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Transfer Pricing intragruppo: che cos’è e cosa rischia chi lo sottovaluta

Pubblicato in: Business
di Giuseppe Ben Messaoud
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Nel business globale di oggi, i processi produttivi e distributivi spesso superano i confini nazionali, mettendo le imprese di fronte a regole fiscali in continua evoluzione. In questo scenario, il transfer pricing non è solo un adempimento tecnico, ma uno strumento essenziale per gestire le strategie d’impresa a livello internazionale. Questo articolo spiega cos’è, come funziona e perché una gestione errata può esporre l’azienda a contestazioni fiscali e sanzioni significative.

Transfer pricing: che cos’è e perché impatta sulla fiscalità delle imprese

Quando una società fa parte di un gruppo internazionale, i rapporti con le altre imprese del gruppo non sono “interni” nel senso che spesso si pensa. Se le sedi sono in Paesi diversi, ogni scambio di beni, servizi, finanziamenti o diritti immateriali tra consociate è una vera e propria operazione economica rilevante per il fisco. Ed è qui che entra in gioco il transfer pricing, o “prezzo di trasferimento”: la regola che stabilisce a quale prezzo queste operazioni devono essere effettuate.

Per evitare operazioni fiscalmente elusive, ogni transazione infragruppo deve rispettare il principio di libera concorrenza (arm’s length principle), secondo cui i prezzi applicati tra imprese dello stesso gruppo devono essere gli stessi che si applicherebbero con un soggetto terzo indipendente. In sostanza, se una consociata italiana vende un componente elettronico a una sede del gruppo situata, ad esempio, in Irlanda (dove l’imposta sulle società è al 12,5%), non può farlo a un prezzo “di comodo” solo per abbassare la tassazione complessiva del gruppo.

Questa regola non è un principio vago, ma è sancita sia dalle Linee Guida OCSE sia dalla legge italiana. L’articolo 110, comma 7, del TUIR prevede che i componenti di reddito derivanti da operazioni con imprese estere del gruppo siano determinati secondo il valore normale, cioè alle condizioni di mercato. La logica è semplice: impedire che il profitto venga “spostato” artificialmente in Paesi dove si pagano meno tasse, a scapito del gettito fiscale dei Paesi ad alta imposizione.

Nella pratica, le situazioni in cui si applica il transfer pricing sono numerose e molto diverse tra loro. Tra le più frequenti troviamo:

  • Vendita di beni tra consociate, ad esempio semilavorati, componenti o prodotti finiti destinati ad altri stabilimenti del gruppo;
  • Prestazione di servizi intragruppo, come supporto IT, consulenza gestionale, marketing centralizzato o R&D condivisa;
  • Concessione di finanziamenti infragruppo, dove è necessario definire un tasso d’interesse coerente con quello di mercato;
  • Trasferimento di beni immateriali, come marchi, brevetti o know-how, il cui valore spesso è difficile da determinare oggettivamente (vedi anche Valutazione Beni Immateriali – Canella Camaiora).

In tutti questi casi, la determinazione del prezzo di trasferimento ha implicazioni fiscali dirette e può influenzare i margini di profitto, l’equilibrio economico tra le sedi e la posizione fiscale complessiva del gruppo. Per questo motivo, il transfer pricing non è solo una questione fiscale, ma un vero e proprio strumento di governance aziendale, che merita attenzione, competenza e visione d’insieme.

Perché il transfer pricing è una scelta aziendale, non solo un problema fiscale

Gestire il transfer pricing non significa semplicemente “non sbagliare” i prezzi tra le sedi estere. Significa, più in profondità, decidere come allocare il valore creato dal gruppo tra i diversi Paesi in cui in cui lo stesso opera. È una decisione tecnica, certo, ma con conseguenze fiscali, gestionali e persino reputazionali.

Quando un’impresa stabilisce i prezzi dei beni o servizi scambiati tra le consociate, sta anche decidendo dove si generano gli utili, e quindi dove andranno tassati. Un prezzo troppo basso o troppo alto può modificare radicalmente i risultati di bilancio di una sede estera, con effetti a cascata sul carico fiscale complessivo del gruppo. 

Un esempio concreto: se una sede in Italia fornisce servizi di progettazione a una consociata in Svizzera che realizza il prodotto finito, chi sta davvero creando valore? Se il compenso che la Svizzera paga all’Italia non riflette il reale contributo, l’Italia potrebbe trovarsi con una marginalità ridotta e una fiscalità “sotto-rappresentata”. Una gestione oculata del transfer pricing serve anche a riconoscere il merito economico di ciascuna entità del gruppo.

