Etichettatura “senza glutine”: opportunità e rischi per le aziende alimentari

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Abstract

Come e quando si può usare la dicitura “senza glutine” in etichetta? Quali sono le regole, le soglie e le responsabilità per chi produce alimenti destinati anche a soggetti celiaci? Questo articolo approfondisce il quadro normativo europeo, le ricadute legali per le imprese e le nuove sfide poste dall’innovazione scientifica e dalle aspettative del mercato. Tra obblighi, controlli, diciture volontarie e opportunità competitive, un’analisi chiara per chi opera nel settore alimentare.

Etichette: quando la dicitura "senza glutine" è lecita?

Nel settore alimentare, utilizzare la dicitura “senza glutine” non è una scelta di marketing, ma un’affermazione giuridicamente rilevante. Può essere riportata solo se il prodotto rispetta precisi limiti tecnici stabiliti dalla normativa europea, in particolare dal Regolamento di esecuzione (UE) 828/2014, adottato in attuazione dell’articolo 36 del Regolamento FIC (UE) 1169/2011 (modificato dal Reg. 1155/2013).

Secondo la norma, è possibile dichiarare “senza glutine” solo se il contenuto di glutine dell’alimento è inferiore a 20 mg/kg (20 ppm). Esiste anche una dicitura alternativa, “con contenuto di glutine molto basso”, che può essere utilizzata solo se l’alimento, pur derivando da ingredienti contenenti glutine lavorati per ridurlo, non supera i 100 mg/kg. Queste soglie non sono casuali, ma sono allineate con gli standard internazionali del Codex Alimentarius (CODEX STAN 118-1979), e condivise da numerosi paesi extra-UE. Fanno eccezione, ad esempio, Australia e Nuova Zelanda, dove è vietato l’uso della dicitura “gluten free” anche in presenza di tracce minime (v. Food Standards Australia New Zealand – FSANZ).

Va evidenziato che, a seguito dell’abrogazione della categoria degli alimenti destinati a un’alimentazione particolare (ADAP), operata dal Regolamento (UE) 609/2013, gli alimenti senza glutine non sono più considerati “alimenti speciali”. Di conseguenza, tutta la responsabilità ricade sull’Operatore del Settore Alimentare (OSA), che è tenuto a garantire la correttezza dell’etichettatura anche in assenza di deroghe specifiche.

Infine, occorre distinguere tra l’indicazione volontaria “senza glutine” e l’obbligo di segnalare il glutine come allergene: quest’ultimo è previsto dall’art. 9 lett. c) e art. 21 del Regolamento (UE) 1169/2011, e richiede che la presenza di cereali contenenti glutine sia sempre indicata chiaramente in etichetta, anche in assenza di soglie minime. La normativa (art. 44) prevede inoltre che per gli alimenti non preimballati, come quelli venduti sfusi o nella ristorazione, siano gli Stati membri a stabilire le modalità di comunicazione al consumatore: tale obbligo di comunicazione vale anche in Italia, e il suo rispetto deve essere documentato e verificabile.

Il glutine, dunque, ha una duplice dimensione:

  • come allergene (informazione obbligatoria, sempre segnalata);
  • come claim “senza” o “a basso contenuto” (informazione volontaria, subordinata a soglie quantitative).

A conferma di ciò, il Reg. (UE) 2021/382 ha modificato l’allegato del Reg. (CE) 852/2004 introducendo obblighi specifici per la gestione degli allergeni lungo tutta la filiera e formalizzando il concetto di “cultura della sicurezza alimentare”. Le attrezzature, i veicoli e i contenitori utilizzati per alimenti contenenti glutine non possono essere impiegati per prodotti “gluten free” senza una procedura documentata di pulizia e verifica. Queste prescrizioni rafforzano ulteriormente l’approccio preventivo fondato sul sistema HACCP (v. anche Dal HACCP alla carne coltivata: come l’UE regola la sicurezza alimentare – Canella Camaiora).

