Come liberarsi da un contratto di franchising: inadempimenti, dolo e mediazione

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Abstract

Uscire da un contratto di franchising non è semplice, ma in molti casi è possibile. La legge italiana — in particolare la Legge n. 129/2004 — tutela l’affiliato quando il franchisor manca ai propri obblighi: dalla mancata formazione alle informazioni false o incomplete nella fase precontrattuale. In queste situazioni, si può chiedere la risoluzione o l’annullamento del contratto, anche con richiesta di risarcimento danni. Prima, però, è obbligatorio tentare una mediazione, che può diventare una vera opportunità negoziale se ben preparata. Fondamentale, infine, un’analisi preliminare accurata dei documenti e delle prove: solo conoscendo i propri diritti e gli eventuali inadempimenti si può scegliere la strategia più efficace per liberarsi da un franchising sbilanciato.

Franchising: quando ci si può davvero “liberare”?

Chi firma un contratto di franchising spesso lo fa con entusiasmo, attratto da un marchio forte, da una formula “chiavi in mano” e da un’idea di impresa già collaudata. Ma non sempre le aspettative vengono rispettate: margini bassi, promesse di supporto disattese, formazione mai arrivata. È in quel momento che molti affiliati si pongono la domanda più difficile: “posso andarmene?”

La risposta, in diritto, è sì, ma non sempre.

Il contratto di franchising, disciplinato dalla Legge n. 129 del 2004, è un vincolo giuridico stabile e non può essere sciolto per semplice volontà di una delle parti. Una volta firmato, obbliga l’affiliato e l’affiliante a rispettare reciprocamente gli impegni assunti: know-how, uso del marchio, formazione, royalties, assistenza.

Tuttavia, la legge e la giurisprudenza riconoscono alcune vie d’uscita legittime, che richiedono basi solide: l’inadempimento del franchisor, la mancanza di informazioni precontrattuali o addirittura il dolo contrattuale. In questi casi, il franchisee può domandare la risoluzione o l’annullamento del contratto, con la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni.

Quando il franchisor è inadempiente?

Il franchising, per funzionare, si basa su un equilibrio di fiducia e di obblighi reciproci. Ma quando il franchisor — cioè il titolare della rete — non rispetta le proprie promesse, il sistema entra in crisi. È qui che il diritto interviene per restituire all’affiliato la possibilità di reagire, anche chiedendo la risoluzione del contratto.

La Legge n. 129/2004, all’articolo 3, obbliga l’affiliante a fornire all’affiliato formazione, assistenza tecnica e commerciale, oltre a un trasferimento reale del know-how necessario a gestire l’attività. Se questi elementi mancano o risultano del tutto inadeguati, la giurisprudenza parla di inadempimento grave. E un inadempimento grave, ai sensi degli articoli 1453 e seguenti del Codice Civile, può legittimare la risoluzione del contratto e la richiesta di risarcimento dei danni (Quando un affiliato può fare causa al franchisor per mancato supporto?).

È un aspetto tutt’altro che teorico. Pensiamo a un affiliato che ha investito ingenti somme confidando in una formula commerciale testata, in corsi di formazione o in un software gestionale promesso ma mai consegnato. Se il franchisor non ha messo l’affiliato in condizione di operare con la professionalità promessa, è venuto meno alla sua prestazione principale. In questi casi, non si tratta di un semplice disguido operativo: si tratta di inadempimento contrattuale.

Altro punto delicato riguarda la fase precontrattuale. L’articolo 4 della stessa legge impone al franchisor di consegnare almeno trenta giorni prima della firma una documentazione completa, comprensiva di bilanci, elenco degli affiliati, descrizione dell’attività, e perfino delle eventuali cause giudiziarie pendenti (Le criticità del contratto di franchising).
Se queste informazioni vengono omesse o, peggio, falsificate, l’affiliato può chiedere l’annullamento del contratto per dolo, ai sensi dell’art. 1439 c.c. e dell’art. 8 L. 129/2004. È quanto ha confermato la Corte di Cassazione in più occasioni, ribadendo che l’obbligo di trasparenza nella fase precontrattuale è essenziale per la validità dell’accordo.

