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Quando un marchio diventa inaccettabile per legge? La registrazione di un marchio può essere negata se un segno è contrario all’ordine pubblico o al buon costume, ma chi stabilisce questi limiti? L’articolo analizza il principio di liceità, illustrando come la normativa italiana ed europea (art. 14 CPI e art. 7(1)(f) del Regolamento 2017/1001) regolino i marchi controversi. Grazie alla CP14 Common Practice, l’EUIPO ha introdotto criteri chiari per valutare quando un marchio è offensivo o lesivo di valori fondamentali, come la dignità umana e la democrazia. Attraverso casi concreti, come i rifiuti delle registrazioni “Pablo Escobar“, “Covidiot” e “Maricón Perdido“, l’articolo spiega come questi principi vengano applicati nella prassi decisionale.
Tra i requisiti per la registrazione di un marchio, il principio di liceità gioca un ruolo centrale. Secondo l’articolo 14 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), un segno non può essere registrato se è contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Se il riferimento alla legge è chiaro e oggettivo, i concetti di ordine pubblico e buon costume risultano più sfumati e soggetti a interpretazione, poiché legati al contesto storico e culturale (vedi anche: “Quella irresistibile voglia di esagerare: i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume” di D. Camaiora).
Anche a livello europeo, il Regolamento Europeo 2017/1001 esclude dalla registrazione i marchi contrari all’ordine pubblico o al buon costume (art. 7(1)(f)). Inoltre, se un marchio già registrato si rivelasse lesivo di questi principi, potrebbe essere dichiarato nullo. Lo scopo di queste restrizioni è impedire che segni offensivi ottengano protezione legale, evitando così di legittimare messaggi contrari ai valori fondamentali della società.
Ma chi stabilisce quando un marchio è davvero lesivo dell’ordine pubblico o del buon costume?
Per uniformare l’interpretazione di questi concetti tra gli Stati membri dell’Unione Europea, l’EUIPN (European Union Intellectual Property Network) ha introdotto la CP14 Common Practice, un documento che fornisce linee guida chiare per valutare i marchi ai sensi dell’art. 7(1)(f) del Regolamento 2017/1001. La CP14 distingue tra due criteri principali:
La valutazione di un marchio avviene dal punto di vista di una persona ragionevole, con sensibilità e tolleranza medie. Non basta che un segno sia offensivo per una minoranza particolarmente sensibile, ma nemmeno il contrario è accettabile: un segno volgare o osceno non può essere registrato solo perché una minoranza lo considera accettabile.
Oltre ai principi generali, la CP14 individua elementi chiave che influenzano la percezione del pubblico, come il contesto sociale, la legislazione vigente e la reazione dell’opinione pubblica. La percezione di un segno, infatti, può variare in base a diversi fattori, tra cui:
La valutazione di un segno deve basarsi sui principi morali e sull’ordine pubblico vigenti al momento della presentazione della domanda di registrazione del marchio. Tuttavia, eventi successivi alla data di deposito potrebbero essere presi in considerazione qualora abbiano un impatto rilevante. Ogni caso deve comunque essere considerato singolarmente, tenendo a mente:
Infine, la CP14 fornisce una lista non esaustiva di segni che potrebbero violare i principi di ordine pubblico o buon costume, tra cui:
Questi criteri e riferimenti consentono agli esaminatori di ridurre il margine di soggettività nella valutazione dei marchi, garantendo maggiore coerenza e prevedibilità nelle decisioni. Ma come avviene nella pratica la valutazione di un segno controverso?
La CP14 definisce criteri specifici per stabilire se un segno violi l’ordine pubblico o il buon costume, fornendo anche esempi pratici per chiarire questi principi. L’analisi si articola in quattro fasi fondamentali, che permettono agli esaminatori di valutare i marchi in modo oggettivo e coerente.
Il primo passo consiste nell’identificare e valutare tutti i possibili significati del segno, concentrandosi sugli elementi verbali e figurativi, senza considerare i prodotti o servizi associati. L’obiettivo è verificare se uno dei significati possa risultare contrario all’ordine pubblico o al buon costume.
Un esempio emblematico è il termine PUSSY, che, pur potendo significare “gattino”, ha una connotazione volgare e sessualmente esplicita. Per il pubblico medio, il significato volgare potrebbe prevalere, rendendo il segno potenzialmente inammissibile.
Anche gli elementi aggiuntivi, siano essi verbali o figurativi, possono influenzare la percezione del marchio. In alcuni casi, possono attenuare il carattere controverso del segno; in altri, invece, potrebbero enfatizzarne l’inappropriatezza. Un esempio è LITTLE DICK, che potrebbe essere accettabile se accompagnato da un’illustrazione di un bambino (dove “Dick” è inteso come diminutivo di Richard). Tuttavia, se la lettera “i” venisse sostituita da una banana, il riferimento sessuale diverrebbe evidente, rendendo il segno inaccettabile.