Un altro aspetto strategico riguarda la flessibilità finanziaria

In momenti di tensione sui mercati o di variazione dei cambi, una politica di transfer pricing ben strutturata può aiutare a gestire i flussi di cassa tra le sedi, senza violare i limiti imposti dalle normative fiscali. È anche un modo per coordinare le funzioni centrali, come IT, marketing o R&D, evitando che diventino centri di costo opachi.

Definire in anticipo le logiche di prezzo, documentarle e mantenerle coerenti nel tempo aiuta a ridurre il rischio di contestazioni fiscali, che spesso arrivano a distanza di anni. In sintesi, il transfer pricing è un esercizio di buona governance aziendale: anticipare i problemi, non subirli.

Cosa rischia un'impresa e come può tutelarsi: sanzioni e penalty protection

Il timore principale delle imprese, quando si parla di transfer pricing, non è tanto il principio in sé, quanto le conseguenze concrete in caso di contestazione. Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che i prezzi applicati tra due società del gruppo – situate in Stati diversi – non riflettano il cosiddetto “valore normale”, ha il potere di rettificare il reddito imponibile. In pratica, può ricalcolare gli utili che avrebbero dovuto essere dichiarati in Italia e richiedere imposte aggiuntive.

Ma non finisce qui. Alla maggiore imposta accertata si aggiunge una sanzione pari al 90% dell’importo contestato. Un’azienda potrebbe quindi trovarsi a pagare il doppio rispetto a quanto aveva originariamente previsto, senza considerare interessi, spese di difesa e potenziali danni reputazionali.

Per ridurre drasticamente questo rischio, la normativa italiana offre una via di tutela nota come penalty protection. Introdotta dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 23 novembre 2020, consente all’impresa di evitare le sanzioni se dimostra di aver predisposto correttamente la documentazione sui prezzi di trasferimento. Ma attenzione: non basta aver “parlato” di transfer pricing. Serve una documentazione formale, coerente e aggiornata.

In particolare, occorre predisporre due documenti: il Masterfile, che descrive il gruppo multinazionale nel suo complesso, e la Documentazione Nazionale, focalizzata sulle operazioni della società italiana. Entrambi devono essere tenuti a disposizione dell’Amministrazione finanziaria e consegnati su richiesta entro 20 giorni. Solo in tal caso, la penalty protection sarà effettivamente riconosciuta.

In definitiva, chi gestisce un’impresa con sedi estere dovrebbe considerare la documentazione di transfer pricing non come una “carta in più”, ma come una vera assicurazione fiscale preventiva. In uno scenario normativo sempre più attento e digitalizzato, non essere preparati può costare molto più che essere trasparenti

Come costruire una strategia di transfer pricing solida, efficace e difendibile

Affrontare il transfer pricing con un approccio superficiale espone le imprese a rischi evitabili. Al contrario, una strategia ben impostata consente non solo di essere conformi alle normative, ma anche di gestire in modo più efficiente le relazioni economiche tra le società del gruppo, soprattutto nei contesti internazionali più esposti a controlli fiscali incrociati.

Per implementare una strategia di transfer pricing davvero efficace, è utile seguire alcuni passaggi fondamentali:

  • Mappare con precisione la struttura del gruppo e le transazioni infragruppo, individuando le operazioni più significative sotto il profilo economico e fiscale. Questa fase è la base per ogni successiva valutazione.
  • Applicare correttamente il principio di libera concorrenza, adottando metodi riconosciuti a livello internazionale (ad esempio, quelli indicati dalle Linee Guida OCSE) per determinare prezzi allineati al mercato.
  • Predisporre una documentazione completa e coerente, capace di dimostrare in modo chiaro la logica economica e fiscale delle scelte adottate.
  • Monitorare in modo costante le evoluzioni normative internazionali, per aggiornare tempestivamente le politiche di transfer pricing e mantenerle allineate agli standard richiesti nei diversi Paesi in cui opera il gruppo.

Va tenuto presente che ogni gruppo societario presenta specificità proprie: differenze settoriali, struttura organizzativa, localizzazione delle funzioni strategiche. Per questo, affidarsi a professionisti esperti in materia di transfer pricing può fare la differenza tra una documentazione formalmente corretta e una strategia realmente difendibile in caso di verifica. In un contesto normativo sempre più scrutato e digitalizzato, l’improvvisazione non è un’opzione.

© Canella Camaiora Sta. Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 16 Aprile 2025

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Giuseppe Ben Messaoud

Dott. Giuseppe Ben Messaoud. Laureato in economia e finanza presso l’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano.
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