Il dispositivo di cui tutti parlano è senza forma, senza volto, senza nome

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Abstract

Doveva essere il “terzo dispositivo”, dopo smartphone e Personal Computer. Ma oggi non ha ancora una forma, né un volto, né – per ordine del tribunale – nemmeno un nome. Nato dall’incontro tra Sam Altman e Jony Ive, il progetto segreto di OpenAI promette di cambiare per sempre il nostro rapporto con l’intelligenza artificiale. Tra misteri mediatici, cause legali, prototipi invisibili e frasi memorabili, ripercorriamo l’odissea del dispositivo che, senza ancora esistere, è già diventato leggenda.

Qual è “la forma” dell’Intelligenza Artificiale?

Si è cominciato a parlarne nell’estate del 2023. Secondo il Financial Times, è allora che Sam Altman, CEO di OpenAI, ha avviato un dialogo con Jony Ive, storico designer Apple, su un’idea ambiziosa: dare una forma fisica all’intelligenza artificiale. Da quei primi confronti nasce, due anni dopo, un progetto destinato a catalizzare l’attenzione del mondo tech (FT, 28 settembre 2023).

Il 29 maggio 2025 OpenAI annuncia l’acquisizione di io Products, Inc., la startup hardware fondata da Ive, per una cifra compresa tra i 6,4 e i 6,5 miliardi di dollari. Non si tratta solo di un investimento: Ive e il suo team assumono la direzione creativa dei futuri dispositivi OpenAI, con l’obiettivo di ridefinire l’interazione tra uomo e macchina. Intervistato dal Financial Times, Ive dichiara: «Tutto ciò che ho imparato negli ultimi 30 anni mi ha portato qui» (FT, 2 giugno 2025). Nello stesso contesto, Sam Altman definisce il prototipo come «il pezzo di tecnologia più cool che il mondo abbia mai visto» (The Guardian, 2 giugno 2025).

Del dispositivo, tuttavia, non è stato mostrato nulla: né immagini, né demo. Solo dichiarazioni evocative: “tecnologia al servizio dell’umanità”, secondo Ive. Altman lo presenta come un “terzo dispositivo”, destinato ad affiancare smartphone e PC, ma profondamente diverso da entrambi.

Poi, a sorpresa, un problema legale legato al nome “io” fa emergere ulteriori indiscrezioni e alimenta il mistero.

L’iPhone dell’AI – “IO” – finisce in tribunale?

Proprio mentre la stampa comincia a chiamarlo semplicemente “l’iPhone dell’intelligenza artificiale”, il 20 giugno 2025 la parabola ascendente del misterioso dispositivo firmato OpenAI e Jony Ive subisce un brusco stop: il progetto finisce davanti a un tribunale californiano. La giudice federale Trina L. Thompson emette un’ordinanza inibitoria temporanea (TRO) che impone a OpenAI di cessare immediatamente l’uso del marchio “io”:

«The Court hereby temporarily restrains Defendants […] from using the IYO mark, and any mark confusingly similar thereto, including the IO mark in connection with the marketing or sale of related products»

(IYO, Inc. v. IO Products, Inc., No. 3:25‑cv‑04861‑TLT, U.S. District Court, Northern District of California, 20 giugno 2025).

Secondo la Corte, il marchio “io” è troppo simile a “iyO”, già registrato da una startup attiva nel mercato degli auricolari smart e sostenuta da Google.

OpenAI viene quindi obbligata a ritirare il video promozionale, rimuovere ogni riferimento al nome “io” dal sito ufficiale e oscurare i contenuti social. «This page is temporarily down due to a court order», recita l’avviso apparso online nei giorni successivi.

E sì, lo so: qualcuno starà pensando che “io” non sia un nome poi così originale, visto che perfino l’app della pubblica amministrazione italiana porta lo stesso nome (io, l’app dei servizi pubblici: https://ioapp.it). Ma il punto è un altro.

Grazie ai documenti depositati in aula, cominciano a emergere dettagli inediti sul progetto. Si scopre, ad esempio, che il team guidato da Ive ha testato oltre 30 prototipi di auricolari, valutando perfino l’acquisto di scansioni 3D di orecchie umane per esplorare soluzioni ergonomiche:

«To determine which product or form factor to pursue, IO Products purchased a wide range of earbuds, hearing aids, and at least 30 different headphone sets from a variety of different companies including IYO.»

