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Le nuove fonti del diritto: chi detta le regole nell’era digitale?

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Martina Di Molfetta
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Chi stabilisce oggi le regole? Se un tempo il diritto era dominio esclusivo dello Stato, oggi Big Tech, Unione Europea e organismi sovranazionali ne ridefiniscono i confini. Le piattaforme digitali impongono termini di servizio vincolanti, mentre normative come il GDPR e il Digital Services Act hanno effetti globali. La classica piramide delle fonti si è trasformata in una rete articolata e complessa. Gli Stati hanno ancora il controllo? si può ancora parlare di certezza del diritto?

Oggi, chi ha il potere di dettare le regole?

Per capire chi ha oggi il potere di dettare le regole, è essenziale chiarire cosa intendiamo per diritto e cosa intendiamo per regole. In altre parole, il tema centrale è quello delle fonti del diritto.

Uno dei giuristi che più ha influenzato la teoria giuridica moderna è Hans Kelsen (1881-1973), autore della cosiddetta “dottrina pura del diritto“. Kelsen voleva liberare il diritto da qualsiasi influenza morale o politica, sostenendo che molte teorie precedenti fossero “contaminate” da ideologie. Il suo obiettivo era concentrarsi esclusivamente sulla struttura giuridica, analizzandola in modo scientifico e neutrale.

Il risultato più celebre di questo approccio è la piramide di Kelsen, una rappresentazione gerarchica delle norme giuridiche secondo cui ogni norma trae la propria validità da una norma superiore, fino a risalire a un principio fondamentale presupposto, la Grundnorm.

Kelsen concepisce l’ordinamento giuridico come una struttura a gradi (Stufenbau), in cui le norme sono disposte in ordine gerarchico. Ciascuna norma è valida perché esiste una norma di livello superiore che le conferisce validità:

  • Una sentenza di tribunale è giuridicamente vincolante perché una legge le attribuisce tale valore.
  • La legge, a sua volta, è valida perché la Costituzione attribuisce al Parlamento il potere di emanarla.
  • Ma chi garantisce la validità della Costituzione?

Secondo Kelsen, la catena gerarchica delle norme non può proseguire all’infinito: al vertice deve esserci una norma fondamentale (Grundnorm), che funge da fondamento ultimo di validità per l’intero sistema giuridico. Questa norma non è scritta in alcun testo: è una presupposizione necessaria affinché l’ordinamento giuridico abbia coerenza e validità formale. Ad esempio, la Grundnorm potrebbe essere il principio per cui “bisogna rispettare la Costituzione”.

Ma questa concezione è ancora valida nell’ordinamento giuridico di oggi? Vediamo come funziona la gerarchia delle fonti nel nostro sistema.

La gerarchia normativa nell’ordinamento italiano

L’idea kelseniana di gerarchia normativa è stata recepita anche nell’ordinamento giuridico italiano, dove le norme sono organizzate in una struttura piramidale. Al vertice si trova la Costituzione, seguita dalle fonti subordinate in ordine decrescente di importanza: leggi ordinarie, decreti, regolamenti e, infine, usi e consuetudini.

La Costituzione del 1948 è la norma fondamentale dello Stato italiano, spesso identificata nei manuali con la Grundnorm kelseniana, in quanto da essa tutte le altre norme traggono legittimazione. Subito al di sotto troviamo le leggi costituzionali e di revisione, seguite dalle leggi ordinarie e dagli atti aventi forza di legge (come i decreti-legge e i decreti legislativi). Più in basso nella scala gerarchica si collocano i regolamenti governativi, mentre usi e consuetudini rappresentano la fonte di grado inferiore.

Il principio cardine di questa gerarchia è che una norma di livello inferiore non può entrare in contrasto con una norma superiore: se ciò accade, la norma inferiore è invalida e può essere annullata. Un esempio evidente è quello delle leggi ordinarie che contrastano con la Costituzione, le quali possono essere dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale. Questo principio è sintetizzato dal brocardo latino lex superior derogat inferiori (la norma superiore prevale su quella inferiore).

Va però chiarito un aspetto fondamentale: Kelsen non stava descrivendo un singolo ordinamento nazionale, ma proponeva una teoria generale del diritto valida per qualsiasi sistema giuridico. La sua piramide normativa non è un semplice elenco delle fonti italiane, ma una struttura logica di validità che può essere applicata a qualsiasi ordinamento. Ad esempio, anche il diritto internazionale o un sistema giuridico di un altro Stato possono essere letti in chiave gerarchica, individuando la rispettiva Grundnorm.

Nel caso italiano, si è soliti identificare la Costituzione come vertice della piramide, ma in senso rigorosamente kelseniano, la norma fondamentale si colloca ancora più in alto, in quanto coincide con il principio presupposto che attribuisce validità alla Costituzione stessa. In altre parole, il nostro ordinamento si regge sulla convinzione condivisa che… la Costituzione sia la Costituzione.