In altre parole, il franchisor non può “vendere un sogno” privo di fondamenta. Se la formula non è stata sperimentata, se il supporto promesso non esiste, o se le informazioni consegnate erano incomplete o fuorvianti, l’affiliato può liberarsi legittimamente dal contratto.

Come negoziare con il franchisor

Quando la relazione tra franchisor e franchisee si incrina, la tentazione di “portare tutto in tribunale” è forte. Ma la legge italiana, da anni, invita le parti a fermarsi un passo prima.
Nel caso del franchising, infatti, la mediazione è un passaggio obbligatorio: non si può intentare causa senza aver prima tentato un confronto assistito davanti a un organismo di mediazione riconosciuto.

L’obbligo è stabilito dall’articolo 5 del D.Lgs. 28/2010, che include espressamente i contratti di franchising tra le materie per cui è necessaria la mediazione prima dell’azione giudiziale. In altre parole, se un affiliato vuole agire contro il proprio franchisor — ad esempio per ottenere la risoluzione del contratto o un risarcimento — deve prima depositare un’istanza di mediazione.
Senza questo passaggio, il giudice non può neppure esaminare la causa.

Ma oltre a essere un requisito formale, la mediazione può diventare un’occasione preziosa. È in questa sede, infatti, che le parti — assistite dai rispettivi avvocati — possono negoziare una soluzione consensuale, come la cessazione del contratto con reciproche rinunce o un accordo economico per compensare gli investimenti non recuperati (Breach of contract nei franchising: come gestire il recesso o il contenzioso – Canella Camaiora ).

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L’importanza dell’analisi preliminare

Nel franchising, come in ogni rapporto commerciale complesso, la fretta è una cattiva consigliera. Quando le cose non vanno come previsto, la tentazione di “fare qualcosa subito” — scrivere al franchisor, chiudere il punto vendita o inviare una diffida — è comprensibile, ma rischiosa. Prima di ogni iniziativa, serve una cosa sola: capire.

Capire cosa si è firmato, innanzitutto. Ogni contratto di franchising è un piccolo mondo: clausole di esclusiva, obblighi di formazione, modalità di fornitura, patti di non concorrenza, sistemi di rendicontazione (Il patto di non concorrenza)

Spesso, è proprio tra le righe di queste clausole che si nascondono i margini di azione (o di errore). Un’analisi accurata del testo contrattuale, insieme alla documentazione precontrattuale — come il D.I.F. o le comunicazioni del franchisor — permette di individuare le violazioni realmente rilevanti e di costruire una strategia coerente.

Capire significa anche valutare la gravità dell’inadempimento. Non ogni promessa disattesa giustifica la risoluzione del contratto: la giurisprudenza distingue infatti tra inadempimenti “minori” e inadempimenti gravi, cioè tali da compromettere la fiducia e la redditività del rapporto. Sapere dove si colloca il proprio caso su questa scala è fondamentale per decidere se tentare una negoziazione, una mediazione o un’azione giudiziale.

C’è poi un aspetto spesso sottovalutato: l’abuso di dipendenza economica. Quando l’affiliato si trova in una posizione di debolezza strutturale — ad esempio perché non ha alternative commercialmente valide o perché il franchisor impone condizioni arbitrarie — la legge (art. 9, Legge 192/1998) offre una tutela aggiuntiva. I giudici hanno sottolineato più volte che l’abuso di dipendenza economica non si presume, ma può diventare una leva negoziale importante se fondato su dati concreti (La Cassazione fa chiarezza sulla dipendenza economica)

Comprendere se si è in quella condizione, e documentarlo correttamente, può fare la differenza tra un contenzioso evitabile e una trattativa efficace.

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Data di pubblicazione: 14 Ottobre 2025

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Avv. Arlo Cannela

Arlo Canella

Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.

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