Abstract
Scegliere tra licensing e franchising può non essere semplice. L’imprenditore che intende portare al livello successivo il proprio brand si ritrova spesso queste due scelte davanti e non è detto che una sia sempre migliore dell’altra.
In questo articolo analizzeremo i due modelli, fornendo alcune indicazioni su cosa comporti la scelta del modello di business e quali soluzioni possono meglio adattarsi alle esigenze pratiche.
Cos’è il franchising e come funziona
Il franchising – previsto in Italia dalla L. 6 maggio 2004, n. 129 – è un contratto con cui un imprenditore, detto franchisor, mette a disposizione di altri imprenditori, chiamati franchisee, il proprio marchio, il know-how, le licenze e tutto ciò che serve per replicare un modello di business già sperimentato. Ma il vero elemento che caratterizza questo tipo di accordo non è solo la concessione del marchio: è l’assistenza. Il franchisor deve infatti garantire un supporto costante, sia prima che dopo l’apertura, affinché ogni affiliato possa operare in modo efficace e coerente con gli standard della rete.
al canto suo, il franchisee si impegna a pagare una fee di ingresso e delle royalty periodiche, oltre a contribuire alle spese di rete, che servono per la promozione e la difesa del brand. Tutto ciò ha senso solo se l’affiliato riceve un valore aggiunto reale dalla partecipazione al network: entrare nella rete deve essere più facile, più conveniente e meno rischioso rispetto ad avviare da zero un’attività indipendente. Se un imprenditore singolo sbaglia, paga di tasca propria; se fa parte di una rete, l’errore dovrebbe essere prevenuto o rapidamente risolto grazie al supporto e all’esperienza condivisa.
Per questo motivo, la legge impone al franchisor una serie di obblighi di trasparenza e di tutela. Prima della firma del contratto, il potenziale franchisee deve ricevere una documentazione informativa dettagliata:
a) i dati del franchisor e, se richiesto, i suoi ultimi tre bilanci;
b) l’elenco di marchi registrati, depositati o comunque utilizzati;
c) l’illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività imprenditoriale;
d) la lista degli affiliati già nella rete;
e) le variazioni nel numero degli affiliati;
f) la descrizione degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali che hanno visto protagonista il franchisor.
Questa, frequentemente, viene anche corredata da un business plan di stima dell’attività da avviare per il franchisee.
Inoltre, l’avvio della rete dovrà essere preceduto dal c.d. pilota, un esperimento commerciale autonomo, funzionalmente e contabilmente dal franchisor, di durata pari ad almeno sei mesi o un anno, utile a testare la fattibilità dell’idea di business e a consolidare le procedure operative.
Infine, il franchisor non ha obblighi solo verso il singolo franchisee, ma verso l’intera rete. Se, ad esempio, omette di eseguire i controlli di qualità o di conformità, gli altri affiliati potrebbero risentirne: la mancanza di vigilanza può compromettere la reputazione comune e il valore del brand.
Tutti questi sono elementi pressoché sostanziali del contratto di franchising, trattandosi di contratto altamente regolato tanto dalla normativa quanto nella giurisprudenza. Diverso discorso invece per il contratto di licensing.
Cos’è il licensing e perché è utile
Il contratto di licensing (o licenza d’uso) è un accordo con cui il titolare di un diritto di proprietà intellettuale – un marchio, un brevetto, un design – concede a un’altra parte (il licenziatario) il diritto di sfruttarlo , dietro il pagamento di un corrispettivo, spesso sotto forma di royalty percentuale.
A differenza del franchising, il licensing rientra tra i c.d. contratti atipici del diritto civile: non ha una disciplina dettagliata nel Codice civile, ma fa leva sull’autonomia contrattuale riconosciuta all’ art. 1322 c.c. per costruire liberamente le clausole che le parti ritengono opportune, nei limiti dell’ordine pubblico e del buon costume.
Questa “elasticità normativa” è un punto di forza, permettendo di stabilire accordi molto vari e piegati alle esigenze particolari del caso. Potranno essere concesse:
- concessioni esclusive (solo un licenziatario per zona) o non esclusive (più licenziatari possono usare lo stesso diritto) o uniche ;
- concessioni parziali del diritto (solo per alcuni prodotti, mercati o modalità), anziché l’uso completo;
- sub-licenze, ovvero la possibilità che il licenziatario conceda a terzi a sua volta il diritto.
Ancora, potranno essere applicati termini temporali e patti di confidenzialità ( gli NDA descritti qui “ Accordi di riservatezza (NDA): come proteggere il valore delle informazioni ”) o non concorrenza (uno strumento che – per l’impatto limitativo – è bene conoscere: “ Clausole di non concorrenza: uno strumento utile da maneggiare con attenzione ”).
