Abstract
Utilizzare un software in modalità SaaS (Software as a Service) significa affidarsi a un servizio in continua evoluzione: il programma è sempre online, sempre aggiornato, sempre “presente”. Ma cosa accade quando il fornitore smette di aggiornare quel software? Quando il servizio si blocca nel tempo, mentre il mondo va avanti? Non si tratta solo di un fastidio tecnico. È un tema legale, concreto, che riguarda il rispetto degli obblighi contrattuali. In questo contributo, lo analizziamo con equilibrio e rigore, offrendo una guida pratica per capire cosa prevede la legge, cosa può fare il cliente e come prevenire queste situazioni.
SaaS: non solo accesso, ma garanzia di continuità
Nel contratto Saas il cliente non acquista il software, ma ne ottiene l’uso, per un periodo di tempo e alle condizioni stabilite. L’accesso è remoto, la proprietà resta al fornitore, ma la disponibilità e la funzionalità del software sono promesse essenziali.
Chi sceglie un software SaaS non compra un prodotto, ma entra in una relazione continuativa, basata sull’idea che il servizio sarà mantenuto efficiente, sicuro e aggiornato.
Il fornitore, da parte sua, si impegna non solo a garantire il funzionamento quotidiano del software, ma anche ad aggiornarlo regolarmente, a intervenire in caso di malfunzionamenti e a custodire i dati del cliente in modo corretto. A regolare tutto ciò ci sono solitamente i cosiddetti SLA (Service Level Agreement) che fissano tempi di intervento, livelli di disponibilità del servizio e modalità di assistenza.
Finché tutto funziona, questi aspetti sembrano marginali. Ma quando qualcosa si rompe – e in particolare quando il software smette di essere aggiornato – quei dettagli diventano decisivi.
Quando “non aggiornare” significa “non rispettare il contratto”
Quando sottoscrivi un contratto SaaS, non stai semplicemente pagando per usare un software. Stai acquistando un servizio che deve funzionare nel tempo, restare aggiornato, sicuro, compatibile con i sistemi e conforme alle normative.
Secondo il codice civile, chi si impegna a fare qualcosa e non lo fa o non lo fa nel modo corretto è responsabile dell’inadempimento e può essere chiamato a rispondere dei danni. Questo principio si applica anche ai contratti SaaS: se il fornitore smette di aggiornare il software senza motivo, sta violando il contratto.
In questi tipi di contratto, il software non può essere paragonato a un prodotto “finito”, trattandosi invece di una prestazione continuativa. Non basta che funzioni al momento dell’attivazione, ma deve continuare a farlo. Se non viene aggiornato, infatti, diventa prima poco efficace, poi rischioso e, infine, inutilizzabile. In quel momento, non stai più ricevendo ciò per cui stai pagando.
In sintesi, se un fornitore smette di aggiornare un software SaaS senza giustificazioni e senza offrire una valida alternativa, non sta più adempiendo ai propri obblighi contrattuali. E questo dà al cliente una serie di strumenti per tutelarsi: può agire per ottenere gli aggiornamenti oppure liberarsi dal contratto e chiedere un risarcimento, se ne ha subito un danno.
Cosa succede quando il software si “blocca”? Tribunale di Venezia (n. 1484/2023)
Una recente sentenza del Tribunale di Venezia (n. 1484/2023) ha affrontato una vicenda che evidenzia in modo chiaro quali possano essere le conseguenze giuridiche quando un fornitore di software in modalità SaaS non è in grado di garantire il mantenimento e l’aggiornamento del servizio.
Il contratto prevedeva la fornitura, tramite portale e applicazione mobile, di una piattaforma che consentisse alla clientela finale di accedere a informazioni digitali legate a prodotti fisici. Tuttavia, a distanza di poche mesi dalla sottoscrizione, il servizio ha iniziato a manifestare gravi disfunzioni tecniche, tra cui l’impossibilità di associare correttamente le immagini ai prodotti commercializzati. Le segnalazioni da parte della società cliente sono state numerose, ma il problema è rimasto irrisolto.
Tuttavia, non si trattava di un semplice caso di software difettoso. Ma il punto era un altro, per certi versi più grave. La società che forniva il servizio non era in grado di aggiornarlo né di correggerlo, perché non disponeva più dei codici sorgente, delle credenziali, degli strumenti di sviluppo. Tutti elementi che avrebbero permesso di garantire quella continuità operativa che, nei contratti SaaS, non è un optional, ma parte essenziale della prestazione.
La società fornitrice si è così trovata nell’impossibilità materiale di adempiere agli obblighi contrattuali assunti verso il cliente, che nel frattempo ha deciso di risolvere il contratto. Il Tribunale ha ritenuto fondata la domanda risarcitoria, riconoscendo sia un danno economico diretto – per i costi sostenuti e i guadagni persi – sia un danno all’immagine commerciale per la perdita di un rapporto strategico.
