Scopri come regolare i diritti d’autore per evitare controversie.
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Se lavori in un settore creativo o dirigi una casa editrice, potresti trovarti davanti a una questione spinosa: un’opera realizzata da un dipendente al di fuori dell’orario di lavoro appartiene all’autore o all’azienda?
Una recente sentenza del Tribunale di Firenze (21 gennaio 2025) ha fatto luce sulla questione, affrontando il caso di una dipendente di una casa editrice che rivendicava la titolarità dei diritti patrimoniali sulle proprie opere scientifico-divulgative. La lavoratrice sosteneva che la sua produzione creativa andasse oltre le mansioni professionali previste dal contratto.
L’ex dipendente di una casa editrice, per quasi trent’anni, aveva ricoperto ruoli di responsabilità e contribuito alla creazione di opere scientifico-divulgative di grande successo: atlanti, guide tematiche e testi venduti in migliaia di copie. Alcuni di questi libri riportavano il suo nome, altri erano firmati con pseudonimi.
Nonostante il successo commerciale, non aveva mai ricevuto compensi aggiuntivi, oltre al normale stipendio previsto dal contratto. Convinta che il suo contributo creativo andasse oltre le mansioni assegnate, ha deciso di citare in giudizio la casa editrice, reclamando il riconoscimento dei diritti patrimoniali d’autore e chiedendo royalties pari al 5-7% del prezzo di copertina di ogni copia venduta.
In alternativa, ha richiesto un indennizzo per indebito arricchimento, sostenendo che l’editore avesse tratto un vantaggio economico sproporzionato dal suo lavoro senza corrisponderle il giusto compenso.
La casa editrice ha respinto ogni pretesa, ribadendo che le opere erano state realizzate nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato e che i diritti d’autore spettavano esclusivamente all’editore.
A questo punto, il Tribunale ha dovuto affrontare un nodo centrale nel diritto d’autore: quando un’opera realizzata da un dipendente resta “sua” e quando, invece, diventa proprietà del datore di lavoro?
La Legge sul Diritto d’Autore italiana (L. 633/1941) distingue tra diritti morali e diritti patrimoniali (approfondisci: “Il diritto d’autore in Italia: cosa protegge e come funziona” di C. Martinez Di Leo, per Canella Camaiora).
Secondo la giurisprudenza, se un’opera viene realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro, i diritti patrimoniali spettano al datore di lavoro, a meno che non esista un accordo contrario (sul punto, vedi anche Quali diritti di utilizzo spettano al committente di opere creative? – Canella Camaiora).
Se, invece, l’opera è creata al di fuori del rapporto di lavoro, la situazione cambia. In questo caso, entra in gioco l’art. 118 LdA, che regola il contratto di edizione: l’autore concede all’editore il diritto di pubblicazione in cambio di un compenso, solitamente calcolato in royalties sulle copie vendute (approfondisci: Come funzionano le royalties e quali diritti spettano agli autori – Canella Camaiora).
E se non c’è un contratto chiaro? L’art. 130 LdA stabilisce che il compenso deve essere determinato in base alla prassi del settore. Ma nel caso della dipendente della casa editrice, questa prassi è stata rispettata?
Secondo il Tribunale di Firenze (21 gennaio 2025) gli elementi chiave da valutare sono due:
Inoltre, ha evidenziato l’assenza di prove che dimostrassero l’esistenza di un contratto di edizione o d’opera distinto dal rapporto di lavoro subordinato in essere tra le parti.
Secondo il Tribunale, spettava alla lavoratrice dimostrare che le opere in questione fossero frutto di un’attività autonoma e indipendente dal suo ruolo di redattrice. Tuttavia, il giudice ha ritenuto che questa prova non fosse stata fornita.
Ma scrivere testi fuori dall’orario di lavoro, a casa o nel tempo libero, è sufficiente per dimostrare l’autonomia? Il Tribunale ha chiarito che il luogo o l’orario in cui si lavora a un progetto non sono determinanti.
Quello che conta è la connessione tra il contenuto delle opere e le competenze richieste dal ruolo professionale. In questo caso, i testi erano perfettamente allineati con le mansioni editoriali della dipendente, come previsto dal suo contratto.
A pesare sulla decisione è stato un ulteriore elemento: l’ex redattrice aveva in passato firmato dichiarazioni di rinuncia ai diritti patrimoniali d’autore su alcune delle opere in questione. In questi documenti, aveva esplicitamente affermato di non avere ulteriori pretese economiche nei confronti della casa editrice.
Queste dichiarazioni, pur non riguardando tutte le opere contestate, hanno avuto un ruolo decisivo: per il Tribunale, confermavano l’esistenza di un accordo implicito tra le parti, rafforzando l’idea che il lavoro creativo rientrasse nel rapporto di lavoro subordinato. Una conclusione che lascia aperti interrogativi importanti per chi opera nel settore editoriale…
Uno degli elementi chiave della sentenza riguarda le dichiarazioni firmate dall’ex dipendente durante il rapporto di lavoro e al momento della sua cessazione. In questi documenti, la lavoratrice aveva chiaramente riconosciuto che alcune delle opere contestate fossero state realizzate nell’ambito delle sue mansioni. Un’ammissione esplicita che i diritti patrimoniali d’autore su quelle opere spettassero alla casa editrice.
Secondo il Tribunale, anche se queste dichiarazioni riguardavano solo alcune opere, rappresentavano comunque un segnale forte della volontà delle parti: l’attività creativa della dipendente era considerata una prosecuzione naturale del suo lavoro editoriale. Di conseguenza, lo stipendio previsto dal contratto di lavoro copriva anche la creazione di quei testi.
Questa sentenza offre un’importante lezione sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori, soprattutto nel settore editoriale e creativo.
Se non ci sono accordi specifici, i diritti patrimoniali d’autore sulle opere realizzate nell’ambito di un rapporto di lavoro spettano al datore di lavoro. Non importa se l’opera è stata creata a casa o fuori dall’orario d’ufficio: ciò che conta è se sia collegata alle mansioni professionali.
Per evitare ambiguità e possibili contenziosi, è fondamentale:
Queste accortezze proteggono sia l’azienda sia il lavoratore, riducendo il rischio di controversie future.
Anche per i lavoratori, però, è essenziale conoscere i propri diritti. Firmare una dichiarazione senza comprenderne le implicazioni può avere conseguenze significative, anche a distanza di anni. Inoltre, la sentenza evidenzia un altro punto cruciale: l’importanza della prova documentale. Senza contratti scritti o accordi chiari, dimostrare la titolarità delle opere diventa complicato.
Per questo motivo, una consulenza legale preventiva può fare la differenza. La chiarezza oggi evita problemi domani.
Margherita Manca