La lecita applicazione della dicitura “senza glutine” è quindi tutt’altro che formale: implica controlli analitici rigorosi, tracciabilità di filiera e adeguate procedure di gestione. Per un’impresa, si tratta di una leva commerciale legittima solo se sostenuta da una piena consapevolezza normativa.

Quali obblighi e responsabilità hanno le imprese alimentari?

Dichiarare che un prodotto è “senza glutine” espone l’impresa a un regime di responsabilità particolarmente severo, che coinvolge profili civili, penali e amministrativi. La dicitura, se utilizzata in modo scorretto o superficiale, può avere conseguenze rilevanti in termini di ritiro dal mercato, danno reputazionale, sanzioni e contenziosi.

Sul piano civile, la responsabilità può configurarsi ai sensi dell’art. 2043 c.c. per danno ingiusto, ma anche – nei casi di prodotti potenzialmente pericolosi – ai sensi dell’art. 2050 c.c., che disciplina le attività pericolose e impone all’impresa un obbligo rafforzato di diligenza. Se un prodotto etichettato come “gluten free” causa un danno a un consumatore celiaco per contaminazione non dichiarata, l’onere della prova può ricadere sull’OSA, che dovrà dimostrare di aver adottato tutte le misure preventive.

Dal punto di vista amministrativo, si applicano le norme contenute nel Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005), in particolare per quanto riguarda le pratiche commerciali scorrette e l’etichettatura ingannevole. Una dicitura “senza glutine” non conforme può integrare una violazione dell’obbligo di trasparenza verso il consumatore, con sanzioni anche molto rilevanti. Il rischio aumenta se si fa uso di diciture o claim non supportati da evidenze, ad esempio attribuendo al prodotto benefici sulla salute non dimostrati.

Dal punto di vista penale, trova applicazione l’art. 5 della Legge n. 283/1962, che vieta la produzione, la vendita e la somministrazione di alimenti “in qualsiasi modo nocivi”. Se un alimento contaminato causa danni alla salute di un soggetto celiaco, anche una mancata vigilanza sull’igiene o sulla tracciabilità può avere rilievo penale. A ciò si aggiunge il potenziale coinvolgimento del D.Lgs. 231/2001 per responsabilità amministrativa da reato in ambito aziendale.

Il sistema dei controlli è tutt’altro che teorico: l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi) e le autorità sanitarie locali hanno il potere di intervenire d’ufficio, disponendo il sequestro dei prodotti, il blocco della distribuzione o l’avvio di sanzioni. In caso di difformità, le aziende devono anche gestire la crisi con comunicazioni obbligatorie alle autorità e, talvolta, ai consumatori.

In sintesi, apporre la dicitura “senza glutine” in etichetta non è solo una scelta di posizionamento commerciale, ma un atto che implica una piena assunzione di responsabilità giuridica, tecnica e reputazionale. È proprio qui che il supporto legale – sia in fase preventiva, sia in fase patologica – può fare la differenza tra una leva di marketing e un potenziale boomerang.

Celiachia, glutine e diritto alla salute

La centralità della dieta senza glutine è confermata anche sul piano giuridico ed economico: gli alimenti notificati come “senza glutine” e registrati nel Registro Nazionale del Ministero della Salute sono rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale, in base al Decreto 17 maggio 2016. Questo rimborso costituisce un diritto soggettivo per i pazienti diagnosticati, e non una semplice agevolazione fiscale.

Anche a livello europeo esistono strumenti analoghi: nel Regno Unito, il National Health Service (NHS) consente in alcune aree la prescrizione di alimenti base (come pane e farine), mentre in Galles è in fase di introduzione una carta prepagata che permette l’acquisto di prodotti gluten free nei supermercati.

Questi modelli, pur diversi, confermano che nessuna terapia farmacologica allo stato attuale può sostituire la dieta, che rimane il trattamento di riferimento anche nei contesti più avanzati. Aspetti che saranno approfonditi nel paragrafo successivo, dedicato ai trend emergenti e alla ricerca farmacologica.

