È lecito riutilizzare codice e dati aziendali dopo la fine di un rapporto di lavoro?

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Abstract

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14098/2025, ha emesso una decisione di particolare interesse per le società che sviluppano software e per chi gestisce informazioni commerciali riservate.

Il caso nasce da una disputa tra una società operante nel settore dei macchinari agricoli e alcuni ex dipendenti accusati di aver utilizzato il codice sorgente e i dati aziendali per sviluppare un software concorrente.

In questo contributo cerchiamo di comprendere fino a che punto si possono riutilizzare conoscenze e competenze, e dove invece scatta la violazione del diritto d’autore o la concorrenza sleale.

La tutela autoriale del software

Il software non è soltanto uno strumento tecnico, ma un’opera dell’ingegno tutelata dal diritto d’autore.

La protezione riguarda in primo luogo il codice sorgente, inteso come sequenza di istruzioni leggibili dall’uomo, ma si estende anche al codice oggetto e alle fasi preparatorie che portano alla creazione del programma, purché abbiano carattere creativo (approfondisci Gli strumenti di tutela legale del software – Canella Camaiora).

La giurisprudenza ha precisato che la tutela non copre le idee e i principi alla base del software, ma solo la forma espressiva attraverso la quale tali idee vengono concretizzate nel programma. Al titolare del software spetta un vero e proprio monopolio giuridico sulla riproduzione, traduzione, adattamento e modifica del programma, distribuzione e commercializzazione delle copie, nonché la messa a disposizione su reti telematiche (art. 64bis L. 633/1941 – LDA).

La disciplina del software si integra con quella prevista dal D.Lgs. 30/2005 – CPI, in particolare in materia di segreti commerciali. Tuttavia, mentre la tutela industriale richiede la dimostrazione della segretezza e del valore economico dell’informazione, l’art. 64bis LDA opera automaticamente, senza necessità di registrazione o formalità, dal momento stesso della creazione dell’opera.

Cosa si intende per “nucleo centrale” di un software?

Con l’ordinanza n. 14098/2025, la Suprema Corte ha affrontato una vicenda di grande interesse: l’utilizzo non autorizzato di un software per l’automazione di macchinari. La società attrice aveva rilevato che alcuni suoi ex dipendenti avevano impiegato porzioni rilevanti del proprio programma nella realizzazione di un nuovo software concorrente, destinato a prodotti sostanzialmente identici.

I giudici del merito avevano accertato sia la contraffazione del software, condannando i convenuti alla distruzione del codice e al risarcimento dei danni. La Cassazione ha confermato integralmente questa ricostruzione, rigettando il ricorso.

La Corte ha ribadito che la violazione può sussistere anche quando venga copiato solo un frammento del programma, purché esso abbia un’autonoma funzionalità. Il concetto dirimente è quello di “nucleo centrale”: l’insieme di moduli e componenti che garantiscono l’operatività essenziale del software. Pertanto, non serve copiare tutto il codice per incorrere in problemi. La Cassazione ha precisato che anche una duplicazione parziale può violare il diritto d’autore, se riguardi parti significative e autonome.

Nel caso concreto, la contraffazione è stata confermata poiché i due programmi condividevano i medesimi moduli funzionali, con identità di risultato tecnico e operatività.

Il confine tra ciò che è riutilizzabile e ciò che costituisce violazione è sottile. Da un lato, l’ordinamento non può impedire al lavoratore di avvalersi delle proprie competenze; dall’altro, tutela l’investimento creativo ed economico del titolare dei diritti sul software.

Concorrenza sleale per utilizzo delle informazioni riservate dell’ex datore di lavoro

La decisione richiama l’art. 2598 codice civile, che punisce come atti di concorrenza sleale tutte le condotte contrarie alla correttezza professionale, comprese quelle non tipizzate espressamente ma idonee a danneggiare l’altrui azienda.

In particolare, il n. 3 vieta le condotte di sviamento della clientela e l’uso indebito di informazioni riservate. La giurisprudenza ha costantemente chiarito che l’assenza di un patto di non concorrenza non legittima comunque l’ex dipendente ad appropriarsi di dati strutturati, che superano le capacità mnemoniche e l’esperienza del singolo individuo (approfondisci Know-how e informazioni aziendali: il caso del dipendente infedele. – Canella Camaiora).

La linea di demarcazione tra ciò che è lecito e ciò che è illecito è sottile. Mentre è consentito utilizzare le proprie competenze ed esperienze maturate nel tempo, è illecito trasferire a un nuovo concorrente una banca dati commerciale organizzata (clienti, fornitori, condizioni economiche), in quanto ciò attribuisce un vantaggio competitivo indebito.

La Cassazione ha ritenuto la condotta degli ex dipendenti sistematica e non episodica, sottolineando che non si trattava di semplice conoscenze personali, ma di un patrimonio informativo sottratto dall’interno dell’azienda.

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La quantificazione del danno: criteri e margini di discrezionalità

Uno degli aspetti centrali della controversia ha riguardato la determinazione del danno derivante sia dalla contraffazione del software sia dalla concorrenza sleale. Il ricorrente contestava la quantificazione effettuata, sostenendo l’assenza di prova di un calo di fatturato e l’uso improprio di criteri presuntivi. La Cassazione, tuttavia, ha confermato le statuizioni della Corte d’Appello, ribadendo la legittimità del metodo prescelto.

La liquidazione del danno in materia di proprietà intellettuale può avvenire mediante criteri diversi:

Nel caso di specie, il giudice d’appello ha fatto ricorso al metodo dei multipli sull’EBITDA differenziale, ossia un criterio economico-finanziario che valuta l’impatto della condotta illecita sull’avviamento dell’impresa.

Fondamentale è stato il supporto delle CTU contabili, che hanno evidenziato come il calo di fatturato non fosse imputabile a variabili esterne ma fosse strettamente legato alla condotta dei convenuti.

Questa decisione ribadisce che la prova del danno non richiede sempre dati contabili precisi, in quanto il giudice può ricorrere a criteri presuntivi, purché ragionevoli e fondati.

Come ridurre i rischi di contenzioso in materia di software e concorrenza sleale

L’ordinanza della Cassazione dimostra come il diritto d’autore e la disciplina della concorrenza sleale si intersechino in modo sempre più stretto nella protezione di software e dati aziendali.

È importante distinguere tra il legittimo riutilizzo delle competenze ed esperienze personali maturate dal lavoratore – che restano parte del suo bagaglio professionale – e l’illecita appropriazione di codice, moduli funzionali o banche dati aziendali, che costituisce violazione dei diritti e fonte di responsabilità.

Per questo occorre investire non solo in tecnologia, ma anche in compliance legale e strumenti contrattuali, come accordi di riservatezza (approfondisci: Accordi di riservatezza (NDA): come proteggere il valore delle informazioni), patti di non concorrenza (approfondisci: Patti di non concorrenza: requisiti, criticità e conseguenze), tracciamento dello sviluppo software, così da garantire che l’innovazione rappresenti un vantaggio competitivo senza trasformarsi in un rischio di contenzioso per entrambe le parti.

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Data di pubblicazione: 4 Settembre 2025

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Margherita Manca

Avvocato presso lo Studio Legale Canella Camaiora, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano, si occupa di diritto industriale.

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