Dall’analisi dei due contratti, è chiaro che esistono molte sovrapponibilità tra il franchising e licensing, ed effettivamente se c’è franchising, ci sarà necessariamente anche lincensing. Ma quali sono le differenze?
Le differenze tra franchising e licensing
Franchising e licensing servono entrambi a far crescere un marchio, ma lo fanno con strategie molto diverse . Il franchising è un sistema chiuso e controllato, che punta sull’uniformità e sulla coerenza dell’esperienza offerta al cliente. Il licensing, invece, è aperto e flessibile: permette a più soggetti di usare il marchio in contesti diversi, a patto che vengano rispettate alcune regole di base.
Dal punto di vista del titolare della privativa industriale , cioè di chi detiene il marchio o il relativo diritto di sfruttamento economico, il franchising e il licensing rappresentano due modelli con gradi di impegno molto diversi. Nel franchising , la normativa e la prassi prevedono un alto livello di regolazione: il franchisee fa affidamento sulla rete e sul supporto del franchisor , e quest’ultimo è tenuto a obblighi e garanzie sia nella fase di preparazione e informazione preventiva, sia durante l’esecuzione del rapporto.
Il franchisor deve fornire assistenza continua, formazione, aggiornamenti, e soprattutto deve occuparsi della difesa del brand , intervenendo in caso di usi scorretti o violazioni del marchio da parte di terzi. In sostanza, l’affiliato paga una fee e delle royalty non solo per poter utilizzare il marchio, ma anche per ricevere un valore aggiunto costante in termini di servizi, know-how e protezione .
Nel contratto di licensing , invece, la logica è diversa. È chiaro alle parti che il rischio è ripartito: il licenziatario paga per la possibilità di sfruttare economicamente la privativa , non per ricevere servizi ulteriori, a meno che non siano espressamente previsti. Il prezzo del contratto, cioè la royalty, riflette solo il valore dello sfruttamento del diritto concesso.
Un’altra differenza importante riguarda i poteri di controllo . Nel franchising, il franchisor ha la possibilità – e nella prassi è la regola – di effettuare ispezioni, verifiche e interventi correttivi per evitare abusi o mal uso del marchio, soprattutto a tutela dell’intero gruppo affiliato. Questi controlli fanno parte della struttura stessa del contratto e sono essenziali per la tutela dell’intera rete.
Nel licensing, invece, il controllo non è automatico: deve essere specificamente previsto nel contratto , altrimenti il licenziante potrà intervenire solo in casi particolarmente gravi, risolvendo il contratto per giusta causa in caso di contraffazione o di un uso tale da ledere la reputazione del marchio, ipotesi che possono portare anche ad un’azione di responsabilità.
Insomma tutto il franchising è anche licensing, ma non tutto il licensing è franchising. Vediamo, però, quando conviene l’uno e quando l’altro.
Quando conviene il franchising e quando fare licensing
Per capire quale modello convenga scegliere, bisogna valutare cosa si vuole ottenere.
Un marchio di ristorazione, che ha creato un format riconoscibile con ricette, arredamento e servizio uniformi, troverà nel franchising la formula ideale per crescere. In questo modo potrà aprire nuovi locali mantenendo la stessa esperienza per il cliente, senza compromettere la qualità (un aspetto dettagliato nell’articolo “ Come costruire un format unico ma replicabile: il franchising ”).
Al contrario, potrà essere utile il semplice licensing per entrare in nuovi mercati, nuovi settori o anche solo per esplorare partnership da sviluppare in futuro.
L’opportunità, spesso, sta nel mezzo : il contratto di licensing permette una flessibilità nelle clausole in grado di imporre standard al licenziatario in linea con le – legittime – aspettative del licenziante. Allo stesso modo potranno essere introdotte clausole e patti di non concorrenza, di ispezione o di conformità al brand.
Esistono anche modelli ibridi , dove franchising e licensing si combinano. Un’azienda tecnologica, per esempio, può concedere in licenza il proprio software ma mantenere il controllo sull’assistenza tecnica e sulla formazione dei partner, unendo libertà e coerenza. Oppure un brand di cosmetici può siglare accordi di co-branding con altre imprese, mantenendo la qualità del franchising ma con la flessibilità del licensing.
In sintesi, la scelta dipende da tre fattori fondamentali:
- il livello di controllo che si vuole mantenere ,
- la capacità organizzativa e
- l’obiettivo di crescita .
Il franchising è adatto a chi vuole creare una rete solida, coerente e di lungo periodo; il licensing a chi desidera crescere velocemente, con costi ridotti e maggiore libertà operativa.
L’imprenditore più consapevole è quello che, prima di scegliere, sa valutare la propria identità aziendale, le risorse disponibili e la direzione in cui vuole portare il proprio marchio.
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Data di pubblicazione: 16 Ottobre 2025
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Gabriele Rossi
Laureato in giurisprudenza, con esperienza nella consulenza legale a imprese, enti e pubbliche amministrazioni.