Meta integra la sua AI in WhatsApp… e l’AGCM apre un’istruttoria

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Abstract

Il 22 luglio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha aperto un’istruttoria nei confronti di Meta per possibile abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). L’oggetto dell’indagine è l’integrazione automatica dell’assistente virtuale Meta AI all’interno di WhatsApp. Secondo l’AGCM, la condotta potrebbe configurare un caso di tying: una pratica commerciale vietata, che consiste nell’abbinare forzatamente due servizi distinti, limitando la concorrenza nel mercato di riferimento e la libertà di scelta degli utenti. In questo caso, WhatsApp (messaggistica) sarebbe utilizzata per “trascinare” Meta AI (intelligenza artificiale generativa) in una posizione di vantaggio. Il provvedimento richiama alcuni precedenti recenti del diritto europeo, come i casi Facebook/Marketplace e Microsoft/Skype, in cui si è affrontato il rischio dell’integrazione preferenziale nei mercati digitali.

Perché l’AGCM italiana ha aperto un’istruttoria contro Meta?

Impossibile non accorgersene. Nel marzo 2025, Meta ha lanciato in Italia (e in altri Paesi dell’Unione Europea) una nuova funzione all’interno di WhatsApp: Meta AI, un assistente virtuale basato su intelligenza artificiale generativa. Ah, per chi non lo sapesse: WhatsApp è proprietà di Meta, il gruppo fondato da Mark Zuckerberg.

Il problema? Meta non ha chiesto alcuna autorizzazione agli utenti. Semplicemente, ha fatto comparire il proprio chatbot in posizione prominente sulla schermata di WhatsApp, visibile a tutti, insieme alla nuova voce nella barra di ricerca “Chiedi a Meta AI”.

Come riporta testualmente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato:

La scelta di META è stata quella di pre-installare Meta AI e di porlo in posizione prominente sulla schermata, rendendo tale servizio immediatamente disponibile per tutti i propri utenti di WhatsApp”.

Secondo l’AGCM, questa strategia potrebbe configurare un abuso di posizione dominante, vietato dall’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. In particolare, il comportamento viene qualificato come tying, cioè l’abbinamento forzato di due servizi distinti: WhatsApp (dove Meta è dominante) e Meta AI (in un mercato emergente e contiguo).

Il provvedimento chiarisce:

META appare in grado di trainare l’ingente numero dei propri clienti dal mercato in cui è dominante in quello nascente dei servizi di intelligenza artificiale, non già per mezzo di una concorrenza basata sui meriti, ma ‘imponendo’ la disponibilità dei due servizi distinti agli utenti”.

Per questo, il 22 luglio 2025, l’AGCM ha aperto un’istruttoria nei confronti di Meta Platforms Inc., Meta Platforms Ireland Limited, WhatsApp Ireland Limited e Facebook Italy S.r.l., ai sensi dell’art. 14 della Legge n. 287/1990. Il procedimento dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2026.

Meta domina la messaggistica. Ma può “trascinare” i suoi utenti verso l’AI?

Meta domina la messaggistica. Ma può “trascinare” i suoi utenti verso l’AI?

Meta, attraverso WhatsApp e Messenger, è oggi il principale operatore nei servizi di comunicazione via app, sia in Europa che in Italia. Secondo il provvedimento dell’AGCM, nel 2025 WhatsApp è utilizzata da circa il 90% degli italiani online, mentre Messenger ha un ulteriore 47,7% di penetrazione. Si tratta di percentuali sovrapponibili, perché molti utenti utilizzano più app di messaggistica contemporaneamente.

In questo contesto, Meta ha deciso di integrare Meta AI, il proprio assistente virtuale basato su intelligenza artificiale, direttamente dentro WhatsApp, rendendolo visibile e disponibile a tutti gli utenti senza richiesta o autorizzazione. Secondo l’AGCM, questa strategia potrebbe configurare un abuso di posizione dominante.

Nel provvedimento, l’AGCM ribadisce che un comportamento abusivo può estendersi anche a mercati diversi da quello in cui si detiene la posizione dominante:

Non è necessario […] che la posizione dominante, l’abuso e gli effetti dell’abuso siano tutti nello stesso mercato”.

In sostanza, secondo l’Autorità, Meta starebbe sfruttando la propria posizione dominante nella messaggistica per imporsi anche nel mercato nascente dei servizi di intelligenza artificiale generativa, approfittando della propria base utenti per favorire Meta AI rispetto ai concorrenti.

Secondo l’AGCM, il comportamento di Meta potrebbe danneggiare concorrenza e utenti

Nel provvedimento del 22 luglio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non afferma che vi sia stata una violazione, ma ritiene che vi siano elementi sufficienti per ipotizzare un comportamento potenzialmente abusivo da parte di Meta. Il procedimento avviato serve proprio ad accertare se l’integrazione forzata di Meta AI in WhatsApp abbia avuto — o possa avere — effetti escludenti nei confronti dei competitor.

In particolare, secondo l’AGCM, la preinstallazione del chatbot potrebbe garantire a Meta un vantaggio competitivo non basato sul merito, ma sul semplice fatto di avere accesso privilegiato a una base utenti enorme:

con modalità pressoché istantanea, i milioni di utenti di WhatsApp (più di 120 milioni in Europa) sono diventati milioni di possibili utenti di Meta AI”.

Il problema, secondo l’Autorità, non è la qualità del servizio Meta AI, ma la scorciatoia commerciale utilizzata per imporlo agli utenti, escludendo i concorrenti dalla possibilità di competere ad armi pari. Nessun altro fornitore di servizi di intelligenza artificiale (come OpenAI, Google o Anthropic) ha accesso diretto a WhatsApp o ha una visibilità paragonabile:

Gli utenti, infatti, possono accedere, su WhatsApp, solo al servizio di Meta AI con modalità immediate e ben più agevoli rispetto a quanto si richieda loro per accedere ai servizi simili di altri operatori”.

L’AGCM segnala inoltre un possibile effetto lock-in. Meta AI, come dichiarato dalla stessa azienda, memorizza alcune interazioni per offrire risposte sempre più personalizzate. Secondo l’Autorità, questo potrebbe incentivare l’utente a restare fedele a questo fornitore di servizi, rendendo meno attraenti le alternative:

le risposte diventano più utili e rilevanti al crescere dell’utilizzo di Meta AI”.

Infine, l’Autorità non esclude che le interazioni degli utenti possano essere utilizzate per addestrare i modelli linguistici di Meta AI, anche se la normativa sulla privacy consente in teoria agli utenti di opporsi:

è possibile che META addestri il proprio modello di AI sui dati e/o sulle interazioni con la base utenti del servizio in cui detiene una posizione dominante”.

Per tutte queste ragioni, l’Autorità ha ritenuto opportuno avviare un’istruttoria, che dovrà accertare se questa condotta abbia concretamente compromesso la concorrenza nel mercato dei servizi di intelligenza artificiale.

Perché questo caso ci da una sensazione di déjà vu?

La strategia di Meta, che ha integrato il proprio assistente virtuale dentro WhatsApp, ricorda il caso Microsoft: quando il colosso di Redmond aveva legato Internet Explorer a Windows, approfittando della sua posizione dominante nei sistemi operativi per imporsi anche nel mercato dei browser.

Ma – attenzione – questa suggestione non viene richiamata formalmente dall’AGCM nel provvedimento A576 del 22 luglio 2025. Infatti, l’Autorità non cita né la sentenza del Tribunale UE T-201/04 (Microsoft/Commissione), né la successiva decisione della Commissione Europea del 2009 sul caso Internet Explorer.

Al contrario, il provvedimento dell’AGCM fa riferimento esplicito ad altri precedenti recenti e coerenti con il contesto digitale attuale, in particolare:

  • la decisione AT.40684 – Facebook/Marketplace (Commissione Europea, 14 novembre 2024), che ha esaminato l’integrazione preferenziale di un servizio (il Marketplace) nella piattaforma principale (Facebook), evidenziando i rischi di esclusione per i concorrenti;
  • la Comunicazione della Commissione sulle priorità di enforcement dell’articolo 102 TFUE (GUCE C 45/02, 24 febbraio 2009), che fornisce i criteri per identificare i comportamenti abusivi volti all’esclusione di concorrenti, tra cui il tying;
  • le decisioni della Commissione nei casi di concentrazione digitale: Facebook/WhatsApp, caso M.7217 (2014), Microsoft/Skype, caso M.6281 (2011), Microsoft/Nokia, caso M.7047 (2013).

Attraverso questi riferimenti, l’Autorità forse non richiama episodi “famosi” come quello di Internet Explorer, ma costruisce una linea interpretativa aggiornata e coerente con l’evoluzione delle piattaforme digitali: contesti in cui l’integrazione tra servizi non è solo tecnica, ma può diventare un pericoloso strumento di espansione anticoncorrenziale.

In questo senso, la sensazione di déjà vu è comprensibile, ma – per capire davvero dove stia andando il diritto della concorrenza oggi – conviene guardare ai casi più recenti, e a come le autorità europee stanno affrontando il potere sistemico delle piattaforme integrate.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 1 Agosto 2025

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Avv. Arlo Cannela

Arlo Canella

Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.

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