Quando un’innovazione è davvero pronta? Il metodo dei livelli di readiness

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Abstract

Come si individua il momento in cui un’idea diventa davvero innovazione? Dalla NASA al settore farmaceutico, fino alla cantieristica di lusso, i livelli di maturità tecnologica (Technology Readiness Levels, TRL) e, più in generale, i livelli di readiness sono diventati il linguaggio comune per valutare la maturità di una tecnologia. Non basta che un’idea funzioni: deve essere producibile, regolata, sicura, integrata e accettata. I livelli di readiness — tecnologici, clinici, produttivi, regolatori ed etici — offrono una bussola condivisa per ridurre i rischi, attrarre investimenti e costruire fiducia.

La misurazione della maturità tecnologica

Innovare non significa soltanto inventare, ma riuscire a portare quella novità nel mondo reale, in modo sicuro, scalabile e utile. Tra scoperta e applicazione si apre uno spazio difficile — di fallimenti, regolamenti e investimenti — in cui molte idee si perdono non perché sbagliate, ma perché non ancora mature.

Oggi la Commissione Europea utilizza il TRL come soglia di accesso ai finanziamenti, a partire dal livello 5–6 per i progetti “transition”. La maturità tecnologica è già una condizione di selezione, non solo di valutazione.

Negli anni Settanta, la NASA fu tra le prime organizzazioni a chiedersi come misurare questa maturità: serviva un metodo per capire se un sistema sviluppato in laboratorio fosse pronto per volare nello spazio. Nacque così il Technology Readiness Level (TRL), una scala da 1 a 9: dall’intuizione iniziale (TRL 1) fino alla dimostrazione in ambiente operativo (TRL 9). Quella che era una semplice esigenza gestionale è diventata oggi una metrica universale dell’innovazione, adottata anche in Europa nei programmi Horizon.

Il TRL ha introdotto una rivoluzione concettuale: l’innovazione può essere misurata.
Ma presto è emerso un limite. Un prototipo può funzionare in laboratorio e fallire in produzione; una tecnologia può essere efficace, ma non ancora approvata dai regolatori; un farmaco può promettere benefici, ma non disporre di prove cliniche sufficienti. In altre parole, la readiness tecnologica non coincide con la readiness reale.

Ecco perché negli ultimi anni si sono affermati altri indicatori complementari, capaci di descrivere le diverse dimensioni della maturità: produttiva, clinica, regolatoria, etica, sociale. Perché un’idea, per diventare davvero innovazione, deve superare molte più soglie di quanto sembri. Ma quali sono e cosa valutano esattamente?

Oltre il TRL: i livelli di readiness produttivi, clinici e regolatori

Una tecnologia può essere perfetta sulla carta e fallire nel mondo reale. Il TRL, infatti, valuta il progresso tecnico, ma non dice nulla sulla capacità di produrre, di rispettare i requisiti regolatori o di essere accettata da chi dovrà utilizzarla. Per questo motivo, altre scale traducono la complessità del percorso innovativo in parametri concreti e verificabili.

  • I Biomanufacturing Readiness Levels (BRL) misurano la scalabilità produttiva dei farmaci biologici e delle terapie avanzate: dal laboratorio ai lotti pilota, fino alla produzione industriale.
  • I Clinical Readiness Levels (CRL) indicano la maturità clinica, ovvero il livello di validazione sull’uomo, dalla sicurezza iniziale fino alla pratica clinica quotidiana.
  • I Regulatory Readiness Levels (RRL) valutano il grado di preparazione della documentazione necessaria all’approvazione da parte delle autorità competenti.
  • I Manufacturing Readiness Levels (MRL) riguardano invece la robustezza industriale, ossia la capacità di produrre in modo costante, controllato e conforme agli standard.

Gli esempi non mancano: nel 2020 la FDA respinse l’autorizzazione del lisocabtagene maraleucel (Bristol Myers Squibb) per carenze produttive. Il principio attivo era valido, ma la produzione no. Solo dopo la revisione dei processi l’approvazione fu concessa.

A queste si affiancano altri indicatori come Integration Readiness Level (IRL) ed Ethical Readiness Level (ERL), che valutano rispettivamente la compatibilità tra sistemi e la coerenza etica dell’innovazione.

Insieme, compongono una mappa multidimensionale: l’innovazione come ecosistema, non come singolo prototipo.

Misurare la readiness, oggi, significa quindi gestire la complessità.
Significa chiedersi non solo se qualcosa funziona, ma come, a quale costo, e in quali condizioni potrà essere adottato. Un linguaggio comune di questo tipo consente a scienziati, aziende e investitori di condividere la stessa mappa, riducendo incertezze e fraintendimenti.