Anche le modifiche nella grafia o nella sintassi possono incidere sulla percezione pubblica. Alcuni errori intenzionali di ortografia possono attenuare il potenziale offensivo di un segno, ma non sempre sono sufficienti se la pronuncia resta identica. Un caso significativo è THE.RAPIST JOHN: l’inserimento di un punto tra “The” e “Rapist” può creare un’ambiguità semantica, facendo percepire il segno come offensivo e suggerendo che John sia uno “stupratore”. Senza il punto, invece, potrebbe essere interpretato come “terapista John”, risultando accettabile per la registrazione.
Infine, è fondamentale valutare se il significato di un segno sia mutato nel tempo. Alcune espressioni un tempo considerate offensive possono aver perso il loro carattere lesivo. Ad esempio, JOLLY ROGER, in passato simbolo della pirateria e della criminalità, è oggi percepito principalmente come un elemento culturale o decorativo, non più soggetto a rilievi da parte del pubblico.
Il contesto in cui un marchio viene utilizzato è altrettanto cruciale. Un segno che in un determinato ambito risulta innocuo può diventare del tutto inappropriato in un altro.
Un esempio chiaro è il marchio Kill Them All: se utilizzato per un insetticida, il messaggio appare contestualizzato e accettabile. Tuttavia, se associato a prodotti destinati ai bambini, il significato cambia radicalmente, entrando in contrasto con i valori generalmente condivisi nel settore dell’intrattenimento per l’infanzia.
Per stabilire se un marchio sia contrario all’ordine pubblico, gli esaminatori devono fare riferimento a fonti autorevoli e oggettive, come i principi generali del diritto, i trattati internazionali, la normativa europea e la giurisprudenza consolidata.
L’attenzione non si concentra sulla percezione soggettiva del pubblico, ma sulla possibilità che il segno contraddica principi fondamentali della società. Ad esempio, i marchi che incitano alla violenza, glorificano regimi totalitari o promuovono attività criminali sono tipicamente rifiutati. Un caso particolarmente interessante è quello trattato nell’articolo “Il caso dei “marchi illeciti” registrati per difendere la legalità”, che analizza come alcuni simboli possano essere registrati con il dichiarato intento di limitarne la diffusione, ma al tempo stesso generare interrogativi etici e giuridici sulla loro accettabilità.
La valutazione di questi marchi, quindi, non può prescindere dal bilanciamento tra libertà di espressione e tutela dei valori fondamentali riconosciuti dalla comunità internazionale.
Il concetto di buon costume si basa sui valori condivisi dalla società in un determinato momento storico. Gli esaminatori, nella loro valutazione, devono basarsi su informazioni verificabili, evitando interpretazioni soggettive o arbitrarie. In alcuni casi, il richiedente ha la possibilità di presentare prove concrete per dimostrare che il pubblico rilevante non percepisce il segno come offensivo.
Se un marchio venisse contestato per volgarità o offensività, il richiedente potrebbe produrre evidenze oggettive, come sondaggi o analisi sociali, per dimostrare che la maggioranza del pubblico non lo ritiene contrario ai valori morali.
È fondamentale distinguere tra cattivo gusto e moralità. La Corte di Giustizia ha chiarito che un marchio non può essere rifiutato solo perché sgradevole o poco elegante. Per essere considerato contrario al buon costume, un segno deve entrare in conflitto con le norme morali fondamentali riconosciute dalla società nel contesto storico e sociale attuale.
Ciò significa che un’espressione di cattivo gusto, per quanto volgare o provocatoria, non raggiunge automaticamente il livello di offesa necessario per giustificarne il rifiuto. La valutazione dipende sempre dalla percezione del pubblico medio: ciò che può essere giudicato sconveniente o grossolano non rappresenta necessariamente un’offesa alla sensibilità collettiva o ai parametri di tolleranza della società.
La CP14, con i suoi criteri strutturati e i suoi esempi pratici, aiuta a bilanciare libertà di espressione e tutela dei valori fondamentali, garantendo maggiore coerenza nelle decisioni dell’EUIPO.
Negli ultimi anni, diverse decisioni dell’EUIPO e della Corte di Giustizia dell’UE hanno messo in pratica i criteri della CP14, dimostrando come i concetti di ordine pubblico e buon costume vengano interpretati nella realtà. Alcuni casi recenti offrono esempi significativi di come queste valutazioni vengano applicate.
I casi sopra citati evidenziano come i principi oggi codificati nella CP14 fossero già applicati dall’EUIPO in modo non formalizzato. Tuttavia, l’adozione della CP14 ha fornito criteri chiari e condivisi, migliorando la coerenza e la trasparenza nelle decisioni.
La CP14 Common Practice si è rivelata uno strumento fondamentale per garantire maggiore chiarezza e uniformità nell’interpretazione dei concetti di ordine pubblico e buon costume nel contesto della registrazione dei marchi. Grazie ai suoi criteri dettagliati e alle linee guida condivise, questo documento consente agli esaminatori di affrontare valutazioni complesse con un approccio più uniforme e trasparente, riducendo il margine di soggettività.
Pur non avendo valore giuridico vincolante, la CP14 rappresenta un riferimento autorevole per l’EUIPO e per gli Stati membri dell’UE. Con i valori sociali e culturali in continua evoluzione, questa guida offre un punto di equilibrio tra libertà di espressione e tutela dei principi fondamentali della società, promuovendo decisioni più prevedibili e trasparenti.