e diventa un asset capace di generare valore nel tempo, sia attraverso l’uso diretto che tramite licenze e cessioni.
Registrare un marchio protegge da imitazioni e offre sicurezza nelle operazioni commerciali, permettendo di tutelare l’investimento fatto nello sviluppo del brand. Un marchio ben gestito e riconosciuto dal pubblico può essere una leva fondamentale nelle operazioni straordinarie, come fusioni o acquisizioni. In queste situazioni, il marchio viene sottoposto a perizie di valutazione per determinarne il valore economico, che dipende proprio dalla notorietà, dalla fedeltà del cliente e dal posizionamento sul mercato (per approfondire: “Quanto vale il tuo marchio? Valutazione marchi – Canella Camaiora”). La registrazione anticipa questo processo, rendendo il marchio un asset tutelato ed economicamente misurabile.
Inoltre, un marchio registrato può essere concesso in licenza a terzi, generando flussi di reddito aggiuntivi e contribuendo alla solidità finanziaria dell’azienda. Questa protezione legale permette di capitalizzare al massimo sul valore del brand, garantendo che l’investimento creativo venga riconosciuto e valorizzato anche dal punto di vista economico.
L’assenza di una registrazione adeguata, al contrario, può portare a situazioni in cui altri soggetti sfruttano indebitamente il marchio, indebolendo il suo impatto e riducendo il valore complessivo dell’azienda.
Avvocato Arlo Canella