Il limite dei 20 mg/kg (20 ppm) previsto dal Regolamento (UE) 828/2014 non è arbitrario. In termini pratici, 20 ppm (parti per milione) significa che su un milione di milligrammi di alimento, possono essere presenti al massimo 20 milligrammi di glutine. Una quantità estremamente ridotta, ma sufficiente per tutelare la maggior parte dei soggetti celiaci, secondo le evidenze cliniche.

Si basa su numerosi studi clinici che hanno dimostrato come, al di sotto di questa soglia, la maggior parte dei soggetti celiaci non presenta alterazioni istologiche significative. Il riferimento più autorevole è lo studio di Catassi et al. (2007), che ha stabilito come un’assunzione giornaliera inferiore ai 10 mg di glutine (equivalente a prodotti con ≤20 ppm) sia generalmente sicura (studi successivi: Catassi et al. 2013; Silvester et al. 2016; Manza 2025; Stanciu 2024) ne hanno confermato la validità). EFSA, FAO e OMS hanno validato questo valore all’interno del Codex Alimentarius.

Tuttavia, la risposta immunitaria al glutine può variare significativamente da individuo a individuo. Esistono casi di ipersensibilità estrema e di celiachia refrattaria, in cui anche contaminazioni minime possono provocare danni rilevanti. Per questo motivo, la soglia dei 20 ppm è considerata una media di sicurezza, ma non esclude la necessità di particolare cautela in alcuni contesti, come la ristorazione collettiva, l’infanzia o le strutture sanitarie.

In ambito industriale, la garanzia di assenza di glutine si fonda su test analitici specifici. Il metodo più utilizzato è il test ELISA R5, validato dal Codex Alimentarius, noto per la sua sensibilità e precisione. Negli ultimi anni si sono affermate anche tecniche avanzate come la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC-MS/MS), che consentono di rilevare peptidi tossici anche in matrici complesse. Sebbene più costose, queste tecnologie rappresentano una protezione importante per le aziende, sia dal punto di vista della sicurezza alimentare che delle verifiche ufficiali.

Un’etichettatura che compare con frequenza crescente è quella con la dicitura “può contenere tracce di glutine”. Si tratta di un’indicazione volontaria e precauzionale, utilizzata quando l’OSA non può escludere in modo assoluto il rischio di contaminazione crociata, soprattutto in processi che prevedono l’utilizzo di macchinari condivisi.

Tuttavia, questa dicitura non ha valore normativo specifico e non costituisce una salvaguardia automatica per l’operatore. Non esonera dall’obbligo di conformarsi alla normativa vigente né tutela dalle conseguenze di un superamento delle soglie legali.

Dal punto di vista del consumatore celiaco, la presenza di questa dicitura rappresenta un motivo legittimo di dubbio e prudenza, in quanto segnala l’esistenza di un’incertezza concreta sulla sicurezza del prodotto.

Per le imprese, il suo utilizzo richiede massima consapevolezza e rigore documentale: la dicitura non sostituisce né attenua le responsabilità previste in caso di non conformità o danno alla salute.

Gluten free, trend alimentari e nuovi farmaci

Sul piano economico, il comparto gluten free vale circa 400 milioni di euro annui in Italia, con proiezioni fino a 1,6 miliardi entro il 2030, secondo i dati pubblicati da HorecaNews, Grand View Research e Mordor Intelligence.

A livello globale, le stime elaborate da IMARC Group e Fortune Business Insights indicano una crescita da 8,12 miliardi di dollari nel 2025 a oltre 15 miliardi nel 2032, a conferma del fatto che il “gluten free” è ormai un settore strategico per l’industria alimentare e farmaceutica.

