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La concorrenza tra imprese è una dinamica normale del mercato, ma cosa accade quando un concorrente utilizza pratiche scorrette per sottrarre clienti o vantaggi competitivi? L’articolo 2598 del Codice Civile individua tre principali fattispecie di concorrenza sleale, tra cui l’imitazione servile, la denigrazione e l’appropriazione indebita di pregi altrui. Tuttavia, non tutte le strategie aggressive sono illecite: per qualificare una condotta come sleale, è necessario valutare chi può agire in giudizio, quando la concorrenza è realmente sleale e quali strumenti legali sono disponibili per difendersi.
Quali sono i confini tra concorrenza legittima e pratiche vietate? In questa guida analizziamo le tre principali condotte illecite, i criteri per riconoscerle e le azioni legali per tutelarsi, con riferimenti alla giurisprudenza e ai casi più recenti.
La concorrenza sleale (articolo 2598 c.c.) si verifica quando un’impresa adotta pratiche scorrette per sottrarre mercato o clientela a un concorrente. Tuttavia, non ogni strategia aggressiva è illecita: per essere considerata sleale, una condotta deve superare un rigoroso esame giudiziale.
Molti imprenditori percepiscono come ingiuste alcune azioni dei concorrenti, ma non tutte violano la legge. Quando un comportamento diventa legalmente rilevante? È essenziale effettuare un’analisi preliminare per valutare se vi siano gli estremi per un intervento legale.
L’articolo 2598 c.c. vieta solo i comportamenti volti ad appropriarsi in modo illecito della clientela o del mercato di un concorrente. Tuttavia, il diritto alla libertà d’impresa, garantito dall’articolo 41 della Costituzione, non può essere limitato senza criteri precisi. Per questo motivo, prima di esaminare le pratiche vietate, è fondamentale chiarire chi può agire in giudizio per concorrenza sleale.
La tutela dell’art. 2598 c.c. è riservata agli imprenditori: sia il soggetto danneggiato che l’autore della condotta sleale devono rientrare in questa categoria. Secondo l’articolo 2082 c.c., è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata, finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
Chi opera in modo occasionale o senza un’organizzazione strutturata non può avvalersi di questa tutela. Ad esempio, un privato che vende abiti usati su Vinted non rientra nella definizione di imprenditore.
Una rilevante evoluzione giurisprudenziale ha ampliato l’ambito soggettivo della concorrenza sleale: anche i liberi professionisti (avvocati, medici, ingegneri) possono agire in giudizio. Secondo il Tribunale di Milano (Sez. spec. in materia di imprese, Sent. 06/06/2017), “non pare sussistere alcun argomento idoneo ad impedire un’interpretazione estensiva della stessa all’attività dei liberi professionisti“.
Un altro aspetto cruciale riguarda le associazioni e gli enti no profit. Tradizionalmente, il fine di lucro era considerato essenziale per qualificare un’attività come imprenditoriale. Tuttavia, sentenze più recenti adottano un criterio oggettivo: se un’attività è economicamente organizzata e sostenibile, anche ASD, ONLUS ed enti pubblici possono essere considerati imprenditori (Tribunale Biella, Sent., 12/02/2022, n. 55).
Ma perché un’impresa possa parlare di concorrenza sleale, è necessario un altro elemento fondamentale: operare nello stesso mercato.
Perché si configuri concorrenza sleale, le imprese coinvolte devono operare nello stesso mercato, sia merceologicamente che territorialmente.
Due aziende sono concorrenti se offrono prodotti o servizi simili. Ad esempio, un coltivatore di patate e un sarto su misura non sono in competizione. Tuttavia, la giurisprudenza riconosce la concorrenza anche tra operatori situati in fasi diverse della stessa filiera produttiva: un produttore di tessuti e un commerciante di abbigliamento potrebbero essere considerati concorrenti.
Tradizionalmente, la concorrenza sleale si configura tra imprese attive nella stessa area geografica. Tuttavia, la giurisprudenza moderna ha introdotto il concetto di concorrenza potenziale.
Si parla di concorrenza potenziale quando:
Ora che abbiamo chiarito chi può agire e in quali condizioni si verifica la concorrenza sleale, vediamo quali sono le pratiche vietate dal nostro ordinamento.
L’articolo 2598 c.c. identifica tre principali fattispecie di concorrenza sleale.
Include ogni condotta che possa creare confusione tra i consumatori:
Un caso di imitazione sleale in ambito calcistico è stato affrontato dalla Corte d’Appello di Torino, che ha riconosciuto la natura illecita della condotta. Per un approfondimento sul tema, è possibile consultare l’analisi dell’Avv. Margherita Manca nell’articolo: “Imitazione abusiva di divise sportive: il caso “be the stripes”.
Diversamente, il Tribunale di Milano ha escluso l’imitazione sleale in un caso riguardante una guida vitivinicola, chiarendo quando la mera somiglianza tra prodotti non è sufficiente per configurare un illecito. L’Avv. Arlo Canella ha commentato questa decisione nell’articolo: “Quando l’imitazione di un prodotto è illecita? ll Tribunale di Milano fa il punto”.
Questi due casi dimostrano come il confine tra imitazione lecita e illecita sia spesso sottile e richieda una valutazione attenta del rischio di confusione nel pubblico.
Questa forma di concorrenza sleale si manifesta in due modalità principali:
Un esempio significativo è la pubblicità parassitaria, ossia lo sfruttamento della notorietà di un marchio consolidato per ottenere un vantaggio indebito. Questo fenomeno è stato analizzato nell’articolo “Quando ‘cavalcare’ la reputazione altrui è un atto illecito?“, che approfondisce quando il richiamo a brand famosi diventa un atto illecito.
La falsa attribuzione di clienti è un’altra forma di appropriazione di pregi. Il caso di un’agenzia pubblicitaria che ha indebitamente inserito nel proprio portfolio clienti mai effettivamente serviti è stato trattato nell’analisi “Concorrenza sleale per falsa attribuzione di clienti“. Questa pratica altera la percezione del pubblico, danneggiando la concorrenza.
Un altro caso recente riguarda il marchio Save the Duck, vittima di una contraffazione che ha portato il Tribunale di Milano a chiarire i limiti della sottrazione indebita di reputazione commerciale. Per approfondire la sentenza, si può consultare l’articolo “La battaglia dei paperi: il Tribunale di Milano chiarisce il caso Save the Duck“.
Infine, l’articolo 2598, n. 3 cc include una clausola aperta: “commette atti di concorrenza sleale chiunque si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Questa è una clausola generale prevista dalla legge che comprende ogni pratica sleale non espressamente vietata nei punti precedenti.
Questa categoria comprende tutte le pratiche sleali che, pur non rientrando espressamente nelle precedenti, alterano il normale equilibrio concorrenziale. Alcuni esempi includono:
Non serve dimostrare un danno effettivo: basta che la condotta possa potenzialmente ledere un concorrente.
Come difendersi? Chi si ritiene vittima di concorrenza sleale può agire sostanzialmente in tre modi:
Se sospetti di essere vittima di concorrenza sleale, è importante agire tempestivamente, raccogliendo prove documentali come screenshot, email e comunicazioni commerciali. Un avvocato esperto poi potrà aiutarti a tutelare al meglio i tuoi diritti, anche in via di urgenza.
Gabriele Rossi