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Il mondo dei marchi è regolato da norme precise che garantiscono ai titolari il diritto esclusivo sull’uso del segno distintivo. Tuttavia, non tutti i marchi sono uguali. La differenza tra marchi “forti” e “deboli” gioca un ruolo rilevante nella tutela legale e nella risoluzione delle controversie.
Questi principi sono emersi con forza in una recente sentenza del Tribunale di Roma (n. 18215 del 28 novembre 2024) che ha affrontato il caso del marchio “Peperino” nel settore della ristorazione.
Un marchio non è solo un simbolo distintivo per identificare un prodotto o servizio: è uno strumento strategico che permette agli imprenditori di tutelarsi e distinguersi in un mercato sempre più competitivo (approfondisci: Quali sono i principali tipi di marchio? – Canella Camaiora).
La registrazione del marchio conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzo, come stabilito dall’articolo 20 del Codice di Proprietà Industriale. Tuttavia, non tutti i marchi garantiscono lo stesso livello di protezione. La distinzione tra marchi “forti” e marchi “deboli” riveste un ruolo fondamentale, con implicazioni legali e pratiche che incidono sia sulla tutela concessa sia sulle decisioni in caso di conflitti.
I marchi forti si distinguono per la loro originalità e fantasia, non essendo concettualmente legati al prodotto o servizio che rappresentano (ad esempio, Nike®, Google®). L’articolo 13 CPI, infatti, vieta la registrazione di segni descrittivi o privi di capacità distintiva. Tuttavia, i marchi forti superano questa limitazione grazie alla loro unicità, che garantisce loro una tutela più rigorosa: anche minime variazioni che alterano il “cuore” del marchio possono essere considerate una violazione.
Questo principio trova conferma nella giurisprudenza della Cassazione, che ha ribadito come qualsiasi modifica rilevante, se lascia intatta l’identità sostanziale del marchio, risulti illegittima.
Diversamente dai marchi forti, i marchi deboli richiamano direttamente il prodotto o servizio che rappresentano, utilizzando termini descrittivi, comuni o evocativi. Questa caratteristica riduce la loro capacità distintiva, limitando anche il grado di tutela legale a essi accordato.
Come chiarito dalla giurisprudenza, anche lievi modifiche nei marchi deboli possono essere sufficienti a evitare confondibilità, poiché il messaggio intrinseco di tali segni è meno individualizzante. Allo stesso tempo, la giurisprudenza comunitaria sottolinea che, nel valutare il rischio di confusione per un marchio debole, è necessario considerare non solo la somiglianza tra i segni, ma anche il contesto e il pubblico di riferimento. Il consumatore medio, ragionevolmente attento e informato, è infatti più incline a percepire differenze tra marchi deboli rispetto a quelli forti.
È importante notare che, mentre i marchi descrittivi sono nulli, i marchi deboli possono essere registrati, sebbene con una tutela limitata. Un elemento distintivo per i marchi deboli è il principio del secondary meaning, secondo il quale un marchio inizialmente poco distintivo può acquisire capacità distintiva attraverso un uso intenso e prolungato (v. anche Una questione di originalità: il caso del marchio “BI-BAG” – Canella Camaiora).
Una controversia giudiziaria, decisa dal Tribunale di Roma, ha visto contrapporsi due imprese nel settore della ristorazione, entrambe interessate all’utilizzo del marchio “Peperino”. La controversia offre uno spunto interessante per comprendere le dinamiche legali che possono sorgere tra marchi apparentemente simili.
La parte attrice, una catena di ristoranti attiva soprattutto nel Nord Italia, sosteneva di avere diritti esclusivi sul marchio “Peperino”, registrato a livello europeo nel 2015. Accusava la convenuta, una pizzeria romana, di utilizzare il medesimo segno distintivo, configurando così contraffazione e concorrenza sleale. In particolare, l’attrice lamentava la somiglianza sia dell’elemento denominativo (“Peperino”) sia di quello figurativo (un peperoncino stilizzato). Inoltre, sosteneva che i marchi registrati dalla convenuta nel 2015 e nel 2018 fossero stati depositati in mala fede, con l’intento di sfruttare la notorietà acquisita dal proprio marchio.
La difesa della convenuta puntava su due argomenti principali: l’utilizzo del marchio “Peperino” già dal 2005, ben prima della registrazione europea dell’attrice, e la diversità delle attività imprenditoriali. La convenuta operava esclusivamente a Roma, concentrandosi su asporto e consegna a domicilio, mentre la catena dell’attrice aveva una presenza geografica diversa e un modello di business basato sulla ristorazione in loco. Inoltre, la convenuta sottolineava le differenze grafiche tra i due marchi, ritenendo improbabile un rischio di confusione.