La gerarchia delle regole nella complessità contemporanea

Per lungo tempo, la piramide delle fonti ha descritto in modo efficace la struttura del diritto statale. Tuttavia, oggi questo modello è sempre più messo in discussione. L’integrazione europea, la globalizzazione e la digitalizzazione hanno reso la gerarchia normativa meno rigida, creando un sistema molto più complesso e articolato.

Uno dei fattori che ha maggiormente trasformato la gerarchia tradizionale è l’Unione Europea, che ha introdotto fonti sovranazionali con efficacia diretta e prevalente. Trattati, regolamenti e direttive comunitarie intervengono in ambiti un tempo riservati alle leggi nazionali, dando vita a un sistema giuridico multilivello.

La stessa Costituzione italiana, negli articoli 11 e 117, accetta limitazioni di sovranità a favore dell’ordinamento comunitario, e la Corte di Giustizia dell’UE ha affermato il primato del diritto europeo sulle leggi interne contrastanti. Questo significa che la tradizionale piramide kelseniana non è più chiusa, ma si è aperta verso l’alto: sopra (o accanto) alla Costituzione convivono fonti sovranazionali, che non derivano da essa ma la affiancano.

Tuttavia, in Italia, la dottrina dei controlimiti cerca di preservare alcuni principi fondamentali, sostenendo che la Costituzione rimane superiore nei casi in cui siano in gioco valori intangibili come i diritti inviolabili dell’uomo. Ma questo è sufficiente a mantenere un ordine chiaro e stabile?

Oltre all’UE, un altro fattore ha reso la gerarchia normativa più fluida: la globalizzazione e il dominio delle piattaforme digitali. Il diritto, da sempre concepito come un sistema piramidale, oggi sembra assomigliare più a una rete, in cui le regole non discendono solo dall’alto, ma emergono anche da accordi internazionali, regolamenti privati e standard tecnologici.

Ma se le regole non provengono più solo dagli Stati, chi ha davvero il potere di stabilirle oggi?

La crisi delle fonti e il declino del potere statale

L’idea di una crisi delle fonti del diritto nasce dalla crescente difficoltà degli Stati nel regolamentare fenomeni globali, in particolare quelli legati alla digitalizzazione e alla globalizzazione economica.

Un tempo, il diritto era quasi esclusivamente emanazione dello Stato sovrano. Oggi, invece, molte regole fondamentali della nostra vita quotidiana non provengono dai Parlamenti, ma da piattaforme digitali, istituzioni sovranazionali e grandi aziende tecnologiche.

Le Big Tech come Meta (Facebook, Instagram), X (ex Twitter) e Google hanno assunto un ruolo quasi legislativo, imponendo termini di servizio che stabiliscono cosa sia consentito o vietato sulle loro piattaforme. In pratica, decidono unilateralmente il confine tra libertà di espressione e moderazione dei contenuti, spesso senza trasparenza né contraddittorio.

Un esempio paradigmatico è la raccolta e l’utilizzo dei dati personali per l’addestramento delle intelligenze artificiali. L’Unione Europea ha cercato di limitare questi abusi con normative come il GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) e il recente AI Act, ma le multinazionali tecnologiche hanno una capacità di influenza tale da poter condizionare anche i legislatori (approfondisci: Tecnomachia: dal mito della libertà digitale alla sovranità tecnologica di A. Canella).

Proprio il GDPR, ad esempio, non solo ha elevato il livello di protezione dei personali dati in Europa, ma ha anche influenzato normative estere, come il California Consumer Privacy Act (CCPA) negli Stati Uniti.

Questo fenomeno, noto come “Effetto Bruxelles”, dimostra che, sebbene gli Stati abbiano perso centralità, alcune entità sovranazionali riescono ancora a esercitare un’influenza normativa globale.

Ma questa trasformazione del diritto porta con sé interrogativi profondi: quale fonte deve prevalere in caso di conflitto? gli Stati hanno ancora il controllo sulle regole che governano la società digitale?

La piramide kelseniana resta un riferimento fondamentale perché ci aiuta a riflettere sulla validità delle norme. Tuttavia, nel mondo contemporaneo, la risposta non è più così semplice. Il diritto non è più un sistema gerarchico chiuso, ma un ecosistema policentrico, in cui Stati, multinazionali e istituzioni sovranazionali si contendono il potere normativo.

Siamo di fronte a una nuova era giuridica, in cui il potere di creare regole non è più esclusivamente statale. E in questo scenario in continua evoluzione, una domanda resta aperta: si può ancora parlare di certezza del diritto?

 

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 4 Marzo 2025

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Martina Di Molfetta

Laurenda in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità presso l'Università degli studi di Pavia
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