Ma tra tutti i settori industriali, ce n’è uno che ha dovuto affrontare per primo — e con maggiore rigore — questa sfida multidimensionale: quello farmaceutico.

Quindi, come si misura, in pratica, quando un farmaco è davvero pronto?

Readiness nel Pharma: quando un farmaco è davvero pronto

Nel settore farmaceutico la maturità è una necessità vitale. Dalla scoperta iniziale alla commercializzazione, lo sviluppo di un farmaco richiede in media tra 10 e 15 anni, coinvolge migliaia di test e studi preclinici e clinici, e può comportare investimenti complessivi superiori ai due miliardi di dollari, considerando anche i costi dei progetti falliti e del capitale investito.

Un farmaco può essere efficace nei modelli animali e fallire negli studi clinici, oppure ottenere risultati eccellenti sull’uomo e non essere producibile su larga scala. Qui entrano in gioco altri indicatori, come i Biomanufacturing Readiness Levels (BRL), che misurano la capacità di produrre il principio attivo in modo ripetibile, stabile e conforme alle Good Manufacturing Practices (GMP).

Parallelamente, i Clinical Readiness Levels (CRL) traducono le fasi della sperimentazione in una progressione di maturità: dalla prima dimostrazione di sicurezza (fase I) alla conferma di efficacia su larga scala (fase III), fino al monitoraggio post-marketing.
Accanto a questi, i Regulatory Readiness Levels (RRL) indicano quanto sia completo e coerente il dossier destinato alle autorità, dalla documentazione chimico-farmaceutica fino alle analisi di rischio. È proprio su questi aspetti che le agenzie, come la Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), concentrano oggi le proprie valutazioni.

Dal 2025 la FDA ha avviato un programma pilota per pubblicare versioni redatte delle proprie Complete Response Letters, rendendo pubblici i motivi di un rigetto senza violare la riservatezza industriale. Dall’analisi di queste lettere emerge un dato sorprendente: molti rigetti non dipendono da mancanza di efficacia, ma da carenze produttive o regolatorie, soprattutto nelle sezioni dedicate alle Chemistry, Manufacturing and Controls (CMC).

È il caso di teplizumab, terapia per il diabete tipo 1, bloccata nel 2021 da una Complete Response Letter per carenze produttive. Solo dopo la correzione del dossier CMC il farmaco è stato approvato, a conferma che la readiness regolatoria può valere quanto quella clinica.

In un mercato che supera ormai i 450 miliardi di dollari, la trasparenza sui livelli di maturità è diventata un vantaggio competitivo decisivo.

Il caso Pharma mostra che la maturità non è solo scientifica: deve unire tecnologia (TRL), produzione (BRL), clinica (CRL) e regolazione (RRL).

Ma il farmaceutico non è l’unico settore in cui il livello di maturità decide il successo di un’innovazione. Dallo spazio alla sala operatoria, fino alla cantieristica di lusso, la stessa logica si sta estendendo a campi molto diversi — mostrando che la vera maturità non è solo tecnologica, ma anche umana e sistemica.

Dallo spazio al mare: misurazione senza confini

Ogni volta che una tecnologia deve passare dal laboratorio a un contesto operativo — che si tratti di un ospedale, di un satellite o di uno yacht — serve un modo per valutare quanto sia davvero pronta a funzionare nel mondo reale.

Nel biomedicale, la maturità tecnologica deve sempre intrecciarsi con l’usabilità, la sicurezza e la conformità regolatoria. Un dispositivo può essere tecnicamente impeccabile e tuttavia inadeguato se non risponde a un bisogno clinico concreto o se non può ottenere la marcatura CE o l’autorizzazione FDA.
Per questo, accanto ai Clinical Readiness Levels (CRL) si è diffuso il concetto di Human Readiness Level (HRL), dedicato all’accettabilità e alla facilità d’uso da parte dei professionisti sanitari nonché alla sicurezza dell’interazione tra uomo e macchina.
In parallelo, il Regulatory Readiness Level (RRL) tiene traccia del completamento della documentazione tecnica, mentre il Manufacturing Readiness Level (MRL) valuta la capacità di passare dalla prototipazione artigianale alla produzione industriale stabile.
Nel biomedicale, dunque, una tecnologia può dirsi “pronta” solo quando tutti questi livelli avanzano insieme.
In ambito aerospaziale, dove il TRL è nato, misurare la maturità tecnologica è una prassi consolidata. Un componente non viene mai integrato in una missione se non ha raggiunto almeno TRL 6 o 7, cioè la dimostrazione in ambiente operativo. Ma qui il problema non è solo tecnico: anche la perfetta funzionalità di un singolo sistema non garantisce il successo di una missione complessa.