Ma in aula arriva anche una dichiarazione sorprendente. Tang Tan, chief hardware officer del progetto, afferma:

«Il dispositivo attualmente in sviluppo non è un in-ear device, né un wearable.»

Insomma, se non è uno smartphone, non è un PC, non è un auricolare né un wearable, allora che cos’è questo “terzo dispositivo”?

Se non è un’iphone, allora che cos’è?

«Su quale dispositivo stanno lavorando OpenAI e Jony Ive?», si domandava il Corriere solo poche settimane fa, mentre NewYorker titolava con enfasi:

«Sam Altman e Jony Ive porteranno l’AI nella tua vita, che tu lo voglia o no».

Insomma, da oggetto sconosciuto a fenomeno mediatico globale. Nessuno sa davvero che forma abbia, né cosa faccia esattamente. Ma questo, più che ridurre l’interesse, lo moltiplica. Secondo indiscrezioni, sarà prodotto in 100 milioni di pezzi.

Il terzo dispositivo, quello fondamentale dopo smartphone e laptop, è ormai sulla bocca di tutti. E se ne occupano tutti:

«Sam Altman porta in pubblico la battaglia sul marchio “io”» (The Verge, 25 giugno 2025),
«OpenAI e Jony Ive, nuovi dettagli sul misterioso dispositivo» (Wired Italia, 24 giugno 2025),
«Gli atti del tribunale rivelano i primi lavori di OpenAI e io su un dispositivo AI» (TechCrunch, 23 giugno 2025),
«Il dispositivo AI di Jony Ive per OpenAI non sarà indossabile, lo rivelano i documenti in tribunale» (MacRumors, 24 giugno 2025) – fino ai blog indipendenti e ai meme virali su TikTok.

Il fascino nasce anche da un elemento insolito: l’assenza totale di immagini, un paradosso nell’era dei leak perenni. Nessuno ha visto il prototipo. Ma chi lo ha provato – Sam Altman, in primis – lo descrive come un oggetto “mozzafiato”, destinato a ridefinire il rapporto tra umani e tecnologia.

«Assistente AI proattivo»,
«dispositivo ambientale»,
«compagno contestuale».

A questo punto, Vodafone dei tempi d’oro avrebbe esclamato: “…è tutto intorno a te”.

Il resto è, per ora, solo speculazione. E le speculazioni si moltiplicano anche grazie alla controversia legale. Le email, i documenti e le testimonianze raccolte in aula diventano indizi narrativi: il dispositivo non sarà indossabile, sarà screenless o quasi, potrà stare su una scrivania o in tasca, ma sarà costantemente connesso all’ambiente circostante.

Non sostituirà lo smartphone. Né il computer. Sarà qualcosa d’altro.

Qualcosa che – nelle intenzioni – ci farà interagire con l’intelligenza artificiale senza filtri, senza tastiere, addirittura senza display.

E per effetto dell’ordinanza, anche se ne parlano tutti, oggi non ha nemmeno più un nome.

Sembra un passo falso. Ma sarà davvero così?

Guardando la reazione pubblica, il dubbio viene spontaneo. La controversia ha generato esattamente ciò che ogni ufficio marketing sogna: copertura globale, visibilità gratuita, articoli su testate come Bloomberg, The Verge, Wired, Reuters.

Un lancio ufficiale non avrebbe potuto fare di meglio. Ogni parola pronunciata da Altman e Ive è diventata virale.
Del resto, il mistero è il carburante perfetto per l’hype.

Un inciampo?

In una stagione in cui l’attenzione è la vera moneta, si potrebbe sospettare che tutto sia andato esattamente secondo i piani.
E solo se ti chiami OpenAI, con miliardi di dollari di finanziamenti e avvocati in ogni angolo del globo, puoi permetterti di scegliere il nome sbagliato e andare avanti come se nulla fosse.

Speriamo solo che – diversamente dall’iPhonequesta innovazione almeno non ci faccia venire problemi di cervicale.

© Canella Camaiora S.t.A. S.r.l. - Tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione: 26 Giugno 2025

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Avv. Arlo Cannela

Arlo Canella

Managing & founding partner, avvocato del Foro di Milano e cassazionista, responsabile formazione e ricerca indipendente dello Studio CC®.

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