Famiglie arcobaleno: apertura della Consulta con il congedo di paternità anche per la madre intenzionale

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Abstract

Con la sentenza del 21 luglio n. 115/2025, la Corte Costituzionale compie un passo storico verso l’uguaglianza: estende il congedo di paternità obbligatorio anche alla madre intenzionale. Una decisione che non solo elimina una discriminazione, ma ribadisce che il precipuo interesse del minore e la parità tra i genitori – in ossequio alla c.d. “Costituzione vivente” – devono prevalere sui vecchi schemi normativi ancora improntati sulla famiglia “tradizionale” eteroimpostata.
In questo articolo analizziamo i fatti, le norme coinvolte e le ragioni che hanno portato la Consulta a questa pronuncia destinata a segnare un punto di svolta per il diritto di famiglia in Italia.

Il caso Rete Lenford contro INPS

La vicenda trae origine da un’azione legale promossa da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ APS, sostenuta da CGIL, contro l’INPS.

L’Associazione ha dato il via a questa sua meritoria battaglia legale utilizzando lo strumento del ricorso antidiscriminatorio, previsto dall’art. 28 del d.lgs. 150/2011 e dal d.lgs. 216/2003, che consente anche alle associazioni rappresentative di agire in giudizio per rimuovere comportamenti o prassi discriminatorie. Questo strumento, di derivazione comunitaria, permette di tutelare interessi collettivi senza la necessità di un singolo ricorrente individuato.

L’Associazione denunciava la natura discriminatoria della piattaforma telematica dell’Istituto, che impediva alle coppie di genitori dello stesso sesso – pur legalmente riconosciute nei registri di stato civile – di presentare online le domande per i congedi parentali previsti dal d.lgs. 151/2001. Il sistema informatico, infatti, segnalava un errore quando venivano inseriti i codici fiscali di due genitori del medesimo sesso.

Il Tribunale di Bergamo, in primo grado, ha riconosciuto il carattere discriminatorio della condotta dell’INPS, ordinando la modifica della piattaforma. L’Istituto ha successivamente adeguato il portale per consentire le domande di congedo parentale ordinario (art. 32, formulato in maniera diversa e contemplando il diritto al congedo per ciascun genitore utilizzando un termine neutro), ma non per il congedo di paternità obbligatorio (art. 27-bis), riservato esclusivamente al “padre lavoratore”.

In secondo grado, la Corte d’Appello di Brescia ha ritenuto che l’esclusione della madre intenzionale (cioè la madre non partoriente) dal congedo obbligatorio costituisse una disparità di trattamento ingiustificata rispetto ai padri nelle coppie eterosessuali.

Constatata l’esistenza di un ostacolo normativo (l’esclusione testuale della madre intenzionale dal congedo di paternità) non superabile con la semplice interpretazione, la Corte d’Appello di Brescia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis d.lgs. 151/2001, nella parte in cui non riconosce la fruibilità del congedo obbligatorio anche da parte di una lavoratrice che sia “secondo genitore equivalente” in una coppia di due donne risultanti genitori nei registri di stato civile.

Congedo di paternità: cosa dice davvero la legge e perché è stato contestato

Il congedo di paternità obbligatorio è disciplinato dall’art. 27-bis d.lgs. 151/2001, introdotto dal d.lgs. 105/2022 in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1158, che mira a promuovere l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare per genitori e prestatori di assistenza.

La norma italiana prevede 10 giorni di congedo retribuito al 100%, di cui fruire nell’arco temporale dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 5 cinque mesi successivi, ma li riserva testualmente al “padre lavoratore”. Ciò riflette un modello familiare eterosessuale “tradizionale”, dove la madre biologica usufruisce del congedo di maternità e il padre del congedo di paternità.

La direttiva europea, tuttavia, all’art. 4 stabilisce che anche un “secondo genitore equivalente”, ove riconosciuto in ossequio al diritto del singolo Stato membro, deve poter fruire del congedo, con la finalità di realizzare una più equa ripartizione della responsabilità genitoriale e di instaurare un precoce legame tra entrambi i genitori e prole.

Il problema normativo emerso riguarda le famiglie omogenitoriali, in particolare – in questo specifico caso – le coppie di due madri. Nell’ordinamento italiano, infatti, due mamme sono riconosciute entrambe come genitori, con i relativi diritti, solo in determinate circostanze:

  • trascrizione di un atto di nascita formato all’estero con l’indicazione di due madri,
  • trascrizione di un provvedimento straniero di adozione piena da parte di due donne,
  • adozione in circostanze particolari da parte della cosiddetta madre intenzionale (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983) in caso di PMA eseguita all’estero.

Nonostante ciò, la formulazione dell’art. 27-bis continua a escludere la madre intenzionale da questo beneficio, e – secondo i giudici della Corte d’Appello – la norma in questione solleva questioni di legittimità costituzionale in relazione a due principi costituzionali fondamentali.

