Abstract
Nel marketing e nella scrittura persuasiva si fa spesso affidamento su formule preconfezionate come AIDA, PAS o PASTOR. Ma il cervello umano non ragiona in sequenza: le neuroscienze dimostrano che attenzione, desiderio e azione si attivano in parallelo, in modi spesso inconsci. Questo articolo esplora i limiti delle cosiddette “formule magiche” del copywriting nella comunicazione d’impresa e propone una riflessione fondata su studi scientifici, bias cognitivi e dinamiche reali del processo decisionale. Perché scrivere per persuadere non significa seguire uno schema, ma capire davvero come funziona la mente di chi legge.
AIDA, PAS, BAB, FAB, PASTOR
Come studio legale che si occupa quotidianamente anche di tutela della comunicazione d’impresa, sappiamo bene quanto sia importante distinguere tra strumenti realmente efficaci e scorciatoie che promettono risultati facili. È proprio da questo punto di vista che oggi analizziamo le cosiddette “formule magiche” del copywriting.
Nel marketing e nella scrittura persuasiva, infatti, si fa spesso ricorso a formule di copywriting preconfezionate, identificate da acronimi come AIDA (Attention, Interest, Desire, Action), PAS (Problem, Agitate, Solution), BAB (Before, After, Bridge), FAB (Features, Advantages, Benefits) e PASTOR (Problem, Amplify, Story/Transformation, Offer, Response).
Si tratta di schemi narrativi standardizzati, pensati per accompagnare il lettore lungo un percorso presuntivamente persuasivo.
Il più celebre è AIDA, teorizzato addirittura nel 1898 da E. St. Elmo Lewis come struttura per la pubblicità commerciale.
In uno dei suoi scritti pubblicati su The Inland Printer, Lewis sosteneva che un annuncio efficace dovesse prima attirare l’attenzione, poi suscitare interesse, creare desiderio e infine indurre all’azione.
Facciamo quindi un esempio attuale, applicato a un prodotto ipotetico: un corso online per migliorare l’eloquenza.
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AIDA (Attention–Interest–Desire–Action):
Attention: “Hai mai avuto paura di parlare in pubblico?”
Interest: “Succede anche ai migliori. Ma esiste un metodo per superare quella paura.”
Desire: “Con il nostro corso online, grazie a tecniche comprovate ed efficaci, potrai cominciare a parlare in pubblico con disinvoltura.”
Action: “Iscriviti oggi stesso: i posti per la prova gratuita sono limitati.”
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All’epoca, l’intenzione di condurre progressivamente il potenziale cliente verso l’acquisto secondo una logica sequenziale appariva rivoluzionaria.
Da allora, questi modelli si sono moltiplicati, diventando una sorta di grammatica di base per chi lavora nel marketing.
Ecco altri esempi:
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PAS (Problem–Agitate–Solution):
Problem: “Vai nel panico quando devi parlare in pubblico?”
Agitate: “Quell’ansia ti blocca la carriera, ti fa perdere opportunità.”
Solution: “Con il nostro corso di public speaking, comincerai a parlare in pubblico con disinvoltura in sole 4 settimane.”
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BAB (Before–After–Bridge):
Before: “Sei uno speaker timido e ansioso?”
After: “Vuoi diventare più sicuro e coinvolgente?”
Bridge: “Il nostro corso di public speaking ti trasformerà nella persona più interessante della stanza.”
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FAB (Features–Advantages–Benefits):
Feature: “Public speaking: lezioni video + esercizi guidati.”
Advantage: “Puoi imparare quando vuoi, nel tuo tempo libero.”
Benefits: “Così guadagni fiducia, poco a poco — e senza parole ci resteranno i tuoi colleghi.”
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PASTOR (Problem–Amplify–Story–Transformation–Offer–Response):
Problem: “Hai paura di parlare in pubblico?”
Amplify: “L’ansia non va sottovalutata, perché può danneggiare la tua carriera.”
Story/Transformation: “Anna era come te: in solo un mese ha superato la paura e ora si muove disinvolta, guida presentazioni con successo.”
Offer: “Approfitta dello sconto del 20 %, valido fino al 15 settembre.”
Response: “Clicca qui per iscriverti subito.”
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Certamente, leggendo questi annunci, starete provando una profonda sensazione di déjà vu.
Del resto, sono gli schemi più utilizzati dai copywriter del marketing.
Ma la vera domanda è: si può essere sicuri che questi strumenti, queste “formule magiche”, siano realmente efficaci?
Hai questo problema? Ecco la soluzione. Comprala.
Uno studio di vent’anni fa – del 1999 – firmato da Vakratsas e Ambler, intitolato Come funziona davvero la pubblicità: cosa sappiamo veramente? (How Advertising Works: What Do We Really Know?), analizzò oltre 250 tra articoli accademici e libri per rispondere a una domanda fondamentale: in che modo la pubblicità influenza davvero il comportamento del consumatore?
