Scopri come contratti di rete e consorzi migliorano la competitività.
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Le PMI cercano sempre più strumenti efficaci per migliorare la collaborazione. Tra questi, il contratto di rete si distingue come una forma flessibile che permette di ottimizzare risorse e competenze, mantenendo l’indipendenza delle aziende partecipanti. Tuttavia, la gestione della proprietà intellettuale all’interno di questi accordi è essenziale per evitare rischi di sfruttamento improprio delle idee e delle innovazioni. In questo articolo, esploreremo le migliori forme di collaborazione tra imprenditori, approfondendo le soluzioni come consorzi, società consortili e contratti di rete, e sottolineando come la protezione della proprietà intellettuale possa garantire il successo di queste partnership strategiche.
I consorzi sono una delle forme più comuni di collaborazione tra imprenditori, finalizzati a creare un’organizzazione condivisa per gestire e coordinare alcune fasi delle loro attività. La legge italiana distingue tra due principali tipologie di consorzi: consorzi con attività interna e consorzi con attività esterna. I primi regolano esclusivamente i rapporti interni tra i membri senza interagire con terzi, mentre i secondi hanno la possibilità di contrattare con soggetti esterni e assumere obbligazioni, richiedendo la costituzione di un fondo consortile e l’iscrizione nel Registro delle Imprese, come previsto dagli articoli 2602–2615 bis del Codice Civile.
I consorzi con attività interna sono particolarmente utili quando l’obiettivo è coordinare le attività dei membri e ridurre la concorrenza interna. Un esempio comune è quello di un gruppo di produttori agricoli che condividono risorse come attrezzature e spazi di stoccaggio, ottenendo così una riduzione dei costi operativi. Diversamente, i consorzi con attività esterna si distinguono per la loro capacità di operare sul mercato, rappresentando i consorziati nella vendita di beni o servizi. Un esempio pratico è quello di un consorzio di cantine vinicole che vendono il loro vino sotto un marchio comune, aumentando così il loro potere contrattuale e rafforzando la loro presenza sui mercati internazionali.
Un’evoluzione interessante del modello consortile è rappresentata dalle società consortili, una forma giuridica che combina le caratteristiche del consorzio con quelle di una società commerciale, come una S.r.l. o una S.p.A. Questo tipo di struttura è spesso utilizzato in progetti complessi che richiedono una gestione più formalizzata e una maggiore capacità di rappresentanza legale. Un esempio concreto è il settore della logistica, dove più imprese di trasporto uniscono le forze per ottimizzare i processi e ridurre i costi operativi.
Un altro aspetto determinante per i consorzi e le società consortili è l’utilizzo dei marchi collettivi e dei marchi di certificazione (si veda “cos’è il marchio collettivo” e “il marchio IGP e l’estensione della sua tutela”). I marchi collettivi sono strumenti che consentono ai membri di un consorzio di promuovere i loro prodotti o servizi sotto un’unica identità di marca, garantendo al contempo l’origine e la qualità. Un esempio ben noto è il Consorzio del Parmigiano Reggiano, che utilizza un marchio collettivo per garantire che solo il formaggio prodotto secondo specifiche tecniche e in determinate aree geografiche possa essere commercializzato con il nome “Parmigiano Reggiano” (si veda “cos’è il marchio collettivo” e “il marchio IGP e l’estensione della sua tutela”).
I marchi di certificazione, invece, non possono essere utilizzati dal titolare stesso, ma servono a certificare che i prodotti di terzi rispettino determinati standard qualitativi. Questi marchi, regolati dal D.Lgs. 15/2019 e dall’articolo 11 bis del Codice della Proprietà Industriale, sono particolarmente efficaci nel garantire trasparenza e qualità ai consumatori. Un esempio tipico potrebbe essere quello di un’associazione di produttori biologici che utilizza un marchio di certificazione per garantire il rispetto di rigorosi standard di produzione bio.
L’utilizzo di marchi collettivi e di certificazione all’interno di un consorzio o di una società consortile offre numerosi vantaggi:
Riassumendo, consorzi, società consortili e l’impiego strategico di marchi collettivi e di certificazione possono risultare estremamente efficaci per collaborare, migliorando la competitività e la reputazione dei prodotti immessi sul mercato, soprattutto per le PMI che vogliono espandersi in un contesto sempre più complesso e competitivo. Tuttavia, la collaborazione tra imprenditori non si esaurisce con consorzi e società consortili. Esistono forme di cooperazione ancora più flessibili e dinamiche, come le Associazioni Temporanee di Imprese (ATI) e le Joint Ventures, che offrono nuovi modi per affrontare progetti specifici o accedere a nuovi mercati. Ma quali sono le caratteristiche distintive di queste strutture? E come possono aiutare le imprese a raggiungere i loro obiettivi senza impegnarsi a lungo termine? Scopriamolo nel prossimo paragrafo.
Le Associazioni Temporanee di Imprese (ATI) sono alleanze strategiche di natura temporanea tra due o più imprese, finalizzate alla realizzazione di un progetto specifico. Questa forma di collaborazione è spesso utilizzata per partecipare a gare d’appalto, sia pubbliche che private, e risulta particolarmente utile per gestire progetti complessi che richiedono una combinazione di risorse e competenze diversificate. Attraverso le ATI, le imprese possono unire forze e capacità, migliorando la competitività della loro offerta e affrontando sfide che sarebbero difficili da sostenere singolarmente. Ad esempio, diverse imprese di costruzioni potrebbero costituire un’ATI per partecipare alla gara di appalto per la costruzione di un’infrastruttura tecnologica, combinando risorse finanziarie, attrezzature e competenze tecniche (si v. “La proprietà del software nei raggruppamenti temporanei di imprese”).