Da un lato, l’art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza e di non discriminazione), perché introduce una disparità di trattamento rispetto ai padri nelle coppie eterosessuali.

Dall’altro, l’art. 117, comma 1, della Costituzione, in quanto non rispetta gli artt. 2 e 3 della Direttiva 2000/78/CE, che tutela la parità di trattamento in ambito lavorativo, e l’art. 4 della Direttiva (UE) 2019/1158, dedicata proprio al congedo di paternità e all’equilibrio tra vita professionale e familiare.

L’Italia, escludendo il “secondo genitore” (non di sesso maschile) dal congedo parentale obbligatorio, non ottempera pienamente alle finalità delle direttive europee, che mirano invece a garantire diritti omogenei a parità di situazione. In altri termini, una volta che l’ordinamento interno riconosce due genitori (anche dello stesso sesso), l’esclusione di uno di essi dal congedo appare in contrasto sia col principio di eguaglianza sostanziale a cui è letteralmente improntata la nostra intera Carta Costituzionale, sia con lo spirito delle norme UE.

Il ragionamento della Corte: l’interesse del minore al centro

La Consulta ha ritenuto irragionevole la limitazione del beneficio al solo padre uomo, evidenziando che le situazioni sono sostanzialmente equivalenti: in entrambi i casi si tratta del “secondo” genitore, che condivide con l’altro la responsabilità verso il figlio appena nato, un progetto comune e l’esigenza di conciliare i tempi di lavoro con la cura del minore.

L’esclusione della madre intenzionale viola quindi l’art. 3 Cost., creando una disparità fondata sul sesso dei genitori.

La Corte ha inoltre richiamato il principio del preminente interesse del minore, ormai centrale tanto nell’ordinamento interno (artt. 30 e 31 Cost., art. 3 Legge 219/2012, art. 337-ter c.c.) quanto in quello internazionale. Negare alla madre intenzionale il congedo obbligatorio significa, in concreto, privare il bambino della presenza e cura di uno dei due genitori in un periodo cruciale, e ciò esclusivamente a causa del sesso di tale genitore.

Il sesso e l’orientamento sessuale dei genitori sono del tutto irrilevanti ai fini della capacità e idoneità ad assumere responsabilità genitoriali, precisa la Consulta: due donne che decidono di avere e crescere un figlio insieme sono titolari degli stessi diritti (e doveri) nei confronti del minore di una coppia “tradizionale”, e dunque hanno bisogno degli stessi strumenti di tutela per poterli adempiere.

La Corte ha ritenuto, infine, infondate le obiezioni sollevate dall’INPS e dall’Avvocatura dello Stato circa l’asserita necessità di un intervento legislativo ad hoc. Secondo la Consulta, la tutela del minore e il principio di non discriminazione esigono un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente, senza attendere oltre l’inerzia del legislatore. Del resto, argomenta la sentenza, il dato formale dell’iscrizione nei registri dello stato civile – se avvenuta legittimamente – è di per sé sufficiente a radicare in capo a quel soggetto tutti i diritti e doveri propri dello status genitoriale.

Un passo avanti verso l’uguaglianza: effetti concreti della decisione della Consulta

Questa pronuncia segna una svolta potenzialmente storica per il diritto di famiglia italiano e per la tutela delle famiglie omogenitoriali.

Per quanto riguarda le coppie di donne con figli legalmente riconosciute, l’effetto principale è chiaro: la madre intenzionale (iscritta nei registri dello stato civile come “genitore”) acquisisce il diritto ai 10 giorni di congedo parentale obbligatorio al 100% della retribuzione, lo stesso già garantito ai padri biologici, adottivi o affidatari.

Sul piano pratico, la decisione impone all’INPS di adeguare i propri sistemi, consentendo alle madri intenzionali di presentare domanda per il congedo obbligatorio; attenendosi alla sentenza, l’INPS dovrà accettare tali domande e liquidare l’indennità normalmente prevista.

Dal punto di vista giuridico, la sentenza rafforza i principi di uguaglianza sostanziale, non discriminazione e tutela del minore, allineando l’ordinamento italiano alle finalità della normativa europea in materia di work-life balance. Rappresenta inoltre un segnale forte verso il legislatore affinché completi il percorso di riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, colmando i vuoti ancora presenti in materia di filiazione e diritti connessi.

Va infatti sottolineato che la portata pratica della decisione, per quanto ampia, non copre ogni scenario di omogenitorialità. Resta infatti fondamentale il presupposto del riconoscimento legale di entrambi i genitori. In assenza di tale riconoscimento, la lavoratrice madre intenzionale non potrà ancora accedere al beneficio. Questo mette in luce la necessità di un intervento legislativo che chiarisca e uniformi il trattamento dei figli delle coppie omogenitoriali.

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Data di pubblicazione: 1 Agosto 2025

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Debora Teruggia

Laureata presso l'Università degli Studi di Milano, praticante avvocato appassionato di Diritto del Lavoro e Diritto di Famiglia.

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