Questo caso solleva domande cruciali su temi come priorità d’uso, mala fede e criteri di confondibilità. Ma quale sarà stata la decisione del Tribunale di Roma? Scopriamolo nel prossimo paragrafo.
Il Tribunale di Roma ha stabilito che il marchio “Peperino” rientra nella categoria dei marchi deboli. Sebbene valido e registrabile, un marchio debole gode di una protezione meno rigorosa rispetto ai marchi forti, una distinzione cruciale nel contesto di questa controversia.
La debolezza del marchio è stata individuata in due elementi principali: il significato descrittivo della componente denominativa e la comune associazione della componente figurativa al settore alimentare. Il termine “Peperino” è stato giudicato privo di elevata capacità distintiva, evocando immediatamente l’idea di piccantezza, una qualità generica legata a numerosi prodotti e servizi nel settore della ristorazione. Questa associazione rende il termine incapace di distinguersi in modo netto e univoco dai concorrenti.
Anche il disegno stilizzato del peperoncino non è stato considerato un elemento distintivo forte. Il peperoncino, infatti, è un simbolo universale nel mondo della ristorazione, spesso associato al gusto piccante e alla cucina speziata. La giurisprudenza conferma che simboli ampiamente utilizzati in un settore specifico, se privi di variazioni significative o elementi di fantasia, difficilmente possono costituire la base per un marchio forte.
La decisione di qualificare “Peperino” come un marchio debole ha avuto un impatto determinante sull’esito della causa. La debolezza del marchio, infatti, implica una protezione più limitata, richiedendo somiglianze molto marcate per configurare una violazione. In questo caso, il Tribunale ha escluso la contraffazione, stabilendo che non vi era una riproduzione pedissequa né un uso confondibile. La convenuta, pertanto, ha ottenuto piena libertà di utilizzo del proprio marchio.
Il Tribunale di Roma ha esaminato anche le accuse di deposito in mala fede e concorrenza sleale mosse dall’attrice contro la convenuta, respingendole per mancanza di prove sufficienti a sostegno di tali ipotesi.
L’articolo 19, comma 2, del Codice di Proprietà Industriale (CPI) definisce la registrazione in mala fede come un abuso finalizzato a ostacolare l’attività imprenditoriale di un concorrente o a sfruttare indebitamente la notorietà di un marchio altrui. Tuttavia, il carico della prova ricade su chi avanza tale accusa. Nel caso specifico, il Tribunale ha rilevato che non erano emersi elementi idonei a dimostrare che la convenuta avesse registrato i propri marchi con un intento lesivo o opportunistico nei confronti dell’attrice.
La convenuta ha, anzi, fornito una documentazione chiara sull’utilizzo pregresso del marchio “Peperino” sin dal 2005, ben dieci anni prima della registrazione effettuata dall’attrice nel 2015. Questo fattore è stato determinante nell’escludere una condotta scorretta durante la registrazione.
Anche l’accusa di concorrenza sleale è stata rigettata. Il Tribunale ha evidenziato che i marchi delle parti presentavano differenze grafiche e figurative sostanziali, sufficienti a evitare confusione tra i consumatori. Inoltre, le imprese operavano in aree geografiche distinte: la catena dell’attrice era attiva nel Nord Italia, mentre la pizzeria convenuta si limitava al mercato romano. Questa separazione riduceva ulteriormente qualsiasi possibile interferenza.
Le prove fornite dall’attrice non hanno dimostrato che la convenuta avesse tentato di sfruttare la reputazione del marchio dell’attrice o adottato comportamenti contrari alla correttezza professionale. In assenza di evidenze concrete, il Tribunale ha escluso ogni addebito per concorrenza sleale.
La sentenza del Tribunale di Roma sul caso “Peperino” sottolinea l’importanza centrale della capacità distintiva di un marchio nel determinare l’ampiezza della sua protezione legale. Mentre i marchi forti godono di una tutela rigorosa, i marchi deboli devono tollerare varianti anche non significative nei segni concorrenti, salvo che queste non generino una confusione evidente.
Il Tribunale ha inoltre chiarito che per sostenere accuse di mala fede o concorrenza sleale, è necessario fornire prove solide e circostanziate, senza le quali tali contestazioni difficilmente possono essere accolte.
Questo caso rappresenta un monito per gli imprenditori: la scelta e registrazione del marchio devono essere accompagnate da una consapevolezza strategica. I marchi forti garantiscono una tutela ampia, mentre i marchi deboli richiedono un maggiore impegno per rafforzare la propria identità distintiva e proteggere il valore del brand.
Margherita Manca