In parallelo, la ricerca clinica sta esplorando nuove frontiere terapeutiche che potrebbero, in futuro, affiancare la dieta gluten free nei soggetti celiaci. Tra i farmaci in fase di sperimentazione avanzata troviamo:

  • Latiglutenasi (ALV003): enzimi orali in grado di degradare il glutine nell’intestino;
  • ZED1227: inibitore della transglutaminasi tissutale, che agisce sul meccanismo immunitario alla base della celiachia;
  • BL-7010 e IMGX-003 (KumaMax): polimeri e enzimi progettati per legarsi al glutine e inattivarlo prima che venga assorbito;
  • Nexvax2: un vaccino sperimentale per desensibilizzare il sistema immunitario, la cui efficacia è però ancora da dimostrare.

Pur promettenti, questi approcci non sostituiscono la dieta priva di glutine, che resta oggi l’unico trattamento clinicamente validato. Tuttavia, un’eventuale autorizzazione da parte di EMA o AIFA potrebbe modificare profondamente il quadro regolatorio, con l’introduzione di nuovi alimenti “assistiti” o funzionali, destinati a pazienti in terapia farmacologica.

Per le imprese, ciò si traduce in nuove opportunità ma anche nuove responsabilità. Sarà necessario aggiornare i claim commerciali, la formazione del personale, le politiche di comunicazione e i protocolli di controllo. In questo scenario, le aziende che integrano rigore giuridico, accuratezza tecnica e trasparenza comunicativa si troveranno in una posizione di vantaggio competitivo, anche sui mercati internazionali.

Il trend del gluten free non è più una moda, ma un ecosistema economico e normativo articolato, che richiede competenze giuridiche evolute e una visione strategica. In questo contesto, la consulenza legale non è solo uno strumento di tutela, ma un fattore abilitante per l’innovazione e la crescita responsabile.

Bibliografia

Catassi C. et al., (2007). A prospective, double-blind, placebo-controlled trial to establish a safe gluten threshold for patients with celiac disease. The American Journal of Clinical Nutrition, 85(1), 160–166. https://doi.org/10.1093/ajcn/85.1.160
Catassi C. et al., (2013). Diagnosis of non-celiac gluten sensitivity (NCGS): The Salerno experts’ criteria. Nutrients, 7(6), 4966–4977. https://doi.org/10.3390/nu7064966
Silvester J. A. et al., (2016). Is it gluten-free? Relationship between self-reported gluten-free diet adherence and knowledge of gluten content of foods. Nutrition. 2016 Jul-Aug;32(7-8):777-83. doi: 10.1016/j.nut.2016.01.021. Epub 2016 Feb 13. PMID: 27131408; PMCID: PMC5457910
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Bobbiesi C., (2025). Dal HACCP alla carne coltivata: come l’UE regola la sicurezza alimentare. Canella Camaiora
Manza A. et al., (2025). (2025). Non-Celiac Gluten/Wheat Sensitivity—State of the Art: A Five-Year Narrative Review. Nutrients, 17(2), 220. https://doi.org/10.3390/nu17020220
Stanciu C. et al., (2024). Gluten Unraveled: Latest Insights on Terminology, Diagnosis, Pathophysiology, Dietary Strategies, and Intestinal Microbiota Modulations—A Decade in Review. Nutrients, 16(21), 3636. https://doi.org/10.3390/nu16213636
Codex Alimentarius Commission. (2015). Standard for foods for special dietary use for persons intolerant to gluten (CODEX STAN 118-1979, Rev. 2008, Amend. 2015). Rome: FAO/WHO.
HorecaNews. (2024, 22 febbraio). Il mercato del senza glutine in Italia tra dinamismo e promesse.
Grand View Research. (2024). Italy gluten-free products market size, share & trends analysis report, 2024–2030.
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IMARC Group. (2024). Gluten-free products market: Global industry trends, share, size, growth, opportunity and forecast 2024–2032.
Fortune Business Insights. (2024). Gluten-free food market size, share & industry analysis, by type, distribution channel, and regional forecast, 2024–2032.

 

 

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Data di pubblicazione: 18 Settembre 2025

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Carlo Bobbiesi

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