Gli autori classificarono i modelli teorici esistenti secondo una tassonomia precisa, distinguendo tra modelli cognitivi, affettivi, basati sull’esperienza, modelli gerarchici, integrativi e perfino “senza gerarchia”. A partire da questa analisi, elaborarono cinque generalizzazioni. La più rilevante, per chi ancora si affida a formule come AIDA, è questa: non esiste alcuna sequenza universale degli effetti pubblicitari. Le risposte del consumatore non seguono un ordine fisso – ad esempio prima pensare, poi sentire, poi agire – ma dipendono da una combinazione simultanea di tre dimensioni: Cognizione (C), Affetto (A) ed Esperienza (E).
Per descrivere questa complessità, gli autori proposero un modello spaziale tridimensionale, in cui ogni pubblicità può essere mappata in base al “peso” relativo che attiva su ciascuna delle tre dimensioni. In questa prospettiva, l’efficacia non dipende dalla sequenza degli stimoli, ma dalla composizione e dall’intensità degli effetti generati, in funzione del contesto.
Di conseguenza, le formule classiche come AIDA o PAS possono avere valore operativo solo se sono usate con flessibilità, come strumenti da calibrare, non come leggi generali.
Lo dimostra anche un noto fenomeno di percezione selettiva: la banner blindness. Si tratta di un comportamento appreso, secondo cui gli utenti imparano a ignorare tutto ciò che assomiglia a pubblicità, anche quando non lo è davvero.
In uno studio condotto nel 2018 da Kara Pernice per il Nielsen Norman Group, 26 partecipanti sono stati osservati tramite eye-tracking mentre cercavano informazioni utili su diverse pagine web. Il risultato? Nonostante molti contenuti fossero tecnicamente visibili, gli utenti non li guardavano affatto, se collocati in aree tipiche degli annunci (come la parte alta o destra della pagina), o se avevano un aspetto “grafico”, animato, o “diverso” dal contesto visivo della pagina.
Un esempio concreto: su una pagina del sito Apartment Therapy, contenuti informativi rilevanti posti accanto a banner pubblicitari sono stati completamente ignorati. Gli utenti, una volta identificata una sezione come “zona pubblicitaria”, evitavano di tornarci, anche quando vi erano presenti elementi utili — un comportamento che lo studio definisce “effetto patata bollente”: uno spazio visivo da evitare appena percepito come irrilevante.
In altre parole: il nostro cervello non legge tutto, ma filtra ciò che appare scontato o non rilevante per il compito che stiamo svolgendo. E lo fa automaticamente.
Intuito, ragionamento ed emozioni
Nel saggio Thinking, Fast and Slow (2011), Daniel Kahneman distingue due modalità fondamentali del pensiero umano: il Sistema 1, rapido, automatico e impulsivo, e il Sistema 2, lento, riflessivo e deliberato.
Il Sistema 1 è attivo in modo costante: formula giudizi immediati, riconosce schemi familiari, reagisce con efficienza ma anche con leggerezza. Il Sistema 2, invece, entra in gioco solo quando serve sforzo cognitivo: controlla, verifica, calcola, ma è dispendioso in termini di energia mentale.
Kahneman dimostra che la maggior parte delle decisioni, comprese quelle economiche o di consumo, è dominata dal Sistema 1, mentre il Sistema 2 tende piuttosto a giustificare a posteriori decisioni già prese in modo intuitivo.
È una scoperta che rovescia molte assunzioni tradizionali: non ragioniamo prima di scegliere — spesso scegliamo prima di ragionare.
Questo modello spiega perché le formule persuasive basate su sequenze razionali (prima pensi, poi senti, poi agisci) non reggono all’analisi scientifica: non riflettono il modo in cui la mente funziona davvero.
Il modello dei due sistemi proposto da Kahneman aiuta a comprendere perché le decisioni vengano spesso prese in modo intuitivo, prima ancora che razionale. Ma cosa ci fa scattare davvero? Cosa porta il Sistema 1 ad attivarsi e a selezionare alcuni stimoli invece di altri?
Una risposta fondamentale viene dal concetto di salienza emotiva: la qualità di alcuni stimoli di catturare l’attenzione e restare impressi nella memoria, proprio perché percepiti come emotivamente rilevanti.
Non si tratta solo di quanto uno stimolo è emotivo, ma di che tipo di emozione suscita e con quale intensità.
Per approfondire questo meccanismo, Elizabeth Kensinger e Suzanne Corkin (MIT) hanno condotto uno studio, pubblicato su PNAS nel 2004, in cui hanno osservato l’attività cerebrale di soggetti esposti a parole con valenza negativa, suddivise in due categorie:
- negative arousing (es. stupro, massacro),
- negative non arousing (es. lutto, mancanza), e parole neutre come gruppo di controllo.
L’obiettivo era capire quali circuiti neurali si attivano durante la formazione del ricordo, e come il tipo di stimolo ne condizioni l’efficacia.
I risultati hanno mostrato con chiarezza che non tutte le emozioni attivano la memoria allo stesso modo:
- Gli stimoli fortemente arousing attivano un circuito amigdala–ippocampo, che rafforza la memorizzazione in modo automatico, anche quando l’attenzione è parzialmente occupata da un altro compito.