Le joint ventures, invece, rappresentano una forma di collaborazione in cui le imprese mantengono la propria indipendenza giuridica, ma uniscono risorse per lo svolgimento di una specifica attività economica. Questa collaborazione può assumere diverse forme:
Le joint ventures sono particolarmente adatte per condividere i rischi legati a nuovi progetti, accedere a nuovi mercati o combinare competenze complementari. Ad esempio, una joint venture tra una casa automobilistica e un’azienda tecnologica può consentire lo sviluppo di veicoli elettrici, unendo l’esperienza ingegneristica dell’una con le competenze in software dell’altra.
I principali vantaggi delle joint ventures potrebbero minimizzare i rischi di insuccesso commerciale, grazie all’opportunità di sfruttare le competenze, i contatti e le conoscenze locali dei partner sul territorio. Inoltre, la combinazione di competenze complementari crea sinergie che migliorano l’efficacia complessiva del progetto. Ad esempio, nel settore farmaceutico, una joint venture tra un’azienda specializzata in ricerca e un’altra dotata di una solida rete di distribuzione può accelerare lo sviluppo e la commercializzazione di nuovi farmaci.
In sintesi, le ATI e le joint ventures forniscono modelli di collaborazione efficaci e flessibili, consentendo alle imprese di affrontare sfide specifiche, ottimizzare risorse e ridurre i rischi. Tuttavia, quando le imprese cercano soluzioni più strutturate e durature per collaborazioni di lungo termine, che non si limitino alla realizzazione di un singolo progetto, esiste un’altra opzione particolarmente interessante: il contratto di rete. Ma in che modo il contratto di rete può ampliare le opportunità di crescita e innovazione per le imprese?
Il contratto di rete è uno strumento sempre più utilizzato dalle imprese italiane per collaborare senza rinunciare alla propria indipendenza giuridica. Tra il 2019 e il 2022, si è registrato un aumento del 40,5% delle reti d’impresa, dimostrando l’efficacia di questo strumento per migliorare la competitività delle PMI italiane (si v. “Reti d’impresa: crescita a doppia cifra nel 2022” su confindustria.it). Al 3 settembre 2024, addirittura 49.618 imprese risultano coinvolte in 9.422 contratti di rete, con una presenza significativa in regioni come la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Veneto (si v. “Contratti di reteLe imprese che collaborano per innovare e competere sul mercato” su registroimprese.it).
Il segreto del successo del contratto di rete è la capacità di ridurre i costi operativi grazie alla condivisione di risorse, migliorando al contempo la competitività e l’innovazione delle imprese, sia a livello nazionale che internazionale. Inoltre, la formalizzazione del contratto offre garanzie alle imprese partecipanti, consentendo loro di sperimentare nuove attività con meno rischi e di essere più resilienti di fronte alle crisi (si v. “Vantaggi del contratto di rete. Perché formalizzare una Rete d’Impresa?” su fiscoetasse.it)
Nonostante i numerosi vantaggi, alcune difficoltà ostacolano ancora la piena diffusione dei contratti di rete. La gestione amministrativa può risultare complessa per le imprese meno strutturate, mentre una scarsa conoscenza delle opportunità offerte da questo strumento limita il suo utilizzo in maniera efficace.
E non bisogna dimenticare che, in un contratto di rete, la protezione della proprietà intellettuale diventa fondamentale. Le imprese, pur collaborando, temono di perdere il controllo su idee e innovazioni di valore. Ma come possono proteggere i propri asset intangibili all’interno di una rete, senza compromettere la fiducia reciproca?
Nell’ambito dei contratti di rete, la protezione della proprietà intellettuale è un tema centrale che non deve essere trascurato. Le imprese coinvolte devono stabilire chiaramente chi possiede e gestisce i diritti di proprietà intellettuale su brevetti, marchi e know-how condivisi. Come spiegato in diversi articoli dello Studio Canella Camaiora, una gestione accurata della proprietà intellettuale in sede contrattuale può evitare potenziali conflitti e garantire un utilizzo un riparto equo delle risorse intangibilii, frutto della collaborazione all’interno della rete.
Un articolo dello studio evidenzia l’importanza di integrare clausole di riservatezza e di definire chiaramente chi detiene i diritti su brevetti sviluppati congiuntamente, evitando che informazioni strategiche o innovative vengano utilizzate impropriamente (si v. “cos’è il know how e come di tutela”)
Per esempio, quando si tratta di know-how condiviso, le imprese devono concordare su quali informazioni possano essere divulgate e come proteggere quelle più sensibili (si v. “know-how e informazioni aziendali: il caso del dipendente infedele”).
Allo stesso modo, lo studio ha affrontato in diversi approfondimenti il tema dell’uso dei marchi collettivi (si v. “cos’è il marchio collettivo?”), fondamentali per garantire coerenza e qualità nei prodotti o servizi promossi dalle imprese all’interno della rete. Un corretto utilizzo di questi strumenti può migliorare la reputazione delle imprese e proteggerle da possibili contraffazioni.
L’integrazione di un contratto di rete ben strutturato, con particolare attenzione alla protezione della proprietà intellettuale, rappresenta un vantaggio competitivo indispensabile. Come sottolineato dagli articoli dello Studio Canella Camaiora, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale non solo garantisce che tutte le risorse condivise siano tutelate, ma offre anche una base di fiducia per una collaborazione di successo e duratura all’interno delle collaborazioni strategiche tra imprese.
Avvocato Arlo Canella