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Moda e marchi: Adidas perde, ma Thom Browne rischia tutto

Pubblicato in: Proprietà Intellettuale
di Arlo Canella
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La battaglia legale tra Adidas e Thom Browne non si è fermata al rischio di confusione tra marchi. Dopo aver perso l’opposizione, Adidas ha ottenuto una svolta inaspettata: con la decisione R 689/2024-2 del 1° aprile 2025, la Seconda Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO ha deciso di riesaminare il marchio figurativo di Thom Browne per possibile mancanza di distintività. Il motivo? Le sue strisce rosse, bianche e potrebbero essere viste come un semplice decoro. In gioco non c’è solo un logo, ma la possibilità stessa di tutelare lo stile come marchio. Un caso rilevante per chi lavora tra moda, branding e proprietà intellettuale.

Adidas perde… ma la partita prende una piega inaspettata

Nel mondo della moda, lo stile è tutto. Ma nel mondo della proprietà intellettuale, non è detto che lo stile basti per registrare un marchio. È ciò che sta emergendo nel confronto legale tra Adidas e Thom Browne, due brand molto diversi, ma ora protagonisti di una nuova controversia per le strisce…

Nel 2017, Thom Browne – noto stilista americano – presenta domanda per registrare un marchio figurativo composto da cinque strisce verticali (bianche, rosse e blu) racchiuse da un rettangolo tratteggiato. Il marchio è destinato a vestiti, borse e accessori.

Adidas si oppone, invocando il rischio di confusione con le sue iconiche tre strisce parallele, marchi ben consolidati nel settore dell’abbigliamento sportivo e casual.

Nel gennaio 2024 arriva la doccia fredda per Adidas: l’opposizione viene respinta. La Divisione di Opposizione dell’EUIPO non riscontra alcun pericolo di confusione tra i segni. In sostanza, per l’Ufficio europeo, i consumatori non assocerebbero il design di Thom Browne a quello di Adidas. Una vittoria su tutta la linea per la maison americana? Non proprio.

Adidas decide di impugnare la decisione, e nell’aprile 2025 arriva il colpo di scena. La Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO annuncia che il caso non verrà valutato solo rispetto ai diritti anteriori di Adidas e, quindi, in merito alla confusione tra segni. Il vero tema, ora, è un altro – e potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso per Thom Browne. Il suo marchio a strisce bianche, rosse e blu potrebbe risultare del tutto privo di capacità distintiva, invalido, perché non idoneo a svolgere le funzioni tipiche del marchio.

Così, mentre Adidas resta formalmente “perdente” sull’opposizione iniziale, l’intero procedimento prende una svolta inaspettata. Non è più solo una lotta tra due marchi: ora è l’esistenza stessa del marchio di Thom Browne a essere messa in discussione.

Cosa succede quando un marchio non è “abbastanza” distintivo?

Come chiarito nella decisione R 689/2024-2 del 1° aprile 2025, la Commissione ha ritenuto che il segno richiesto da Thom Browne – pur essendo graficamente definito – potrebbe non presentare caratteristiche sufficienti a distinguere i prodotti di un’impresa da quelli di un’altra, come richiesto dall’art. 7, par. 1, lett. b) RMUE.

Nel linguaggio della proprietà intellettuale, si distinguono due grandi categorie di motivi per cui un marchio può essere respinto: motivi relativi e motivi assoluti.

I primi sono quelli che normalmente vengono fatti valere da altri titolari di diritti anteriori, come ha fatto Adidas nel suo tentativo di bloccare il marchio di Thom Browne, sostenendo la confondibilità tra segni. I secondi, invece, sono quelli che l’EUIPO può rilevare anche di propria iniziativa, e riguardano la validità intrinseca del segno.

E proprio questo è successo nel caso in esame. Dopo aver ricevuto l’appello di Adidas, la Commissione dei Ricorsi si è accorta che il problema non era soltanto se il marchio di Thom Browne somigliasse troppo a quello di Adidas. Il punto, molto più profondo, è che forse quel segno non dovesse essere registrato affatto, perché mancante del requisito fondamentale della distintività.

Un marchio, infatti, per essere valido, deve essere in grado di distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di un’altra (art. 7, par. 1, lett. b) RMUE). Non basta che sia graficamente elegante o ben costruito: deve essere percepito dal pubblico come un indicatore di origine commerciale. Se viene visto solo come un motivo decorativo, un abbellimento grafico tra i tanti, non può ottenere tutela.

La Commissione ha quindi sospeso l’esame dell’appello e rinviato la domanda di Thom Browne al settore esaminatori, raccomandando di valutare ex novo se il segno sia effettivamente distintivo oppure no. È un meccanismo previsto espressamente dal regolamento (art. 45, par. 3 RMUE e art. 30, par. 2 RDMUE), ma poco conosciuto fuori dagli addetti ai lavori. E può cambiare completamente le sorti di un procedimento.

Questo significa che, anche se l’opponente perde sul fronte della confondibilità, l’EUIPO può comunque decidere di bocciare il marchio. È una sorta di “seconda linea di difesa” del sistema, pensata per evitare che entrino nel registro segni che non meritano tutela. Ed è su questo terreno che ora si giocherà il futuro del marchio Thom Browne.

Quando si parla di marchi, lo stile non è tutto!

La domanda che ora si pone è semplice solo in apparenza: può un segno bello, ordinato, graficamente curato… risultare un marchio valido? La risposta, secondo l’EUIPO e la giurisprudenza consolidata, è dipende. E il caso Thom Browne ne è l’esempio perfetto.

Il caso trae origine dalla decisione della Seconda Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO del 1° aprile 2025 (R 689/2024-2), che riguarda la domanda di registrazione del marchio figurativo n. 17 458 837, depositata da Thom Browne, Inc., e l’opposizione avanzata da Adidas AG nel procedimento B 3 044 594.

Il marchio contestato è composto da strisce verticali in rosso, bianco e blu, racchiuse in un rettangolo tratteggiato. Nessuna parola, nessun elemento verbale o simbolico di rinforzo. Solo linee, colori e forma. Proprio questa essenzialità estetica rischia di diventare un problema: secondo la Commissione, il marchio è talmente semplice da non essere percepito dal pubblico come un indicatore dell’origine commerciale dei prodotti. In altre parole, non “firma” nulla.

È un concetto giuridico chiave: la capacità distintiva. Il marchio deve fare quello per cui esiste: permettere a un consumatore di dire “questa camicia è di Thom Browne”. Se invece viene letto solo come un elemento decorativo, come una fantasia grafica tra tante, perde la sua funzione giuridica. E quindi non merita registrazione.

La decisione richiama una serie di sentenze precedenti, tutte concordi: figure geometriche semplici, strisce colorate o combinazioni visive troppo comuni non bastano, a meno che il richiedente non dimostri che il pubblico ha imparato ad associarle, attraverso l’uso, a una determinata origine. Ma è un onere probatorio elevatissimo, soprattutto nel settore moda, dove ornamento e segno distintivo spesso si confondono.

L’EUIPO, infatti, osserva che il pubblico europeo non è abituato a trarre conclusioni sull’origine dei prodotti basandosi su combinazioni di colori all’interno di forme semplici. E ciò vale a maggior ragione in settori, come l’abbigliamento e la pelletteria, dove motivi simili sono diffusissimi e hanno scopo puramente estetico.

Nel caso di Thom Browne, quindi, lo stile potrebbe non bastare… Se le strisce rosse bianche e blu non vengono percepite come marchio, quest’ultimo potrebbe essere dichiarato nullo per impedimento assoluto alla registrazione. E ora spetta allo stilista dimostrare il contrario.

L’ultima chance per Thom Brown: dimostrare la distintività acquisita

Thom Browne non è ancora fuori gioco. Se l’EUIPO considera il suo marchio privo di capacità distintiva “in astratto”, lo stilista ha comunque un’arma a disposizione: dimostrare che, attraverso l’uso prolungato e riconosciuto nel tempo, il pubblico ha imparato ad associare quelle strisce colorate proprio alla sua maison.

È ciò che in gergo si chiama distintività acquisita. Lo prevede l’articolo 7, paragrafo 3, del Regolamento sul marchio dell’Unione Europea (RMUE): anche un segno inizialmente non distintivo può essere registrato se ha acquisito carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto.

Ma attenzione: non si tratta di un’autocertificazione. Il richiedente deve fornire prove concrete, spesso articolate e complesse. Campagne pubblicitarie, dati di vendita, riconoscibilità del marchio nei mercati dell’UE, indagini demoscopiche indipendenti, presenza mediatica… Tutto può essere utile, ma nulla è scontato.

Nel settore della moda, questa prova è particolarmente difficile. Il confine tra motivo ornamentale e segno distintivo è sottile. I consumatori sono abituati a vedere righe, strisce, colori e pattern come scelte stilistiche, non come firme. E quando manca un elemento verbale – come un nome o un logo chiaro – convincere l’Ufficio che quelle strisce siano percepite come “marchio” e non solo come “moda” diventa una salita ripida.

Per Thom Browne, la sfida ora è questa: convincere gli esaminatori che i consumatori europei vedano in quelle cinque strisce una firma, non un decoro. Se ci riesce, il marchio potrà essere registrato. In caso contrario, l’EUIPO potrebbe respingerlo in via definitiva, chiudendo un capitolo importante della strategia del brand.

La sorte del marchio di Thom Browne resta quindi sospesa. Il procedimento di appello è stato formalmente sospeso e rinviato all’esaminatore dell’EUIPO, che dovrà valutare se riaprire l’esame per motivi assoluti, come previsto dall’art. 30, par. 2 RDMUE (Decisione EUIPO – Seconda Commissione dei Ricorsi, R 689/2024-2, 1 aprile 2025).

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 24 Aprile 2025

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Avv. Arlo Cannela

Avvocato Arlo Canella

Managing Partner dello studio legale Canella Camaiora, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano, appassionato di Branding, Comunicazione e Design.
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