- Gli stimoli emotivi ma meno intensi, invece, attivano un circuito corteccia prefrontale–ippocampo, ma solo se il soggetto può elaborare consapevolmente il contenuto. In questi casi, il ricordo dipende da uno sforzo attivo, come l’associazione autobiografica o la rielaborazione semantica.
In sintesi, non tutte le emozioni producono lo stesso effetto sulla memoria, e questo dipende da quale tipo di rete cognitiva viene attivata. Se il messaggio è altamente saliente, può essere registrato anche in automatico. Se invece è solo “rilevante”, ma non intenso, ha bisogno di essere elaborato attivamente.
Come generare attenzione e desiderio
Le formule persuasive come AIDA presuppongono un percorso ordinato e consapevole: prima si cattura l’attenzione, poi si genera interesse, si stimola il desiderio e infine si ottiene l’azione.
Ma ormai sappiamo con certezza che il cervello non lavora così. Non sempre, e soprattutto non in modo lineare.
Uno studio pubblicato nel 2017 su Cogent Psychology, intitolato On the hierarchy of choice: An applied neuroscience perspective on the AIDA model, firmato da Montazeribarforoushi, Keshavarzsaleh e Ramsøy, mette in discussione le fondamenta neurocognitive dello schema AIDA.
Gli autori evidenziano che le quattro fasi del modello AIDA non sono né autonome né sequenziali, ma profondamente interconnesse e simultanee, gestite da sistemi neurali paralleli.
In particolare, ogni fase (attenzione, interesse, desiderio, azione) esiste in due modalità cognitive:
- una automatica e inconscia (Au, Iu, Du, Au),
- una deliberata e consapevole (Ac, Ic, Dc, Ac).
L’attenzione, ad esempio, non è solo diretta volontariamente verso uno stimolo interessante (top-down), ma è anche catturata passivamente da stimoli salienti (bottom-up), come un suono improvviso, un volto noto o un rischio percepito.
A livello neurologico, sono coinvolte aree diverse: amigdala, corteccia prefrontale dorsolaterale, nucleus accumbens, a seconda che si tratti di attivazioni intuitive o razionali.
L’interesse e il desiderio, nella prospettiva neurocognitiva, non sono fasi distinte, ma espressioni diverse dello stesso sistema motivazionale.
Quando uno stimolo è percepito come rilevante, l’interesse e il desiderio emergono insieme, attivati dalla stessa rete dopaminergica che media la gratificazione e l’anticipazione del piacere.
Infine, l’azione — o decisione — può avvenire prima ancora che il soggetto se ne renda conto. Alcuni studi citati dagli autori dimostrano che, a livello neurologico, la risposta comportamentale si innesca in anticipo rispetto alla consapevolezza soggettiva della scelta. È un’ulteriore conferma che il Sistema 1 di Kahneman precede e spesso guida il Sistema 2.
Per rappresentare tutto ciò, gli autori propongono una riformulazione neurocompatibile del modello AIDA, articolata su due percorsi paralleli:
- Au → Iu → Du → Au: il ciclo delle reazioni automatiche
- Ac → Ic → Dc → Ac: il ciclo delle scelte consapevoli
Questi percorsi non si escludono, ma si integrano: un messaggio ben costruito dovrebbe attivare entrambi, parlando alla parte impulsiva ed emotiva, ma anche a quella riflessiva e razionale del cervello.
A completare il quadro, altri due contributi fondamentali aiutano a comprendere perché una comunicazione davvero efficace non possa ridursi a uno schema fisso.
Il primo è lo studio Bad is stronger than good di Baumeister et al. (2001) sul cosiddetto bias di negatività, secondo cui gli eventi negativi hanno un impatto maggiore sulla mente rispetto a quelli positivi, sia a livello emotivo che mnemonico.
Questo spiega perché i messaggi fondati su urgenza, perdita o rischio siano spesso più potenti di quelli basati su opportunità o guadagno. Ma rafforzare l’efficacia comunicativa attraverso la negatività richiede equilibrio, altrimenti si rischia di compromettere la coerenza del messaggio, come dimostrano anche le ricerche sulla disgregazione della memoria episodica.
Il secondo è il lavoro di Robert Cialdini sul funzionamento delle scorciatoie mentali automatiche. Nel suo libro Influence: Science and Practice, Cialdini identifica sei principi universali della persuasione — reciprocità, coerenza, riprova sociale, simpatia, autorità e scarsità — che le persone utilizzano in modo automatico per decidere rapidamente in ambienti complessi (vedi anche: “L’effetto pecora” su LinkedIn: quando l’autorevolezza serve a drogare il consenso).
Ma questi principi non sono fasi, né funzionano sempre. Sono leve psicologiche che interagiscono tra loro, e la loro efficacia dipende dal contesto, dal destinatario e dal momento.
Insomma, le formule persuasive vanno conosciute, ma non venerate.
Scrivere testi efficaci significa approfondire, stupire, testare, indagare la mente umana, non solo seguire uno schema.
© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 16 Settembre 2025
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Martina Di Molfetta
Laureanda in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità presso l'Università degli studi di Pavia.