Per questo è nato l’Integration Readiness Level (IRL), che misura la capacità di diversi sottosistemi di lavorare insieme senza conflitti. In molti casi, infatti, le tecnologie falliscono non per difetti intrinseci, ma per mancanza di integrazione. Un esempio recente è il programma Starliner di Boeing: tra il 2023 e il 2024 test e certificazioni aggiuntive per paracadute e cablaggi hanno ritardato il volo con equipaggio. Non era un problema di TRL, ma di integrazione tra sistemi — esattamente ciò che misura l’IRL.

Nel settore nautico, la readiness assume una dimensione concreta. Gli yacht di nuova generazione combinano propulsioni ibride, materiali compositi e sistemi digitali per migliorare efficienza e sostenibilità. Ma la vera prontezza dipende dall’intera filiera: cantieri, porti e infrastrutture devono essere in grado di supportare le nuove tecnologie.

Gli enti di classificazione come DNV, Lloyd’s Register e RINA misurano oggi anche la maturità infrastrutturale e di mercato delle innovazioni. DNV, con la notazione “Fuel Ready”, certifica la predisposizione delle navi all’uso di combustibili alternativi come metanolo o ammoniaca, per ridurre il rischio di obsolescenza (DNV, 2021).
Lloyd’s Register promuove i biocarburanti HVO, capaci di ridurre le emissioni senza modifiche strutturali ai motori (Lloyd’s Register, 2025).
RINA ha introdotto la notazione “Green Plus Yacht”, basata su criteri di carbon footprint e ciclo di vita, per premiare i cantieri più sostenibili (RINA, 2024).

In un mercato ad alto valore, introdurre innovazioni premature può significare ritardi, costi imprevisti o perdita di fiducia. Misurare la readiness, qui, significa proteggere sicurezza, investimenti e reputazione.

Da questi mondi così diversi emerge un messaggio unico: un’innovazione è davvero matura solo se è integrata, sicura, regolata e accettata.

Eppure misurare la maturità di un’innovazione non basta: bisogna saperla comunicare, dimostrare e condividere. Ed è qui che la trasparenza diventa l’ultimo, e più importante, livello di readiness.

La trasparenza come maturità finale

Misurare la readiness non serve solo a stabilire se una tecnologia funziona: serve a costruire fiducia.
Oggi la parola “innovazione” è abusata, e dichiarare con chiarezza a che punto si trova un progetto è un atto di responsabilità verso investitori, regolatori e cittadini. La trasparenza diventa l’ultimo livello di readiness.

Le grandi agenzie internazionali lo hanno capito da tempo. La NASA, l’ESA e la Commissione Europea usano da anni i livelli di maturità tecnologica per orientare i finanziamenti e valutare il rischio dei progetti.
Nel settore sanitario, la Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) stanno aprendo sempre più i propri processi decisionali: la pubblicazione delle Complete Response Letters è un passo decisivo verso una cultura della trasparenza che premia la qualità dei dati e scoraggia l’approssimazione.
Anche nel settore navale e aerospaziale, classificare pubblicamente la maturità delle tecnologie emergenti aiuta a rassicurare clienti, armatori e operatori che le scelte adottate siano realmente sicure e sostenibili.

Ma la trasparenza non riguarda solo le metriche o i dossier tecnici.
Riguarda la dimensione etica e sociale dell’innovazione. Indici sperimentali come l’Ethical Readiness Level (ERL) nascono proprio per valutare la coerenza delle nuove tecnologie con i valori collettivi di sicurezza, equità e sostenibilità.
Oggi una comunità scientifica, un’azienda o un ente pubblico non possono più permettersi di innovare “a porte chiuse”: il modo in cui si comunica la maturità di un progetto è parte integrante della sua legittimazione sociale.

In questo senso, la readiness non è solo una misura tecnica, ma una forma di onestà intellettuale.
Dichiarare dove si è — e quanto resta da fare — significa rendere l’innovazione verificabile, affidabile e, soprattutto, condivisibile.

La maturità, in fondo, non è un traguardo tecnologico, ma una forma di responsabilità: dichiarare dove si è e cosa resta da fare è il primo passo per trasformare la promessa in progresso.

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Data di pubblicazione: 5 Novembre 2025

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