Questa pronuncia ribadisce un principio importante: nei contratti SaaS, la prestazione del fornitore non si esaurisce nella consegna iniziale del software, ma comprende l’intera gestione della continuità del servizio. La mancata possibilità di aggiornare, manutenere o correggere il software – anche se derivante da carenze organizzative interne – può costituire un inadempimento contrattuale rilevante, con le conseguenze che la legge prevede.
Prevenire è sempre meglio: cosa deve prevedere il contratto SaaS
Molti dei problemi che nascono con i contratti SaaS – soprattutto quando il fornitore smette di aggiornare il software o il servizio comincia a non funzionare adeguatamente – si possono evitare semplicemente mettendo le cose in chiaro fin dall’inizio. E questo significa scrivere un contratto che funzioni, non solo sulla carta, ma anche nella realtà operativa.
Per prima cosa, è fondamentale che l’obbligo di aggiornare il software sia previsto espressamente. Il contratto deve specificare con quale frequenza saranno rilasciati gli aggiornamento, quali tipi di aggiornamenti sono inclusi (funzionali, di sicurezza, normativi), e come verranno comunicati e gestiti.
Un altro punto chiave riguarda gli SLA (Service Level Agreement), vale a dire gli accordi sui livelli di servizio. Spesso vengono considerati un’aggiunta, ma in realtà sono una parte essenziale del contratto, in quanto servono a misurare la qualità effettiva del servizio. È necessario specificare per quanto tempo il software sarà effettivamente accessibile, in quanto tempo saranno risolti i problemi, come funzionerà l’assistenza e in che orari sarà disponibile.
E se qualcosa va storto? In quel caso può essere molto utile che il contratto preveda una clausola risolutiva espressa. Le parti stabiliscono fin da subito che, se si verifica un certo tipo di disservizio grave (come la mancata manutenzione per un tempo prolungato), il contratto può considerarsi terminato. Si tratta di un modo semplice ed efficace per evitare contenziosi e liberarsi da un servizio che non funziona più.
C’è poi un ultimo aspetto che spesso viene trascurato, ma che è fondamentale: la gestione della fine del contratto, cioè cosa accade quando il rapporto termina. Il contratto dovrebbe spiegare chiaramente come saranno restituiti i dati del cliente, in che formato, entro quanto tempo, e con quali garanzie. Senza queste indicazioni, il rischio è di restare bloccati o, peggio, perdere dati importanti.
Le azioni a disposizione del cliente
Quando ci si accorge che il fornitore ha smesso di aggiornare il software, è importante non rimanere fermi ad aspettare. Anche se la tentazione può essere quella di “vedere come va”, il rischio è che il disservizio peggiori e diventi difficile da contestare in modo efficace. Per questo, il primo passo da fare è sempre quello della comunicazione formale.
Il cliente dovrebbe inviare una diffida scritta, cioè un documento chiaro e puntuale in cui spiega che il servizio ricevuto non è più conforme a quanto previsto dal contratto. Nella diffida si può chiedere al fornitore di intervenire entro un termine ragionevole per ripristinare la regolarità del servizio, specificando la natura del problema e le conseguenze concrete che si stanno subendo. Questa comunicazione va fatta con PEC o raccomandata in modo da avere prova certa dell’invio e del contenuto. Si tratta di un atto strategico, che serve anche a dimostrare la buona fede del cliente e a mettere in mora il fornitore.
Se non arriva una risposta fattiva, oppure se il fornitore nega la responsabilità o continua ignorare il problema, allora si può valutare la risoluzione del contratto. In alcuni casi, come detto, la possibilità di risolvere il rapporto è prevista nello stesso contratto, mediante la clausola risolutiva espressa.
Inoltre, è sempre possibile agire in giudizio al fine di chiedere al giudice di accertare l’inadempimento e dichiarare risolto il contratto.
Naturalmente, in sede giudiziale, potrà essere richiesto anche il risarcimento dei danni subiti. Se il disservizio ha avuto conseguenze economiche – come la perdita di dati, l’interruzione di un’attività, un danno reputazionale o la rottura di rapporti commerciali – il cliente può chiedere il risarcimento. Naturalmente, sarà necessario dimostrare l’effettivo pregiudizio, anche con l’aiuto di documentazione, dati, testimonianze o perizie tecniche.
Un altro diritto fondamentale è quello alla portabilità dei dati. Se il contratto si chiude, il cliente ha diritto a ricevere i propri dati in un formato leggibile, completo, riutilizzabile. Si tratta di una garanzia minima che il fornitore deve rispettare.
In conclusione, il cliente non è mai senza strumenti. Se il servizio non funziona più, se il software non viene aggiornato, se il rapporto si è incrinato, è possibile agire. Con la dovuta attenzione, con la consulenza giusta e con una buona documentazione, si possono difendere i propri diritti e rimettere le cose in ordine.
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Data di pubblicazione: 14 Maggio 2025
Ultimo aggiornamento: 15 Giugno 2025
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Margherita Manca
Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale.