Abstract
“Estratto a freddo”, “origine italiana”, “campagna olearia”. Termini familiari, ma spesso poco compresi. Nell’olio extravergine d’oliva, ogni parola sull’etichetta è un’informazione giuridicamente rilevante, che parla di qualità, tracciabilità e legalità.
In questo articolo esploriamo le diciture più diffuse, e più delicate, per capire quando sono vere, quando sono obbligatorie e quando rischiano di diventare strumenti di marketing ingannevole. Perché dietro ogni etichetta c’è molto più di una promessa: c’è un patrimonio da tutelare.
Un’etichetta che vale oro: conoscere le regole è (anche) una forma di tutela
Una bottiglia di olio extravergine di oliva può sembrare un prodotto semplice. Eppure, dietro ogni termine si cela un universo di norme, controlli e significati che vanno ben oltre la grafica curata o le promesse del marketing. In un mercato globale in cui l’olio d’oliva è spesso oggetto di sofisticazioni, evocazioni ingannevoli e operazioni di rebranding, conoscere le regole che ne disciplinano l’etichettatura non è solo un esercizio da tecnici o esperti di settore. È un atto di consapevolezza, di difesa della qualità e, per le aziende, di autentica strategia competitiva.
Negli articoli precedenti abbiamo visto come l’olio extravergine, pur essendo uno dei prodotti più celebrati del made in Italy, sia anche uno dei più falsificati e fraintesi (si veda bibliografia in calce). Proprio per questo, il legislatore europeo ha creato una rete articolata di obblighi informativi che confluisce in un punto preciso e facilmente accessibile: l’etichetta. Non un semplice adesivo, ma uno spazio giuridico in cui si concentrano diritti del consumatore, responsabilità del produttore e regole di mercato che mirano a tutelare la leale concorrenza.
Il quadro normativo, tutt’altro che generico, è oggi definito da un’interazione tra normativa orizzontale e verticale:
- da un lato, il Regolamento (UE) n. 1169/2011 disciplina le informazioni obbligatorie per tutti gli alimenti;
- dall’altro, il Regolamento (UE) 2022/2104 e il Regolamento (UE) 2022/2105 stabiliscono le caratteristiche fisico-chimiche, i requisiti sensoriali, gli standard di origine e le modalità di confezionamento specifiche per gli oli di oliva.
A livello nazionale, la Legge 14 gennaio 2013, n. 9, nota come “salva olio”, ha introdotto maggiori obblighi di tracciabilità, un sistema di sanzioni amministrative e penali e misure preventive a tutela della trasparenza nella filiera olivicola.
Ma perché tanta attenzione proprio all’etichetta? Perché è lì che l’azienda afferma la natura del proprio prodotto. È lì che il consumatore decide se fidarsi. Ed è proprio lì che si gioca, oggi più che mai, una partita fondamentale: quella tra promessa e verità.
L’origine conta: quando e come è obbligatoria l’indicazione geografica
L’indicazione dell’origine dell’olio d’oliva non è facoltativa, ma un obbligo giuridico preciso per le categorie “vergine” ed “extravergine”. A stabilirlo è il Regolamento Delegato (UE) 2022/2104, che integra il quadro dell’Organizzazione Comune dei Mercati (OCM) agroalimentari disciplinata dal Regolamento (UE) n. 1308/2013.
In etichetta, l’origine deve essere riportata in forma unitaria, con diciture espressamente previste: ad esempio “olio di oliva di origine italiana”, “miscela di oli di oliva originari dell’Unione europea” oppure “miscela di oli originari dell’UE e non UE”. Soltanto quando il luogo di raccolta delle olive e quello di molitura non coincidono è obbligatorio indicare entrambi separatamente. In tutti i casi, le formulazioni non sono modificabili né intercambiabili: ogni parola deve riflettere la reale tracciabilità del prodotto.
Questa prescrizione è centrale per la tutela del consumatore, ma anche per garantire trasparenza e lealtà tra i produttori. Non è raro, infatti, imbattersi in packaging che suggeriscono italianità – magari con immagini di colline, stemmi tricolore o nomi evocativi – ma che in realtà celano miscele internazionali, in parte molite o confezionate all’estero (si veda Italian Sounding alimentare: cos’è, quanto ci costa e come difendersi dalle imitazioni).
Per questo motivo, l’origine dichiarata in etichetta deve sempre trovare riscontro nei registri ufficiali, compresi quelli gestiti tramite la piattaforma SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale), e nelle documentazioni doganali e fiscali. La falsificazione o l’omissione dell’origine può integrare pratiche di etichettatura ingannevole, con conseguenze sanzionatorie gravi, come discusso nell’articolo Frodi alimentari nell’olio extravergine: dati ACN 2024 e sanzioni per etichette ingannevoli.
Oggi i consumatori richiedono autenticità e i produttori italiani competono con mercati più aggressivi (come quello spagnolo o tunisino), pertanto l’indicazione dell’origine rappresenta una delle principali garanzie di qualità. Non è solo una questione geografica: è un indicatore legale, economico e culturale, che definisce l’identità stessa dell’olio.
“Estratto a freddo”, “prima spremitura” e “campagna olearia”: diciture che parlano di qualità (ma solo se vere)
Sulle bottiglie d’olio d’oliva compaiono spesso espressioni evocative come “estratto a freddo”, “prima spremitura” o “campagna olearia”. Termini che sembrano promettere artigianalità, freschezza e genuinità. Ma quanti sanno che si tratta di diciture tecniche rigorosamente normate, e non di semplici slogan promozionali?
“Estratto a freddo” può essere indicato in etichetta solo se l’intero processo di estrazione meccanica è avvenuto a una temperatura inferiore ai 27 °C, come stabilito dall’articolo 10 del Regolamento (UE) 2022/2104. Non è quindi una scelta di stile, ma un’informazione tecnica: deve corrispondere a una condizione oggettivamente verificabile. In caso contrario, si cade nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette, con rilevanza anche sanzionatoria.
Ancora più selettiva è la dicitura “prima spremitura a freddo”, che può essere utilizzata solo se l’olio è stato ottenuto mediante pressatura meccanica con presse idrauliche, un metodo oggi raro, ma ancora praticato in frantoi tradizionali. Se usata impropriamente, non solo inganna il consumatore, ma viola le norme europee in materia di etichettatura.
Anche la campagna olearia, spesso indicata per rassicurare sulla freschezza del prodotto, è soggetta a condizioni stringenti. Non basta scrivere “2024/2025” per far leva sull’annata: l’etichetta può riportarla solo se l’intera partita di olio proviene da olive raccolte in quella campagna e se il confezionamento è avvenuto entro il 31 marzo dell’anno successivo (art. 11, Reg. 2022/2104). Inoltre, la menzione è facoltativa e deve essere uniforme per tutta la partita: non è quindi possibile indicarla in modo selettivo o parziale, pena il rischio di fuorviare il consumatore e incorrere in sanzioni.
In apparenza minime, queste diciture sono in realtà segni distintivi di qualità che parlano di metodi produttivi, tempi, scelte aziendali. Se ben impiegate, premiano chi lavora correttamente e orientano le scelte di chi cerca un olio d’eccellenza. Ma se abusate, diventano strumenti di marketing ingannevole, come abbiamo approfondito anche nell’articolo Dicitura obbligatoria o pratica commerciale? L’etichettatura tra trasparenza e responsabilità legale.
Non si tratta soltanto di un problema etico o reputazionale: l’uso scorretto di diciture come “estratto a freddo” o “campagna olearia” può integrare pratiche commerciali scorrette ai sensi della Direttiva 2005/29/CE, recepita in Italia dal Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005). Inoltre, può configurare pubblicità ingannevole o comparativa illecita, disciplinata dal D.Lgs. 145/2007. Questi strumenti normativi, accanto ai regolamenti europei di settore, consentono di colpire comportamenti che, anche solo attraverso un’immagine, un aggettivo o una suggestione grafica, alterano le scelte economiche del consumatore e danneggiano la concorrenza leale.
La carta d’identità dell’extravergine: come leggerla davvero
Guardare un’etichetta non basta. Bisogna saperla leggere, interpretare, decifrare. Quando si parla di olio extravergine d’oliva, ogni parola stampata sulla bottiglia corrisponde – o dovrebbe corrispondere – a una realtà produttiva, a un controllo effettuato, a una responsabilità assunta.
Elementi come la categoria legale (“olio extravergine di oliva”), l’origine delle olive, la sede dello stabilimento di condizionamento, le condizioni di conservazione e l’eventuale annata di produzione non sono mai accessori. Sono indicazioni obbligatorie o facoltative, ma sempre disciplinate da regole specifiche, le stesse che abbiamo approfondito nei precedenti articoli sull’etichettatura alimentare e sulla trasparenza delle diciture obbligatorie (si veda bibliografia in calce).
Saper distinguere tra un olio venduto come “italiano” e uno soltanto confezionato in Italia ma ottenuto da olive estere significa riconoscere il valore della filiera tracciata. Saper valutare se un “estratto a freddo” corrisponde a una lavorazione sotto i 27 °C – e non solo a una suggestione grafica – significa proteggersi da pratiche scorrette. Comprendere che la “campagna olearia” è vincolata a precise condizioni temporali ci aiuta a non confondere freschezza reale e astuzia commerciale.
In questo contesto, la cosiddetta “carta d’identità dell’olio extravergine” (Carta di identità dell’olio extravergine di oliva – Wikipedia), promossa da associazioni di categoria e consorzi di tutela, rappresenta un utile strumento di orientamento. Non ha valore normativo né è obbligatoria per legge, ma costituisce una prassi volontaria di autoregolamentazione: i produttori che scelgono di adottarla possono fornire al consumatore informazioni aggiuntive e dettagliate, come varietà delle olive, tecniche di estrazione, parametri chimici e risultati del panel test. In questo modo, l’etichetta viene affiancata da un documento trasparente e verificabile, che valorizza la qualità e la reputazione aziendale.
E così, etichettare diventa un atto di cultura e responsabilità. Perché dietro ogni bottiglia di extravergine, davvero tale, c’è un territorio, un’impresa, una legge. Ma c’è anche un consumatore che, grazie all’etichetta, può fare una scelta consapevole.
Bibliografia
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Data di pubblicazione: 27 Agosto 2025
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